Salute
«Ho pensato che l’aggressore di Assago fosse mio fratello»
Ginevra è la sorella di Marco, un ragazzone con una storia di sofferenza psichica. «Quando ho letto degli accoltellamenti di giovedì sera al Centro Commerciale Milanofiori di Assago – racconta – ho proprio pensato che potesse essere stato lui». Con la pandemia la sua salute mentale è peggiorata. Di recente ha avuto un momento di aggressività. «Dopo vent'anni ci poniamo lo stesso interrogativo: chi può aiutarlo davvero?»
«Quando ho letto degli accoltellamenti di giovedì sera al Centro Commerciale Milanofiori di Assago, alle porte di Milano, ho proprio pensato che potesse essere stato mio fratello». Così ci racconta Ginevra, una donna milanese di 39 anni, riferendosi alla rissa e all’omicidio agito pochi giorni fa da una persona con una storia di sofferenza psichica. Anche suo fratello Marco, poco più grande di lei, ha un problema di salute mentale. Da tempo non si vedono, i legami si sono fatti tesi, ma lei sa che lui sta affrontando un momento particolarmente difficile.
Ginevra, cosa hai pensato giovedì sera, quando si è diffusa la notizia dell’aggressione al Carrefour?
Mentre guardavo le immagini in TV ho rivisto tutto il mio passato e il mio presente. Come se una risacca avesse riportato sulla battigia quei ricordi che non sono mai riuscita a mettere in una bella cornice d’argento e tutte quelle emozioni che avevo ammucchiato in un angolo del mio cuore. Ecco, direi che il racconto dell’aggressione le ha “smucchiate”, non so se si dice. Per alcuni istanti ho pensato che fosse stato Marco ad aggredire quelle persone. Poi, un po’ alla volta, ho cominciato a tremare: io non ho la sua malattia, ma il mio corpo porta traccia del mio e del suo dolore.
Mentre guardavo le immagini in TV ho rivisto tutto il mio passato, il mio presente. Come se una risacca avesse riportato sulla battigia quei ricordi che non sono riuscita a mettere in una bella cornice d’argento e tutte quelle emozioni che avevo ammucchiato in un angolo del mio cuore. Ecco, direi che il racconto dell’aggressione le ha “smucchiate”
Ginevra
Ci parli di tuo fratello Marco?
Mio fratello ha cominciato a stare male nei primi anni appena dopo il diploma, quando avrebbe dovuto compiere il suo ingresso nel mondo adulto, l’università o il mondo del lavoro, la realizzazione di sé e la competizione con l’altro. Sempre più isolato nella sua fragilità, nella sua depressione e con una rabbia montante per la frustrazione, per il senso di inadeguatezza che avvertiva di fronte ad un mondo che ai suoi occhi era troppo difficile da affrontare.
Come è stato curato?
Inizialmente si sono susseguiti diversi psicoterapeuti e psichiatri nel tentativo di aiutarlo, poi i primi ricoveri. Siamo passati anche da una clinica privata che assomigliava più ad una associazione a delinquere viste le tariffe giornaliere stellari e la quantità smisurata di psicofarmaci utilizzati su questi pazienti disperati. Abbiamo avuto anche esperienze più positive, fino ad arrivare ad una sorta di stabilizzazione con la presa in carico presso il CPS, la struttura deputata alle attività ambulatoriali psichiatriche e psicoterapeutiche e all'attivazione di quelle domiciliari e sul territorio. Era molto affezionato ad una psichiatra davvero competente che l’aveva fatto sentire capito e a cui Marco era riuscito ad affidarsi. Poi la psichiatra venne spostata in un altro servizio e lui non ritrovò più la stessa affinità con la collega successiva. In più, da lì a poco iniziò la pandemia Covid.
Oggi come sta tuo fratello?
È solo. Gradualmente peggiorano i suoi sintomi, il suo rimurginare, il suo convincersi di un mondo cattivo e incapace di farlo sentire incluso. La sofferenza non ascoltata e non curata prima o poi chiede conto e se sei una persona fragile è più difficile trovare un modo “sano” di farla uscire.
La sofferenza non ascoltata e non curata prima o poi chiede conto e se sei una persona fragile è più difficile trovare un modo “sano” di farla uscire.
Ginevra
È mai stato aggressivo oppure violento?
Purtroppo, nonostante non fosse mai successo prima, recentemente è accaduto che Marco fosse aggressivo con qualcuno al di fuori dalla nostra famiglia. Con noi già era successo che perdesse il controllo sulla rabbia, dando spazio a scenate di aggressività a cui spesso seguivano momenti di gravissimo sconforto, ma mai era arrivato a tanto fuori casa.
