Mondo
Indios, la strage silenziosa
Dal Messico fino al Brasile, gli indigeni che si oppongono a disegni governativi o entrano in contrasto con grandi aziende per lo sfruttamento delle risorse dei territori, continuano a finire vittime della violenza. Un tragico bollettino di uccisioni, culminato col recente assassinio dell'honduregno Pablo Isabel Hernández
di Paolo Manzo
È una strage silenziosa quella degli indigeni che in America Latina, dal Messico sino alla Patagonia, vengono uccisi perché difendono la Madre Terra, la Pachamama ed i loro diritti fondamentali.
Brasile, più di 15 uccisi al giorno
Solo in Brasile, negli ultimi 12 mesi ne sono stati uccisi 182 e neanche "la grave crisi sanitaria causata dalla pandemia, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, ha impedito ad accaparratori di terre, cercatori d'oro, taglialegna e altri invasori di intensificare i loro attacchi alle terre indigene” denuncia il CIMI, il Consiglio Indigesta Missionario.
Due i casi più eclatanti avvenuti in Brasile lo scorso anno. Il primo nello stato di Amazonas è noto come “il Massacro del fiume Abacaxis” ed ha avuto origine da un conflitto causato da turisti entrati illegalmente nel territorio delle popolazioni indigene e fluviali, nella regione dei fiumi Abacaxis e Marimari, per praticare la pesca sportiva. L’intervento della polizia militare ha provocato la morte di due indigeni Munduruku e di almeno quattro ribeirinhos (così si chiamano quelli che vivono sulle rive del fiume), oltre ad altri due desaparecidos. Nel Mato Grosso, invece, quattro indigeni del popolo Chiquitano che stavano cacciando in una zona vicino al loro villaggio sono stati uccisi dagli agenti di polizia del Gruppo Speciale di Confine, il Gefron.
In Brasile ci sono 896.900 indigeni, il 63,8% dei quali vive nelle aree rurali. Il territorio con la più alta densità di popolazione indigena è quello Yanomani, negli stati di Amazonas e Roraima, con 25.700 indigeni. Da segnalare che il 90% degli omicidi in Brasile, lo scorso anno, è avvenuto in proprio in Amazzonia.
L’ultimo indio del continente latinoamericano ad essere ucciso con un proiettile alla schiena, domenica scorsa, è stato però un honduregno, Pablo Isabel Hernández, un agente pastorale e leader indigeno del popolo Lenca. Stava recandosi in chiesa per andare a messa quando è stato freddato.
Pablo era un uomo di Dio, che amava la sua famiglia, il suo popolo e si batteva per la tutela della casa comune
“Pablo era un uomo di Dio, che amava la sua famiglia, il suo popolo e si batteva per la tutela della casa comune", testimoniano il Consiglio episcopale latinoamericano, il Celam e la Rete ecclesiale ecologica mesoamericana, il Reemam. Era presidente della Rete di Agroecologi della Biosfera di Cacique Lempira, promotore dell'Università Indigena e dei Popoli e direttore della stazione radio del suo villaggio, Radio Tenán ma, soprattutto, era un impegnato nella difesa della terra e per questo è stato quasi certamente ucciso. Quello di Pablo è solo l'ultimo omicidio di leader indigeni in Honduras, il quinto paese al mondo più letale per gli indios che difendono l’ambiente.
A livello globale, l'America Latina concentra i due terzi degli omicidi di indigeni nel mondo.
Colombia, la lunga teoria dei leader uccisi
Molti in Colombia, dove la mattanza è analoga a quella brasiliana, con almeno 145 leader sociali assassinati nel 2021 , secondo i dati dello stesso governo del paese sudamericano, molti dei quali sono indigeni. La maggior parte degli omicidi di indigeni in Colombia avviene nel dipartimento della Valle del Cauca, dove da anni è in corso una vera e propria guerra tra diversi gruppi armati, come i dissidenti delle FARC, i guerriglieri dell'Esercito di liberazione nazionale, l'ELN ed i cartelli messicani, organizzazioni criminali in lotta tra di loro per il controllo delle rotte del narcotraffico. E sempre in Colombia, letteralmente sotto attacco dei narcos è il popolo Awá, di cui sono stati uccisi 50 membri solo nel 2021. Gli Awá sono 44mila e vivono nei dipartimenti di Nariño e Putumayo, nel sud-ovest del paese. Il loro territorio è un corridoio strategico per le grandi estensioni di giungla e per essere la porta di ingresso del Cauca e del massiccio montuoso colombiano. Qui i gruppi armati si sono moltiplicati negli ultimi sei anni, con il boom della coltivazione delle foglie di coca e, dopo la firma dell'accordo di pace del 2016, con la smobilitazione delle FARC, c'è stato un vuoto di potere di cui altri gruppi hanno approfittato per guadagnare territorio. Oggi, purtroppo, è in corso una guerra senza esclusione di colpi tra la Colonna Mobile Franco Benavides, che fa parte del Comando Coordinatore Occidentale dei dissidenti delle Farc dissidenti, ed il Blocco Occidentale Alfonso Cano, che fa parte della Seconda Marquetalia e, a farne le spese, sono proprio gli Awá.
Messico, violenza crescente
Anche i popoli indigeni del Messico affrontano un contesto di crescente violenza. Una situazione che il leader Maya, Ángel Sulub, del Congresso Nazionale Indigeno del Messico, indica come "una vera e propria guerra condotta dalle aziende, dal governo e dalle organizzazioni criminali contro gli indigeni". L'espropriazione territoriale, la persecuzione dei difensori ambientali e la mancanza di rispetto per i diritti degli indigeni sono peggiorati nelle 68 comunità native messicane anche durante la pandemia. Particolarmente preoccupante la situazione della penisola dello Yucatan, dove l'industria del turismo e i grandi progetti di impianti eolici e fotovoltaici sono la principale minaccia per i Maya. Qui le politiche pubbliche hanno minato le economie tradizionali degli indigeni, in primis l'agricoltura, per favorire grandi aziende straniere e megaprogetti come il “Treno Maya", sono "tremendamente dannosi per le nostre comunità”, denuncia Sulub.
I Mapuce del Cile
In Cile ad essere repressi sono invece i Mapuche, che costituiscono il 10% della popolazione. Dallo scorso settembre il presidente uscente Sebastián Piñera ha infatti militarizzato le due regioni del sud del paese dove più consistente è proprio la presenza dei Mapuche, la Araucanía ed il Biobío. Secondo Amnesty International il paese negli ultimi mesi ha “fragilizzato in modo sostanziale" i diritti di questa etnia mentre un paio di indios sono stati uccisi dalle forze dell’ordine nel sud del paese lo scorso autunno.
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