Cultura e teatro in soccorso contro il gioco d’azzardo patologico e le truffe

Due progetti-spettacolo della compagnia Teatro del Segno di Cagliari. L'impegno sociale del fondatore Stefano Ledda e degli attori sta riscuotendo un grande successo in Sardegna e nella penisola: l'iniziativa denominata GAP apprezzata anche da Camera, Senato, Regione, enti locali e Asl per il suo carattere divulgativo tra i giovani

di Luigi Alfonso

Si chiama “G.A.P. Rovinarsi è un gioco” ed è un progetto che ha il duplice obiettivo di informare e sensibilizzare le persone sulle insidie legate al gioco d’azzardo tecnologico (videopoker, slot machines, azzardo online, e così via). Vere e proprie dipendenze per tante persone, che solo in parte sono curate da anni in Comunità o seguite da terapeuti specializzati. Gap è l’acronimo (sta per Gioco d’azzardo patologico) scelto dalla compagnia “Teatro del Segno” di Cagliari per lo spettacolo che ha lanciato alcuni anni fa e che ha già registrato circa 300 repliche, non solo in Sardegna ma anche nella penisola. Il successo non è soltanto frutto della capacità degli attori di mettere in scena una rappresentazione ben strutturata, ma anche dell’importanza del messaggio, apprezzato anche dalle presidenze di Camera e Senato (oltre che dalla Consulta Nazionale Anti Usura e dall’Agita, l’Associazione nazionale degli ex giocatori d’azzardo e delle loro famiglie) che infatti, nel tempo, hanno concesso il loro patrocinio dell’iniziativa, poi sostenuta dalla Regione Sardegna e numerosi altri enti locali e Asl.

«Per l’edizione 2022/2023 del progetto, ci siamo posti l’obiettivo di raggiungere una popolazione di 9.800 studenti, in particolar modo gli allievi delle scuole secondarie di primo e di secondo grado del territorio regionale, oltre che un pubblico più adulto», spiega Stefano Ledda, regista, attore e fondatore della compagnia teatrale. «Credo che il punto di forza del progetto, insieme al linguaggio diretto e asciutto della piéce teatrale sul quale è incentrato, sia il coinvolgimento del pubblico: immediatamente dopo la visione dello spettacolo è infatti prevista una conversazione-dibattito sulle insidie del gioco d’azzardo, che interroga i presenti e li pone davanti a tanti quesiti e provocazioni. Questo momento di confronto coinvolge gli insegnanti e gli esperti di questa patologia del Servizio Dipendenze del territorio, che permette di approfondire la realtà che lo spettacolo affronta ma anche di aprire il senso critico e un atteggiamento più consapevole verso un fenomeno feroce come il gioco d’azzardo».

A Rolando De Luca, psicologo e psicoterapeuta responsabile del Centro di recupero per giocatori d’azzardo di Campoformido (Udine), è stata chiesta una lettura critica del copione prima di metterlo in scena. Lo spettacolo “G.A.P. Gioco d’Azzardo Patologico” nel 2007 è stato inserito nel programma della Conferenza nazionale sul Gioco d’Azzardo organizzata dall’Agita. «Proprio dalle esortazioni ricevute in quell’occasione dal pubblico di psicologi, di pazienti dei gruppi di terapia e dai loro familiari, è nata l’idea del progetto di sensibilizzazione scolastica sui rischi del gioco d’azzardo “Rovinarsi è un gioco”», spiega Ledda. «L’aumento del tempo libero è uno degli aspetti che contraddistingue la società contemporanea. Si dilata e apre spazi da riempire, necessità da soddisfare, e intanto il gioco esce dal suo alveo marginale, si trasforma da svago innocente e irrinunciabile espressione di libertà, in voglia d’azzardo, ossessione e opprimente schiavitù. Quindi si riversa dentro il bacino della vita quotidiana, induce nuove abitudini, cambia la mentalità, modifica i comportamenti, le speranze e le aspirazioni personali. La crescita dei volumi di denaro destinati al gioco d’azzardo, e la frenetica attenzione che gli è rivolta, hanno in breve tempo modificato il nostro panorama sociale nell’ultimo decennio. A questo sviluppo ipertrofico della voglia di giocare, incentivato dall’offerta del gioco pubblico, non ha fatto però seguito un processo di informazione e sensibilizzazione che inducesse allo sviluppo parallelo di una “cultura del gioco”. I danni di questo ritardo culturale si stanno evidenziando drammaticamente e saranno sempre più evidenti, in futuro».

