Politica

Non ci resta che Sergio Mattarella

Nel giro di sei giorni si sono bruciate decine di candidature anche a causa della pessima figura dei partiti e delle loro leadership. Così per la seconda volta in 10 anni si chiede al Presidente uscente di restare. Mattarella che ha confessato “Avevo altri piani”, ha però detto, “se serve ci sono, farò del mio meglio”. Con 759 voti è stato quindi rieletto per un secondo mandato all'ottava votazione.

di Riccardo Bonacina

Con 759 voti il presidente uscente Sergio Mattarella è stato rieletto per un secondo settennato. Mattarella che ha confessato “Avevo altri piani”, ha però detto ai capigruppo che oggi si sono recati al Colle, “Se serve ci sono, farò del mio meglio”.

Il 3 febbraio 2015 il giorno del suo (primo) insediamento (nella foto), Sergio Mattarella espresse delle aspettative sul Parlamento uscito dalle elezioni del febbraio 2015:Questo Parlamento presenta elementi di novità e di cambiamento. La più alta percentuale di donne e tanti giovani parlamentari. I giovani parlamentari portano in queste aule le speranze e le attese dei propri coetanei. Rappresentano anche, con la capacità di critica, e persino di indignazione, la voglia di cambiare. A loro, in particolare, chiedo di dare un contributo positivo al nostro essere davvero comunità nazionale, non dimenticando mai l'essenza del mandato parlamentare. L'idea, cioè, che in queste aule non si è espressione di un segmento della società o di interessi particolari, ma si è rappresentanti dell'intero popolo italiano e, tutti insieme, al servizio del Paese. Tutti sono chiamati ad assumere per intero questa responsabilità. Condizione primaria per riaccostare gli italiani alle istituzioni è intendere la politica come servizio al bene comune, patrimonio di ognuno e di tutti. È necessario ricollegare a esse quei tanti nostri concittadini che le avvertono lontane ed estranee. La democrazia non è una conquista definitiva ma va inverata continuamente, individuando le formule più adeguate al mutamento dei tempi”.

Da allora, il Parlamento che, con le elezioni del 2018 presentò ulteriori elementi di novità, ha di certo deluso le attese del Presidente Mattarella sul fatto che gli eletti devono avere ben chiaro che non rappresentano più una bottega o solo interessi di parte ma l’intero Paese.

Non sappiamo cosa Sergio Mattarella dirà questa seconda volta, di certo, crediamo, userà toni ancor più severi nel richiamare gli eletti e i loro leader a una maggiore responsabilità perché, come più volte ha sottolineato a partire proprio da quel 3 febbraio di sette anni fa, la politica è chiamata a “ridare al Paese un orizzonte di speranza”.

Esattamente quello che non ha fatto la politica e gli eletti nel corso di questa settimana. E, a volerla dire tutta, soprattutto nelle sue espressioni di vertice. Nel giro di sei giorni si sono bruciate decine di candidature come in una sorta di X-Factor (copyright Matteo Renzi): Silvio Berlusconi , Marcello Pera, Letizia Moratti e Carlo Nordio, Giulio Tremonti, Paolo Maddalena e Nino Di Matteo, Pierferdinando Casini, Sabino Cassese, Giampiero Massolo e figure istituzionali come Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato, Franco Frattini, presidente del Consiglio di Stato ed Elisabetta Belloni responsabile del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza alla Presidenza del Consiglio.

Certamente anche a causa del malinteso modo di far politica di Matteo Salvini che anche in questo frangente ha mostrato di concepire la politica come una perenne campagna elettorale che travolge istituzioni e persone senza un briciolo di razionalità e strategia e dell’ambiguità di Giuseppe Conte che ha sostenuto tutto e il contrario di tutto e che non ha mai controllato il corpaccione dei grandi elettori del Movimento 5 Stelle ormai diviso in almeno 3 tronconi.

Si è arrivati così nel giro di 10 anni a un sistema politico incapace di eleggere un Presidente della Repubblica, un fatto grave che speriamo suggerirà una Riforma dei modi e delle forme della politica giacchè così la stessa tenuta della democrazia è a rischio. Mattarella già nel 2015 in quel discorso di insediamento auspicò che il percorso della Riforma costituzionale camminasse perchè: “La democrazia non è una conquista definitiva ma va inverata continuamente, individuando le formule più adeguate al mutamento dei tempi. Senza entrare nel merito delle singole soluzioni, che competono al Parlamento, nella sua sovranità, desidero esprimere l'auspicio che questo percorso sia portato a compimento con l'obiettivo di rendere più adeguata la nostra democrazia. Riformare la Costituzione per rafforzare il processo democratico”.

Non è sano che, come già successe nel 2013, si vada dal presidente della Repubblica uscente a chiedere di restare perché si è stati incapaci di una scelta condivisa. Ma tant’è, il fatto che Mattarella rimanga presidente della Repubblica e Draghi presidente del Consiglio è un bene per l’Italia anche se sottolinea una crisi profonda della politica e delle sue attuali leadership. A differenza del 2013 a salire al Colle non saranno neppure i leader ma i capigruppo in Parlamento a segnalare che la richiesta più che dalle leadership sale dal basso, certamente dal Paese, ma anche dall’Aula anche contro le indicazioni dei capi politici e segretari di partito.

Il nome di Sergio Mattarella, infatti, è salito in maniera impetuosa nelle diverse votazioni: dai 125 voti della quarta votazione ai 166 della Quinta, dai 336 voti nel sesto scrutinio ai 387 voti nel settimo scrutinio. Un segno di quanto, nello smottamento di alleanze e dei partiti, fosse rimasto, per i grandi elettori, solo un sicuro punto di riferimento.

Come abbiamo scritto una settimana fa (qui il viaggio nei suoi discorsi), Sergio Mattarella non solo è stato un grande Presidente, equilibrato, lucido anche in frangenti difficilissimi, ma è stato soprattutto un punto di riferimento certo per i milioni di italiani che ogni giorno ritessono le ferite nel tessuto sociale. Certamente continuerà ad esserlo ed anzi, lo sarà con ancora maggiore forza.

@Foto Quirinale

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