Formazione

Inclusione scolastica: una macchina che gira a vuoto

Una macchina con il motore acceso e una forza motrice importante, ma con tutte le quattro ruote nel fango. Le ruote girano a mille, ma invano; la macchina non riesce a venirne fuori. È questa l'immagine con cui Roberto Speziale, presidente nazionale di Anffas, sintetizza lo stato dell'inclusione scolastica in Italia. Ma quest'anno ci saranno due occasioni da non sprecare: le 25 ore di formazione per tutti i docenti e il PEI da redigere entro fine ottobre con il nuovo modello

di Sara De Carli

Una macchina con il motore acceso e una forza motrice importante, ma con tutte le quattro ruote nel fango. Le ruote girano a mille, ma invano; la macchina non riesce a venirne fuori, né ad essere tirata fuori. È questa l’immagine che Roberto Speziale, presidente nazionale di Anffas, usa per descrivere l’inclusione scolastica in Italia, a 50 anni dalle prime leggi. L'inclusione degli alunni con disabilità è una delle sette sfide cruciali che abbiamo individuato per la scuola nel nuovo numero di VITA,"Ultimo appello".

Abbiamo poco meno di 270mila studenti con disabilità nelle nostre scuole, spendiamo 7 miliardi di euro solo sul sostegno didattico, ma i risultati non sono ancora soddisfacenti «perché la cultura che si ha della disabilità ancora non mette al centro l’alunno». Qualche novità quest’anno c’è, come le 25 ore di formazione obbligatoria in servizio per tutti gli insegnanti che hanno in classe un alunno con disabilità e il PEI- Piano Educativo Individualizzato che deve essere redatto secondo il nuovo modello nazionale in base all’approccio biopsicosociale della Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità del 2006. E le straordinarie esperienze di cui l’Italia è punteggiata «dimostrano che è l’atteggiamento sbagliato, non il sistema». Un’intervista a tutto tondo.


Partiamo dall’ultima novità: dal Ministero il 6 settembre è arrivata l’attesa circolare che dà il via concreto alle 25 ore di formazione obbligatoria in servizio per tutti i docenti non specializzati che insegnano in classi in cui è presente un alunno con disabilità. Sono 25 ore di formazione, da svolgersi obbligatoriamente entro il mese di novembre 2021. I percorsi di formazione saranno proposti dalle singole scuole o da reti di scuole e approvati in raccordo con il Comitato Tecnico Scientifico e con le scuole polo per la formazione. Lo stanziamento è di 10 milioni di euro, già ripartiti. Questa volta c’è il dettaglio dell’articolazione dei corsi e degli argomenti. È una svolta?

Sicuramente sì, perché la formazione di tutti gli insegnanti oltre a quelli specializzati sul sostegno didattico è da sempre la richiesta centrale di famiglie e associazioni, affinché tutto il team dei docenti prenda in carico l’alunno con disabilità, senza alcun effetto-delega al solo insegnante di sostegno, ed insieme si costruiscano strategie per l’intera classe. Se non vi è almeno una base comune di linguaggi ed approcci, infatti, difficilmente l’insegnante curriculare potrà interagire con assoluta efficacia con il suo collega specializzato sul sostegno, perdendo molto quanto a fluidità nelle dinamiche in classe. Non possiamo però dimenticare che le risorse per queste 25 ore di formazione c’erano dal 1° gennaio 2021 e che gli alunni entreranno in classe il 13 settembre, mentre gli insegnanti – seguendo quanto dice la nota ministeriale di questi giorni – seguiranno la formazione obbligatoria entro fine novembre 2021. Come Anffas e come Fish (Federazione a cui Anffas aderisce) avevamo chiesto invece che i corsi partissero per tempo, in modo da garantire che alla ripresa delle attività scolastiche, nel momento dell’accoglienza e dell’impostazione del lavoro annuale (il PEI di ciascun alunno con disabilità deve essere elaborato ed approvato, di norma, entro il 31 ottobre di ogni anno), gli insegnanti fossero già formati. Quindi auspichiamo che veramente si parta a breve, ricordando che queste 25 ore di formazione oltre ad essere un’occasione interessantissima per i docenti sono un obbligo per tutti gli insegnanti – anche quelli a tempo determinato – pur lasciando ad essi un margine di individuazione dei percorsi, soprattutto laboratoriali, più congeniali alle esigenze delle classi che stanno seguendo e quindi scegliendo tra le varie offerte formative poste in essere dalle scuole polo e su cui si è invitati. Indubbiamente quella della formazione continua degli insegnanti, oltre che iniziale, è una partita decisiva: per Anffas più che la quantità di ore di sostegno il tema centrale è sempre stato quello di avere figure professionali con le necessarie competenze. Per capire che questa è una priorità assoluta basti ricordare che fra gli stessi insegnanti utilizzati sul sostegno quasi il 40% non ha fatto percorsi di specializzazione e quindi non ha nemmeno una formazione di base.