«Ciò che si nota innanzi tutto in questo lavoro teatrale – commenta il dottor De Luca – è la direzione verso la quale si muove: non tanto la denuncia pura e semplice, bensì la sensibilizzazione nei confronti di una drammatica realtà. Il mostrare attraverso un linguaggio teatrale, accessibile e diretto, i rischi, i segnali, le tappe della caduta e le sue conseguenze. Il tutto, portando davanti a chi guarda la storia di un giocatore di videopoker. Una storia vera, fatta di decine di storie vere di giocatori patologici. La storia di “Emanuele” un solo giocatore scelto come simbolo di questa che non è affatto una nuova malattia del terzo millennio, ma una patologia riconosciuta da oltre quarant’anni dalla comunità scientifica internazionale. Ho accettato di presentare questo spettacolo teatrale perché dice chiaramente che qualsiasi tipo di gioco d’azzardo può portare alla dipendenza, proprio come il tabacco, l’eroina, l’alcool. Attraverso esperienze come questa, si può aiutare non il proibizionismo ma la comprensione che il gioco d’azzardo patologico è una malattia grave».

Il Teatro del Segno ha una storia alle spalle che non è fatta soltanto di cultura e spettacolo. La compagnia fu fondata nel gennaio del 2009 da Stefano Ledda nel quartiere di Is Mirrionis, dove lui è nato e cresciuto, confinante con il rione di San Michele: due delle realtà più complesse di Cagliari. «Da molto tempo volevo usare il mio mestiere d’attore e di teatrante per fare in modo che il mio quartiere avesse un teatro. Durante la mia infanzia e poi nell’adolescenza, la realtà del quartiere offriva luoghi e occasioni di socializzazione, tra cui i campetti della parrocchia di Sant’Eusebio, le scuole calcio, in generale le scuole sportive e pure le sezioni di partito. Ora molte di queste occasioni, di questi punti di riferimento culturale e sociale, sono venuti meno. Dal vedere e percepire questa “assenza” è nata l’idea di aprire un teatro nel quartiere e, grazie all’incontro con il parroco di allora proprio per l’allestimento di uno spettacolo teatrale, di aprirlo proprio nell’abbandonato a se stesso e inutilizzato cineteatro della chiesa di Sant’Eusebio. Abbiamo chiesto in concessione alla parrocchia quello spazio dismesso, abbiamo portato lì le nostre attrezzature, la nostra voglia di fare, e abbiamo potuto così costruire il teatro che ci ha dato la possibilità di avviare una serie di attività a favore di giovani e meno giovani. Da quasi cinque anni il Teatro TsE esiste, è un luogo della cultura che funziona, incontra e fa incontrare le persone del quartiere e della città. È ed è stato un successo, per ottenere il quale è stata fondamentale la condivisione del progetto e il pieno coinvolgimento dei parroci che si sono avvicendati in questi cinque anni».

La compagnia guidata da Ledda sta per mettere in scena un altro spettacolo dai grandi risvolti sociali, dal titolo “Sconfiggere i ladri di speranze”, che mette in guardia dalle truffe di ogni genere perpetrate soprattutto ai danni degli anziani, ma non solo. Un altro tassello che va ad aggiungersi ai laboratori e alle numerose attività teatrali e culturali che da cinque anni popolano il Teatro TsE.

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