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«Io sono in Italia, ma tutta la mia famiglia è a Kabul e rischia di essere sterminata»
Aarif è un profugo afgano in Italia dal 2014. Oggi ha un lavoro, una casa, una ragazza e si è rifatto una vita. Tutto grazie all'accoglienza. Una storia il cui lieto fine è stato rovinato da un tradimento. «Tutta la mia famiglia è ad alto rischio. Hanno collaborato con Stati Uniti, Inghilterra e Olanda e sono stati abbandonati». L'intervista
Aarif (nome di fantasia per motivi di sicurezza ndr), 30 anni di Kabul è in Italia dal 2014, vive e lavora a Benevento, dove a breve si sposerà con Caterina. La sua è quella che si potrebbe definire una bella storia di integrazione. Una di quelle storie che, iniziano in salita, con drammi e traumi, ma che si concludono con un lieto fine. Questo fino a quando i talebani non hanno ripreso il controllo del suo Paese e Aarif si è trovato a temere per la vita di tutta la sua famiglia che è rimasta nella capitale afgana.
La tua storia in Afghanistan finisce nel 2013. Cos'è successo?
Un pomeriggio torno a casa da lavoro e mio padre, un ex colonnello dell'esercito, mi dice che ho 24 ore per lasciare il Paese. Collaborava con i servizi di sicurezza afgani ed era venuto a conoscenza che ero in pericolo. All'epoca collaboravo con il ministero dell'Interno afgano, facevo il coordinatore di una squadra della polizia e collaboravo con la marina degli Stati Uniti. L'informativa diceva che i talebani mi volevano sequestrare per avere da me le informazioni di cui ero in possesso. La mia vita era ad altissimo rischio. In più io sono sciita di etnia hazāra. Per i talebani uccidere sette di noi fa meritare il paradiso. Nel giro di ventidue giorni ero in Svezia.
Hai chiesto di essere riconosciuto rifugiato?
Avevo fatto la richiesta di asilo in Svezia. Non mi è stata riconosciuta. Il diniego era motivato con il fatto che non credevano fossi afgano. Il che ha significato un risultato curioso: o lasciavo volontariamente il Paese o venivo rimpatriato in Afghanistan. Anche se per loro non ero afgano. Le follie della burocrazia. Ho deciso di andare a Parigi. Avevo un amico italiano che mi disse di andare a Bari. Così nel 2014 sono arrivato in Italia.
Come sono trascorsi i tuoi mesi pugliesi?
Forse è stato il momento peggiore della mia vita. Ero clandestino e sono stato al Cara (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo ndr). Per otto mesi io dormivo illegalmente dentro al centro. La sera entravo scavalcando le reti e la mattina dovevo uscire. Un posto terribile in cui ho speso otto mesi all'addiaccio. Intanto però ho rifatto la richiesta per l'asilo che fortunatamente è stata accolta.
Come sei arrivato a Benevento?
Mi hanno mandato in un centro di accoglienza lì. All'inizio, pensando che fosse come il Cara, volevo scappare. Invece sono stato accolto bene, mi ha sorpreso. Lo Sprar mi pagava un tirocinio, facevo l'insegnante di inglese in un centro linguistico. Da lì ho avuto diverse opportunità lavorative come mediatore e traduttore con la Caritas e altri enti tra cui il Consorzio Sale della Terra. Ho anche conosciuto Caterina che oggi è la mia fidanzata e con cui mi sposerò a breve. Oggi ho una casetta, una macchina, una famiglia mia. Sto bene. Per un po' di tempo ho pensato di andarmene per guadagnare di più ma ho scoperto a mie spese che c'è un detto molto vero in Italia. “Chi va al sud piange due volte. Quando arriva e quando parte”.
Questa tua felicità si è incrinata nelle ultime settimane per colpa delle notizie che arrivano dall'Afghanistan. Oggi i militari occidentali se ne sono andati definitivamente…
Posso dire una cosa sugli americani?