Quella della formazione continua degli insegnanti, oltre che iniziale, è una partita decisiva: per Anffas più che la quantità di ore di sostegno il tema centrale è sempre stato quello di avere figure professionali con le necessarie competenze. Per capire che questa è una priorità assoluta basti ricordare che fra gli stessi insegnanti utilizzati sul sostegno quasi il 40% non ha fatto percorsi di specializzazione e quindi non ha nemmeno una formazione di base.

Roberto Speziale

Per questo chiedete, con FISH, che una cattedra ad hoc per il sostegno?

È l’osservazione della realtà che ci ha portato qui: in passato effettivamente avevamo qualche dubbio, perché parlando di inclusione questa sembra un po’ una contraddizione. Ma la realtà mostra che occorre ancora una persona che faccia da facilitatore all’interno delle dinamiche della classe e della lezione, senza che la sua figura risulti però “ingombrante” o “altra”. Per far questo ci vuole un’esperienza e una preparazione non indifferente, specie nel rendere fluide e naturali le interazioni didattiche dei docenti con la classe e con l’alunno con disabilità. Per questo riteniamo che la cattedra di concorso sul sostegno sia ancora necessaria e che un percorso di formazione specifico – supportato anche con investimenti (non solo economici) da parte dello Stato – non debba poi essere svilito poi dal fatto che dopo pochissimi anni automaticamente quel docente possa andare su un posto curriculare. Non è un recinto o un vincolo capestro, ma è solo il corollario del fatto che scegliere di impegnarsi sul sostegno didattico è una scelta seria ed importante, che porta stringere un patto di corresponsabilità e con reciproci impegni (formazione, immissione in ruolo, ecc.).

Tra l’altro, solo una forte e convinta motivazione può far esprimere al massimo le potenzialità apprese con la formazione. Lavorare con la disabilità senza avere le giuste motivazioni è impossibile: è un tipo di lavoro che ben presto comincerai a odiare e questo ti porterà a trovare tutti gli alibi possibili… Poi – esattamente come per tutte le persone e per tutti i lavori – può essere che qualcuno dopo aver scelto di intraprendere un certo percorso professionale, ad un certo punto decida di cambiare e di intraprendere un altro percorso: si potrà fare, ma sapendo che sono due percorsi distinti, non che il sostegno sia l’escamotage per andare sul posto curricolare. Di contro, questo significa anche affermare con forza che il docente di sostegno deve essere valorizzato per l’alta professionalità, flessibilità, capacità di lettura delle dinamiche che deve esprimere nel sostegno alla classe e che i docenti curricolari e di sostegno hanno pari dignità e pari responsabilità sia sull’alunno con disabilità sia sull’intera classe. Così funziona. Se le responsabilità si sbilanciano, invece, l’inclusione non funziona più. È la responsabilità il concetto chiave, e riguarda tutti.

Questo è l’anno in cui va a regime il nuovo PEI…

Entro il 31 ottobre, per qualunque alunno con disabilità il PEI andrà strutturato secondo il nuovo modello. Le cose non sono perfette e rispetto al nuovo modello di PEI ci sono già in previsione delle modifiche da parte del Ministero e c’è un confronto in atto. Questo però non toglie che il nuovo modello è già vincolante, mentre abbiamo sentore che diversi Dirigenti stanno dicendo che per questo ottobre continueranno a lavorare con la vecchia modalità. Non è così. Tra l’altro ci sono stati centinaia di momenti formativi per trasferire alle scuole e alle famiglie le indicazioni operative, c’è stato tutto il tempo e gli strumenti necessari per familiarizzare con il nuovo PEI, le scuole non hanno alibi.


Tenendo un attimo da parte gli aspetti tecnici, che cambiamento può venire per l’inclusione dal fatto di avere un “nuovo modello” per il PEI? Per chi è fuori, la tentazione è di immaginarlo come il semplice cambiamento di un modello burocratico.

