Cultura

Vittadini: «Il segreto del Meeting è l’apertura alla realtà»

Si è concluso il 42 esimo Meeting di Rimini, primo incontro pubblico in presenza, con le regole del Green pass e che ha coinvolto migliaia di persone. Ecco il bilancio finale nelle parole di Giorgio Vittadini, Presidente di Fondazione per la Sussidiarietà e animatore dell’evento riminese

di Alessandro Banfi

Si è concluso ieri sera il 42 esimo Meeting di Rimini. Giorgio Vittadini è presidente della Fondazione per la Sussidiarietà e animatore della kermesse riminese. Con lui 10alle5 Quotidiana traccia un bilancio di questo appuntamento, primo incontro pubblico in presenza, con le regole del Green pass, a coinvolgere migliaia di persone. Gli organizzatori hanno detto che i partecipanti sono stati due terzi rispetto all’edizione del 2019 ma la cifra è da considerare un successo, visti gli obblighi di distanziamento in tutto il padiglione fieristico.

Ogni singolo partecipante ha dovuto scaricare l’apposita app della manifestazione, avere il Green pass e usare la mascherina. Contemporaneamente la manifestazione ha avuto una sua esistenza sulla rete e a distanza per oltre 250 mila persone che hanno seguito gli incontri in diretta e sui canali digitali. Un successo.

Il Segretario del Pd Enrico Letta ha parlato di “Modello Meeting”, espressione ripresa dal Corriere della Sera. Si può tornare ad una vita pubblica in presenza?
Si può tornare a vivere. Ho spiegato nell’incontro con i leader politici da che cosa nasce questo modello. Da una posizione umana in cui ci si fa ferire dalla realtà. Il punto di partenza è infatti il rapporto con il reale: così si accettano le regole imposte dall’emergenza della pandemia da Covid. Con i suoi limiti e i suoi vincoli. Si riesce ad organizzare, con le app, con il Green pass, con le mascherine al chiuso e le distanze, un grande momento di aggregazione. Un momento cui poi hanno aderito i maggiori leader politici e in presenza. Il segreto del Meeting è la ferita personale, quello che il grande Enzo Jannacci chiamava il cuore urgente. Senza questa posizione, sembra un successo puramente organizzativo.

Anche accettare la fatica di convivere col virus…
Il Covid è un po’ il simbolo dell’aspetto critico, difficile della vita. Ed è anche vero che le criticità aumentano la creatività di chi è vivo. È come nella cucina: la difficoltà ha fatto creare piatti spettacolari, come il riso saltato o la torta di pane. Piatti buonissimi. Con tutti gli ingredienti sempre a disposizione non sarebbero mai nati.

Lei ha chiesto ai politici che tornino ad occuparsi dei problemi della gente. Che cosa voleva dire?
Un partito nasce perché si coglie una ferita, un problema: i politici se ne fanno carico e poi cercano di fare una proposta per migliorare le cose. Ho fatto l’esempio di Matera, di cui, dopo la seconda guerra mondiale, si occuparono sia Togliatti che De Gasperi. È sempre la realtà che stimola l’azione giusta, non l’idea a priori, lo schema preventivo. In questo senso ho posto ai leader, nella tavola rotonda al Meeting, il tema dei problemi della gente. Per una concretezza della loro azione, una cosa che ben conoscono gli amministratori locali, che sono più a contatto con le persone e le loro esigenze.

La prossima edizione del Meeting avrà come titolo: “Una passione per l’uomo”. Ce lo spiega?
È una frase che usò don Luigi Giussani proprio ad un Meeting, credo quello del 1985. E sintetizza questa idea: quando incontri una persona, l’altro, non puoi fare a meno di desiderare che stia meglio, di desiderare per lui il suo bene. Questo impeto originale è alla radice dell’umanità stessa. Se non c’è questo moto dell’animo è difficile reagire nel modo giusto quando uno muore di Covid, o per il terremoto di Haiti, o perché i Talebani ti limitano nella libertà. La passione per l’uomo è lo stupore iniziale per qualcuno che incontri e in cui ti immedesimi.

Ne avete parlato al convegno sul “lavoro che verrà”, ma glielo chiedo anche in quanto professore di Statistica: qual è il segreto, secondo lei, della ripresa economica dell’Italia?
La voglia di cambiamento. Il Covid ha affrettato un processo per cui non sappiamo quali saranno le professioni tra dieci anni. Un miliardo di persone faranno lavori che ancora non esistono. Sappiamo però che avremo sempre più bisogno di quelle che sono chiamate character skills, abilità legate alla nostra persona e che saranno indispensabili e utili nell’apprendere nuove tecniche lavorative. La prima virtù diventa la disponibilità a cambiare, a muoversi.

Che interesse le suscita il progetto delle nuove edicole di Quotidiana?
Per me le edicole, come i bar, costituiscono una rete capillare, locale, necessaria alla gente anche nell’era della globalizzazione. Sono luoghi che puoi frequentare tutti i giorni, in cui scambiare due parole, avere rapporti vivi nella tua zona. Rilanciare le edicole, ripensarle, è dare la possibilità alla gente di avere relazioni positive sul territorio. Il progetto di Quotidiana è affascinante per questo: proporne una versione aggiornata ai gusti e alle esigenze commerciali di oggi mi sembra geniale. Faccio un paragone che non vuol essere blasfemo. Una volta nelle nostre campagne c’erano le edicole votive dedicate alla Madonna. Ci si fermava ogni tanto per una preghiera. Ecco le edicole 2.0 possono essere l’occasione per una preghiera laica, una sosta nel tuo territorio dedicata ad un rapporto umano.

* 10alle5 Quotidiana

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