Oggi quale sarebbe una cura adeguata per lui?
In questi ultimi anni di peggioramento abbiamo chiesto aiuto più volte al CPS, servizio in cui ho sempre creduto: il senso del servizio territoriale tanto desiderato da Basaglia ha una valenza e una preziosità unica grazie alla sua capacità di integrare figure professionali differenti (psichiatri, psicologi, educatori, assistenti sociali, infermieri), e grazie al fatto di essere aperto 24 ore al giorno, sempre pronto ad intervenire per non lasciare sole le famiglie che si fanno carico del disturbo mentale grave.
Dopo la sua recente aggressione siete tornati lì?
Li abbiamo ricontattati. Purtroppo quello che mi è stato detto è stato disarmante: siccome mio fratello non accedeva al servizio da più di un anno, non aveva diritto a nessun intervento da parte loro. Per me è stata una doccia gelata. Ma come è possibile che un paziente, in carico presso quel CPS per più di dieci anni e quindi considerabile come paziente cronico, possa sentirsi dire così? Con quello che implica chiedere ad un paziente psichiatrico di rimettere in atto un iter d’accesso a dir poco complicato… richiesta di impegnativa al medico di base, recarsi al cup per prendere appuntamento e fare un primo colloquio probabilmente con uno sconosciuto che magari non sa nulla della tua storia. Già è complicato per chiunque, figuriamoci per una persona con gravi fragilità psichiche che non parla neanche più coi suoi famigliari perché convinto che anche loro, come tutto il mondo, vogliano il suo male. Per lui è inconcepibile accettare di andare da uno sconosciuto dopo vent'anni di gravi sofferenze, a sperare ancora, dopo tante fatiche, delusioni, sofferenze, di essere capito ed aiutato.
Avete pensato a un TSO?
Il Trattamento sanitario obbligatorio è un’esperienza forzata, una forma di cura piena di contraddizioni. Dopo tanti anni di sostegno, in cui mai è stato necessario ricorrere ad una forzatura tale, doverlo fare ora credo sarebbe – oltre che un grandissimo dolore per lui (e per noi famigliari) – anche un gravissimo fallimento del sistema di cura.
È una situazione complessa da gestire, dal punto di vista pratico e affettivo. Come è essere sua sorella?
È una crepa che riesco poco a condividere. Non so spiegarmi: Marco e io abbiamo pochi anni di differenza, siamo cresciuti insieme, abbiamo condiviso le prime feste insieme, i momenti con gli amici, la stessa compagnia. Poi ho iniziato a vederlo soffrire e a non capire. Non ricordo nemmeno quando ho iniziato a domandarmi: “Come possiamo aiutarlo?”. Ancora oggi, dopo circa vent’anni, mi pongo lo stesso interrogativo: chi può aiutarlo davvero? A volte mi investe un dolore profondo: la paura di perderlo, perché quel disturbo mentale non va via, fa giri lunghi, magari si affievolisce momentaneamente, ma tanto poi ritorna, magari con più vigore. Comunque non ci lascia essere felici.
Oggi tu lavori con gli adolescenti…
Credo sia nato così, da Marco intendo, il mio sforzo quotidiano di provare a far rifiorire, a rimettere in piedi quei ragazzi e quelle ragazze che sembrano rotti. Di fronte al dolore di mio fratello, mio e dei miei genitori, la mia risposta è stata “riparare”. La mia è una mano tesa che si allunga per afferrare gli altri. Un aiuto per tutti coloro che hanno bisogno di sostegno, come contrappasso per non essere (ancora) riuscita ad aiutare, salvare, proprio lui, mio fratello.
Di fronte al dolore di mio fratello, la mia risposta è stata “riparare”. La mia è una mano tesa che si allunga per afferrare gli altri. Un aiuto per tutti coloro che hanno bisogno, come contrappasso per non essere (ancora) riuscita ad aiutare, salvare, proprio lui, mio fratello.
Ginevra
Hai visto su Netflix la serie Tutto chiede Salvezza? Cosa ne pensi?
È bella perché si parla di malattia mentale. Non lo fanno in molti, con questa capacità di restituire la complessità del disagio mentale, che ha tanti volti e tante maschere. Purtroppo nella nostra società è decisamente impopolare essere un considerato un "fallito". Eppure una società che funziona è una società capace di prendersi cura degli ultimi, di offrire inclusione, di offrire speranza e quindi per questo anche salvezza, “per tutti i matti dimenticati nel mondo”.
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