Assolutamente, è un cambiamento strutturale, molto importante. Alla base del nuovo modello di PEI c’è la Convenzione ONU, il modello biopsicosociale, la considerazione non solo dei deficit o del tipo di disabilità ma dell’interazione della persona con il contesto e i sostegni. È un percorso che porta a costruire quell’abito sartoriale affinché l’alunno, nel suo percorso scolastico, possa, non solo avere tutti i sostegni individuali personalizzati, ma vivere quel percorso dentro la responsabilizzazione di tutta la comunità educante. Se fatto bene, se costruito bene, il nuovo PEI va in questa direzione. Non ha nulla a che vedere con quello di prima, che era spesso un copia e incolla con semmai qualche solo precisazione sul caso concreto, fatto in solitaria dall’insegnante di sostegno, senza essere frutto di percorsi collegiali e condivisi, in assenza di strumenti oggettivi per individuare tutti i sostegni necessari, didattici e non didattici. Se correttamente redatto e attuato è una rivoluzione copernicana. Alle famiglie quindi direi di pretende prima che il PEI sia predisposto con il nuovo modello e poi di pretenderne la corretta applicazione.

Un altro aspetto di novità è il fatto che il GLO elabora e approva il PEI, non solo approva. E che all’elaborazione del PEI, su indicazione della famiglia, può partecipare anche un privato che segue il ragazzo fuori dalla scuola, ad esempio il suo terapista ABA. Non solo quindi la famiglia partecipa al processo di definizione del PEI, ma ha il diritto di farsi assistere da uno specialista. La norma non solo lo consente ma sollecita questa cosa, perché l’apporto della persona che segue il ragazzo nelle attività abilitative e riabilitative è importantissimo nell’ottica di una visione olistica della persona: in famiglia, a scuola, nei servizi… deve esserci continuità e coerenza tra i vari momenti della sua vita, un coordinamento tra i vari soggetti che interagiscono con il ragazzo nei vari contesti, altrimenti si crea un disallineamento fra gli interventi della mattina e quelli del pomeriggio, che a volte risultano non solo slegati, ma proprio contrastanti. È una cosa molto dannosa. Inoltre questa persona è importante nel definire i sostegni necessari.

Entro il 31 ottobre, per qualunque alunno con disabilità il PEI andrà strutturato secondo il nuovo modello. Le cose non sono perfette e ci sono già in previsione delle modifiche da parte del Ministero. Questo però non toglie che il nuovo modello è già vincolante, mentre abbiamo sentore che diversi Dirigenti stanno dicendo che per ottobre continueranno a lavorare con la vecchia modalità. Non è così.

Roberto Speziale

Chi può essere coinvolto, per esempio?

Lo psicologo, il neuropsichiatra, l’educatore… Forse è utile che le famiglie giochino d’anticipo: visto che la famiglia deve indicare al dirigente il proprio professionista di riferimento e che poi è il dirigente, in sede di convocazione del GLO, ad invitarlo; perciò al più tardi a inizio ottobre sarà già opportuno mandare questo nome alla scuola. È un modo per far capire alla scuola che la famiglia sa che ci sono queste novità e queste possibilità.

Accennava al fatto che il nuovo modello di PEI comunque ha delle criticità, che nei mesi scorsi sono state ampiamente evidenziate e che hanno dato origine anche a accesi dibattiti. Che modifiche si prospettano quindi?

Alcune sono relative più che altro a una serie di aspetti che rileveranno nella parte finale dell’anno scolastico, quando bisognerà fare le verifiche rispetto all’andamento del PEI, fare la valutazione finale del singolo alunno per quantificare i sostegni per l’anno dopo.

La criticità più importante è che abbiamo una scuola che deve redigere un PEI a partire da una nuova visione della persona con disabilità, senza però che la scuola – in una metaforica staffetta – abbia ricevuto dal frazionista precedente (l’Unità di Valutazione Multidimensionale) il testimone (il profilo di funzionamento da esso redatto). Non è stato ancora emanato, infatti, il nuovo modello per redigere il profilo di funzionamento, che è competenza del Ministero della Salute, con il concerto del Ministero delle Politiche Sociali e dell’Istruzione. Infatti, la scuola è chiamata a dire, dato un certo profilo di funzionamento della persona, quali sostegni darà e come modificherà l’ambiente: in assenza del profilo di funzionamento della persona, per il momento si continuerà a far riferimento alla diagnosi funzionale.

Ma l’individuazione del modello di profilo di funzionamento a che punto è?

È in corso di redazione, abbiamo visto delle bozze a fine agosto ma a nostro avviso c’è ancora molto lavoro da fare. È un documento troppo importante, perché un buon profilo di funzionamento è la premessa per un buon PEI e per un buon percorso scolastico.

Con il Decreto Legge 10 settembre 2021, n. 122 siamo riusciti a far introdurre l’obbligo del green pass anche per gli assistenti per l’autonomia e la comunicazione per gli alunni con disabilità, evitando la paradossale circostanza che si sarebbe creataprevdendo come fatto ad agosto il green pass per il personale scolastico (ossia alle dipendenze dell’amministrazione scolastica) e non per altro personale che comunque sarebbe stato a contatto con gli alunni

Roberto Speziale

Rispetto al modello di PEI, invece, cosa serve per migliorarlo?

