Politica

La mossa impossibile di Mario Draghi

Mario Draghi è il re degli scacchi. Tutto gira attorno a lui, attorno alle sue mosse sono costretti a cercare un senso tutti gli altri pezzi della scacchiera. Il re, può muoversi in tutte le direzioni. Ma i suoi movimenti sono limitati: può fare solo un passo alla volta. Una casella e basta. Mentre tutti gli altri svolazzano in libertà, con mosse da cavallo

di Maurizio Crippa

Negli ultimi giorni del 2021 — e dunque all’inizio del fatal 2022 quirinalizio — il presidente del Consiglio Mario Draghi ha subìto due strampalati e invero non perigliosissimi attacchi da parte di due entità nemiche decise a sbarrargli la strada del Quirinale (casomai l’ex Mr. Bce avesse davvero intenzione di percorrerla). Dapprima la nave pirata del Codacons, notorio ente della lamentela inutile, che ha minacciato di denunciare Draghi per procurato allarme sul Covid (non è uno scherzo). Poi l’ex Avvocato del Popolo, Giuseppi Conte, che non avendo mezza idea per la presidenza della Repubblica ha lanciato la più banale: «Ci vorrebbe una donna» (nemmeno questo è uno scherzo, anche se fa tanto tinello di Barbara D’Urso). Li citiamo giusto per chiarire quale sia il livello del dibattito pubblico.

L’anno che si è chiuso, trionfi sportivi a parte, per l’Italia è stato indubitabilmente l’anno di Mario Draghi — per il solitamente schifiltoso Economist la “sua” Italia è il Paese dell’anno. E il 2022 si apre con Super Mario in pole position per il gran premio del Colle più alto. Ora si vedrà se la sua partenza bruciante sarà davvero tale. Oppure se il più volte campione del mondo nelle specialità salvifiche (l’Euro, l’Europa, l’Italia) finirà tradito all’ultimo giro, come è capitato a Lewis Hamilton. Fregato sul filo di lana da uno magari meno bravo, ma con più pelo sullo stomaco. Altro che Verstappen: qui basta una masnada di franchi tiratori. Se invece Draghi decidesse di rinunciare al rally di Monte Quirinale e si accontentasse di confermarsi campione a Palazzo Chigi, non è detto le cose andrebbero comunque sul velluto: lì c’è la masnada dei partiti, dal Pd alla Lega, che vorrebbe tanto buttarlo fuori pista. La situazione è così semplice e disperata che non ci sarebbe nemmeno bisogno di spiegarla. Omicron galoppa e ci sono i miliardi del Recovery Fund da far arrivare, tanti maledetti e subito: tempo per crisi di governo non ce n’è. In più l’Europa, prima di cacciare i soldi, vuole vedere le riforme: e l’unico governo che può garantirle è questo. Quindi Draghi (lo ha detto anche il Financial Times) è meglio che resti dov’è. Però tra due mesi Sergio Mattarella va in pensione, s’è già affittato una bella casetta. Ma se a sostituirlo i partiti manderanno Draghi, cadrà il governo. Se invece i partiti Draghi non lo manderanno, sarà un’implicita bocciatura e cadrà il governo. Un Hamilton con le ruote sgonfie.

Cambiamo gioco, ed è ancora più chiaro. Mario Draghi è il re degli scacchi. Tutto gira attorno a lui, attorno alle sue mosse sono costretti a cercare un senso tutti gli altri pezzi della scacchiera. Il re, può muoversi in tutte le direzioni. Ma i suoi movimenti sono limitati: può fare solo un passo alla volta. Una casella e basta. Mentre tutti gli altri svolazzano in libertà, con mosse da cavallo.
Il giro populista-sovranista non lo vuole né al governo né al Quirinale. Ma non lo vogliono nemmeno i partiti che lo sostengono. Inoltre votare Draghi sarebbe dare ragione un’altra volta al loro nemico più odiato: Matteo Renzi. Piuttosto, mezzo Pd taglierebbe il ramo su cui sta comodamente seduto. E a destra? A destra c’è lui, il Cavaliere: che sogna fortissimamente sogna di vincere la sua personale Champions politica.

Draghi può piacere o meno, ma è chiaro a tutti che sia alcune spanne sopra a qualsiasi leader politico degli ultimi decenni: non è questo che disturba. Disturba che abbia imposto un metodo, la depoliticizzazione della politica. Ha imposto il suo stile: i bilaterali solo con i leader, le riunioni di quindici minuti secchi, niente fughe di notizie (era la specialità di Casalino). Ad alcuni da del tu, ad altri del lei: con lui uno non vale uno. E questo sì che irrita. Non è vero che non ascolta nessuno. Ma mentre ascolta guarda di sottecchi, con quel mezzo sorriso romano, un po’ andreottiano. Ascolta, e ha già deciso. È questo che fa incazzare i politici, che non sanno più decidere se prima non guardano i sondaggi, non consultano lo spin. E pure tanti giornalisti abituati a menare la danza, a governare dai talk. Draghi al Quirinale sarebbe il presidenzialismo di fatto, dicono allora. Quasi un golpe sulle ali della pandemia. Come un re tutt’altro che shakespeariano, Draghi sa che se fa un passo avanti rischia di far crollare tutto. E se non lo fa, sa che gli si aprirebbe una botola sotto i piedi. Uno scarto di lato, e lo impallinerebbero i franchi tiratori. Sull’altro lato, lo attaccherebbero gli amici. Tornare indietro, cadrebbe nelle mani dei nemici. A scacchi si chiama stallo, quando al re rimangono solo mosse impossibili da fare. Ma lui ha un gran talento, e la Necessità è dalla sua parte. Chissà.


Foto: Agenzia Sintesi

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