Prego…
Negli anni scorsi, poco importa che il presidente fosse Bush, Obama o Trump, gli americani mettevano taglie da milioni di dollari su capi terroristi afgani, talebani e non, chiedendo ai civili di dare informazioni. Oggi lasciano la popolazione in mano a quegli stessi terroristi, in nome di un accordo preso proprio con loro.
Quando parli di popolazione ti riferisci anche alla tua famiglia?
Tutta la mia famiglia è a Kabul. Mio papà e uno dei miei fratelli hanno sempre collaborato con gli americani. Undici anni di collaborazione. Mia sorella lavora per la Croce Rossa Internazionale. Infine mio fratello maggiore, che era già stato arrestato e torturato dai talebani negli anni '90, è dovuto scappare lasciando moglie e figli per riparare in una zona più sicura. Finora si sono salvati perché i talebani, prima di arrestarti, avvisano un responsabile di quartiere. Quello della nostra zona è una persona per bene che ci conosce e ci protegge e lo ha avvisati per tempo. Sto provando in tutti i modi a farli portare via ma non ci sono possibilità. Nessun governo risponde. L'unica possibilità sembra essere un corridoio umanitario gestito dall'Unhcr, su cui però non ci sono certezze.
Quanto tempo pensi possano resistere?
Posso solo raccontare alcuni episodi che fanno capire la situazione. Ho una nipote che ha 20 anni e sta studiando informatica come me. Siccome la scuola aveva un costo mensile le mandavo io i soldi. Il giorno dell'arrivo dei talebani mi ha scritto ringraziandomi per quello che avevo fatto e dicendomi che non era più necessario perché tanto non sarebbe più potuta andare a scuola. Mia sorella, una volta tornati i talebani, è tornata al lavoro, a fare il medico, come da espressa indicazione del governo taliban. Una volta arrivata al lavoro si è trovata di fronte un tizio con la barba e un AK47 che le ha detto che aveva fatto due errori enormi: non aveva il bourqa ed era uscita di casa. Le è stato intimato di tornare a casa e non farsi più vedere. Non potrà più lavorare. È terrorizzata. Tanto più che doveva sposarsi ad ottobre, ma per ora è ancora nubile.
Quindi non crede che i talebani possano essere cambiati?
I fondamentalisti non cambiano mai. Anch'io sono musulmano, li conosco. Se adesso fingono di essere diversi è perché gli conviene. Quello che succederà domani sarà una cosa sola: faranno delle liste e andranno casa per casa. Uccideranno i maschi sciiti e sposeranno le femmine. Quando lavoravo con gli americani ho avuto a che fare con i pashtun. Ora non tutti i pashtun sono talebani ma certamente tutti i talebani sono pashtun. Portavo loro aiuti e beni di prima necessità. Li rifiutavano dicendomi che se li avessero accettati la loro fede si sarebbe dimezzata. In particolare penne e quaderni.
Ha parlato di tutti i membri della sua famiglia tranne di sua madre. Perché?
Perché è troppo doloroso. Ho provato ripetutamente a portarla in Italia negli anni scorsi. Non ha mai voluto perché voleva stare vicino ai nipoti. Qualche giorno fa mi ha chiamato dicendomi che lei è anziana e se anche l'avessero uccisa non sarebbe stato un grande problema. Ma mi ha fatto promettere di provare a salvare in tutti i modi i nipoti, in special modo le bambine. Mi ha detto che è pronta a vendere la casa, a fare qualunque cosa, per evitare che questi ragazzine di 13 anni finiscano nelle mani dei talebani. Io le ho promesso quello che mi chiedeva ma non so che cosa fare.
Ti sei pentito di aver collaborato con gli occidentali?
Non so perché ho accettato. Sono stato stupido. È stato un errore che non commetterò mai più. E come me credo ogni afgano.
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