Insieme alla FISH abbiamo chiesto quattro modifiche, la principale è quella relativa alla quantificazione delle ore di sostegno, sia didattiche sia con l’assistente all’autonomia e alla comunicazione. Oggi la quantificazione lascia poco spazio al GLO perché ci sono delle tabelle che agganciano le ore al solo funzionamento della persona e non per esempio a scelte didattiche ed educative. Una seconda questione riguarda il fatto che nella compilazione del PEI, entro ottobre, nella sezione 9 si indica se l’alunno ha un orario ridotto o esce dalla classe. Molti leggono in questa richiesta di campo uno “sdoganamento” della pratica di portare fuori dalla classe l’alunno o del fatto che alcune scuole si “accordino” con la famiglia nel ridurre drasticamente l’orario di lezione. L’eventuale laboratorio fuori dalla classe può esserci, semmai anche con un gruppo di compagni di classe, ma deve essere valutato necessario dal GLO, per un periodo limitato, volto a potenziare alcuni aspetti e finalizzato a una maggiore partecipazione alle attività nella classe. In sostanza tutto ciò deve essere una soluzione eccezionale e temporanea, con motivi ben documentati, per consolidare alcuni aspetti e con il fine di consolidare maggiormente la partecipazione poi alle attività della classe, prevedendo sempre il tutto nel PEI ed in coerenza con esso.

Terza questione, la programmazione personalizzata con prove non equipollenti – la famosa programmazione differenziata – per la secondaria di secondo grado: abbiamo chiesto che il termine “esonero” sia tolto da ogni decreto, linea guida, modello, atto. Non ci deve essere esonero dalla materia, l’alunno resta in carico al docente curricolare, anche quando segue una programmazione totalmente differente dal resto della classe. Nel modello di PEI non c’è, ma nel decreto la parola “esonero” è rimasta (nelle Linee Guida compare una sola volta) ed è gravissimo, perché c’è la deresponsabilizzazione.

Oggi la gran parte degli studenti d’Italia tornerà in classe. Voi da qualche anno ormai mettete l’accento sul fatto che il primo giorno di scuola in realtà non è tale per tutti. Gli studenti con disabilità la scuola la cominciano sempre dopo, perché i docenti di sostegno sono nominati tardi, perché gli enti locali non sono pronti con i trasporti e con gli assistenti alla comunicazione…

È una storia che si ripeterà purtroppo anche quest’anno, con un danno ancora maggiore dopo due anni segnati dal Covid. La didattica in presenza per gli alunni con disabilità è fondamentale e il danno psicologico – non solo di mancanza di apprendimenti – lasciato da questi due anni sui nostri ragazzi è enorme.

L’anno scorso ci sono state polemiche su quale inclusione fosse quella che ha portato a scuola in solo gli alunni con disabilità, in classe da soli con il loro insegnante di sostegno, con i compagni in DAD…

Intanto questo diritto è stato garantito a tutti gli alunni con bisogni educativi speciali, quindi un gruppettino c’era. Ma sa una cosa? Anche da solo in classe – che oggettivamete non è il massimo – è meglio che da solo a casa. A casa non seguirebbe nemmeno la DAD, non prediamoci in giro. Uscire, andare a scuola, incontrare delle persone, relazionarsi con il docente e con la scuola è comunque meglio che stare a casa.

Rispetto alla pandemia e alle novità per il rientro a scuola, ci sono criticità o novità specifiche?

Una novità positiva è che in tutti i contesti possibili, non solo nello 0-6 anni e non solo in presenza di una disabilità uditiva, dove ci sono alunni con disabilità verranno utilizzate le mascherine trasparenti, che limitano l’impatto della mascherina sulla relazione e la comunicazione. Verranno date ai docenti dalla struttura commissariale, come le altre.

Invece con il Decreto Legge 10 settembre 2021, n. 122 siamo riusciti a far introdurre l’obbligo del green pass anche per gli assistenti per l’autonomia e la comunicazione per gli alunni con disabilità, evitando la paradossale circostanza che si sarebbe creata a seguito della previsione con DL 6 agosto 2021, n. 111 secondo il quale solo il personale scolastico (ossia alle dipendenze dell’amministrazione scolastica) avrebbe avuto l’obbligo del green pass, non invece altro personale che comunque sarebbe stato a contatto con gli alunni, come ad esempio gli assistenti specialistici sopra ricordati che sono assegnati dagli Enti Locali. Anzi proprio questi ultimi, avendo a che fare con alunni con disabilità spesso esentati dalla mascherina o in alcuni da gestire con un contatto più ravvicinato, avrebbero vissuto e fatto vivere situazioni abbastanza rischiose. Precisamente, l’obbligo è stato inserito per chiunque a vario titolo entri nelle strutture delle istituzioni scolastiche, formative ed educative. Tra l’altro, così come richiesto insieme al Forum Nazionale del Terzo Settore con il Decreto legge del 10 settembre si è inteso anche estendere l’obbligo del green pass a tutto il personale dei servizi educativi 0-6 anni, sempre in copnsiderazione che del fatto che l’utenza non tenuta all’obbligo della mascherina e che vi è necessità anche in questo caso di un intervento diretto a contatto da parte degli operatori.

Il 2021 ha segnato i 50 anni dell’inclusione scolastica, con la legge 118 del 31 marzo 1971. A volte invece, dalle testimonianze delle famiglie, sembra che nell’inclusione la scuola creda ancora poco e ancor meno nelle potenzialità dei bambini e ragazzi con disabilità.

La risposta è data dalle numerose esperienze positive e dalle buone prassi, le scuole dove la normativa viene applicata compiutamente dimostrano che i risultati sono straordinari. Queste esperienze sono la prova che quando l’inclusione “non funziona” c’è qualcosa di patologico, non è una cosa fisiologica. Ma le esperienze positive purtroppo sono registrate da poche famiglie, in poche parti d’Italia, non vi è ancora concretamente un sistema-scuola che garantisca efficace inclusione. Il problema è proprio questo: che non ci si crede, non ci si investe, non si ha il concetto di responsabilità educante di tutta la comunità. Ma così facendo siamo noi che stiamo disabilitando e aggravando le condizioni dei nostri ragazzi. È un atteggiamento che porta sovente le famiglie a rassegnarsi per sfinimento, così che la scuola si trasforma in un percorso assistenziale o in un parcheggio. Per questo il nuovo PEI è formidabile: se il tempo scuola è tempo ricco, determina il cambiamento delle traiettorie e delle prospettive di vita del bambino… Però ci vuole formazione, conoscenza della pedagogia speciale, organizzazione… tutte cose che vanno generalizzate. Il sistema – è vero – cammina un po’ volto all’indietro.

Quindi un’immagine per dire a che punto è oggi l’inclusione scolastica in Italia qual è?

Una macchina con il motore acceso e una forza motrice importante, ma con tutte le quattro ruote nel fango. Le ruote girano a mille ma invano, la macchina non si riesce a tirarla fuori. Abbiamo 280mila studenti, spendiamo 7 miliardi di euro solo per il sostegno didattico, ma i risultati non sono ancora soddisfacenti, perché la cultura che si ha della disabilità ancora non mette al centro l’alunno. Non si costruisce ancora un percorso attorno allo studente, chiamando alla corresponsabilità tutto il contesto educante.

Gli argomenti di cui oggi parliamo come novità (ancora da portare a compimento, come ci ha ben spiegato) in verità derivano a cascata dalla legge delega sulla Buona Scuola del 2015 e poi dal decreto legislativo n. 66 del 13 aprile 2017: norme che puntavano a migliorare l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, nel solco dell’ICF e della Convenzione Onu. Sono passati sei anni…

Alla riforma purtroppo mancano ancora molti pezzi, a cominciare dalla famosa continuità didattica, prevista all’art 14 del decreto legislativo n. 66/2017 e inattuata da quattro anni. Non verrà garantita nemmeno quest’anno. E anche l’istruzione domiciliare non ha un suo assetto giuridico ed è lasciata al buon cuore dell’insegnante di sostegno. C’è la questione del profilo di funzionamento, di cui abbiamo già detto, oltre a quella relativa al profilo dell’educatore professionale e degli standard qualitativi per l’assistenza alla autonomia e alla comunicazione. Si parla molto di una proposta di stabilizzazione di queste figure, nel senso della statalizzazione: una scelta che ha dei pro ma anche dei contro, soprattutto se guardiamo le cose non dal punto di vista dei lavoratori. ma da quello dei ragazzi. Oggi con gli assistenti educativi in capo agli enti locali, si può garantire continuità della stessa persona che affianca il ragazzo a scuola al mattino e nelle altre attività e ambienti il pomeriggio. Con la statalizzazione questa possibilità verrebbe meno e i ragazzi avrebbero un educatore o assistente a scuola e al pomeriggio un altro, con grande danno per la qualità dell’inclusione.

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