Economia
Banche esposte per 1,35 trilioni di dollari ad asset fossili
Pubblicato il nuovo rapporto di Finance Watch, l’ong paneuropea che promuove una finanza al servizio della società. La ricerca riguarda le 60 banche più grandi del mondo. L’aumento di capitale necessario per coprire il rischio di questa esposizione è equivalente a 3-5 mesi di utili bancari. Benoît Lallemand, Segretario generale di Finance Watch, paventa il rischio di un “effetto Lehman” climatico
di Redazione
Le 60 banche più grandi al mondo hanno un’esposizione di circa 1,35 trilioni di dollari ad asset legati ai combustibili fossili. A rivelarlo un nuovo rapporto di Finance Watch, l’ong paneuropea che promuove una finanza al servizio della società. I combustibili fossili sono il principale fattore di accelerazione del cambiamento climatico, e molti asset legati ai combustibili fossili – sottolinea una nota – dovranno essere abbandonati prima che termini la loro vita economica nel percorso di transizione verso un’economia sostenibile. In altre parole, si svaluteranno, trasformandosi in attivi non recuperabili, i cosiddetti “stranded asset”. E le banche che li hanno finanziati subiranno delle perdite. Se aggiungiamo a queste perdite finanziarie i danni cagionati dagli eventi catastrofici indotti dal cambiamento climatico, la conseguente destabilizzazione dell’intero sistema finanziario potrebbe sfociare in un’altra crisi finanziaria.
Lo studio evidenzia, inoltre, che l’esposizione delle banche globali ai soli asset legati ai combustibili fossili – escludendo i settori ad alte emissioni a valle della filiera – è quasi equivalente all’esposizione dell’intero sistema finanziario ai mutui subprime prima della crisi finanziaria globale del 2007-2008. Benché gli asset legati ai combustibili fossili e quelli connessi ai mutui subprime presentino evidenti differenze strutturali, la situazione attuale presenta comunque delle analogie con quella di allora.
Benoît Lallemand, Segretario generale di Finance Watch, ha dichiarato: «Poiché i rischi finanziari legati al clima crescono proporzionalmente al tempo di inazione, se in futuro dovessero concretizzarsi in modo improvviso darebbero luogo a una sorta di “effetto Lehman” climatico. In tutto il sistema si evidenzia una tendenza allo scarico di responsabilità, in cui governi, responsabili delle politiche monetarie e fiscali, organi di vigilanza, agenzie di rating, imprese e istituzioni finanziarie accusano le altre parti di inerzia. Proprio come fecero alla vigilia dell’ultima crisi finanziaria, questi stakeholder ora tendono a dare eccessiva fiducia ai calcoli e ai modelli: una scelta tanto più illusoria in rapporto al cambiamento climatico, che rappresenta un rischio molto più grande e complesso rispetto al quale, per definizione, non disponiamo di dati storici su cui poter fare affidamento. Nel frattempo, il conto è virtualmente nelle mani dei contribuenti. Oggi siamo alle prese con una grave crisi che colpisce il costo della vita, e molte famiglie faticano ad arrivare a fine mese. Intanto, complice l’aumento dei tassi di interesse, gli utili delle banche crescono. In tale contesto, è incomprensibile che le autorità non intervengano tempestivamente in via cautelativa per proteggere i contribuenti dai rischi finanziari legati al clima».
Attualmente i rischi associati agli asset legati ai combustibili fossili sono sottovalutati, in quanto la regolamentazione vigente non obbliga le banche ad accantonare fondi sufficienti a coprire potenziali perdite di valore di questi asset. In caso di crash bancario, il costo delle operazioni di salvataggio ricadrebbe sui contribuenti, invece di essere assorbito dal mercato. Per di più, il trasferimento del rischio assume le sembianze di una “sovvenzione implicita”: in assenza di un’adeguata regolamentazione, le condizioni di finanziamento sono mantenute artificialmente favorevoli, e così il settore bancario fornisce un sussidio annuo all’industria dei combustibili fossili stimato in 18 miliardi di dollari. Questo contributo svantaggia in modo evidente il finanziamento dei progetti sostenibili e di transizione.
Per contribuire a risolvere il problema, Finance Watch esorta le autorità normative ad adeguare i requisiti patrimoniali delle banche in base alla loro esposizione ai combustibili fossili. Questo sarebbe un importante punto di partenza per affrontare i rischi finanziari legati al clima che pesano sui bilanci delle banche. I requisiti patrimoniali determinano la capacità delle banche di assorbire possibili perdite. A livello internazionale, questi requisiti sono dettati dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria; a livello europeo, sono messi in atto dal regolamento sui requisiti patrimoniali (CRR), attualmente all’esame dei legislatori. Secondo Finance Watch, gli asset legati ai combustibili fossili dovrebbero essere trattati come asset “più rischiosi”, con conseguente attribuzione di un fattore di ponderazione del rischio del 150% in linea con gli standard di Basilea.
Stando ai nuovi dati del rapporto di Finance Watch, sarebbe necessario un capitale supplementare compreso tra 157,0 e 210,2 miliardi di dollari per le 60 banche globali, ivi incluse le 28 banche considerate di importanza sistemica per la stabilità finanziaria globale e le 22 principali banche europee in termini di asset. Si tratterebbe di un importo mediamente equivalente a un solo trimestre di utili non distribuiti del 2021. In termini percentuali, l’aumento medio di capitale sarebbe compreso tra il 2,44% e il 3,27% del capitale esistente.
Il proposto adeguamento dei requisiti patrimoniali dovrebbe essere introdotto in modo graduale, e le autorità dovrebbero collaborare con gli istituti bancari per stabilire piani realistici. Poiché l’aumento di capitale sarebbe finanziato mediante gli utili non distribuiti in un arco di tempo relativamente limitato, non comporterebbe una riduzione sfavorevole della capacità di concessione di credito delle banche. In una nota Banca Etica evidenzia che "le principali banche italiane hanno un’esposizione ad asset legati ai combustibili fossili di circa 17 miliardi di dollari. Circa 2,3 miliardi di dollari, o 3,5 mesi di utili a valere sul risultato del 2021, contribuirebbero a proteggere i contribuenti dal costo di futuri bailout».
Julia Symon, head of Research & Advocacy di Finance Watch e coautrice del rapporto sottolinea: «Il nostro studio mostra come il rafforzamento dei requisiti patrimoniali per il finanziamento dei combustibili fossili – un passo fondamentale per affrontare il rischio legato al cambiamento climatico – è una misura attuabile con un costo medio pari a 3-5 mesi di utili da parte delle banche, e questa è una stima prudenziale basata su dati disponibili al pubblico per il 2021. C’è anche un precedente rispetto all’implementazione di misure relative al capitale: gli aumenti di capitale necessari per attuare le riforme di Basilea dopo la crisi finanziaria sono stati realizzati attingendo agli utili non distribuiti, senza alcuna riduzione del credito bancario o del volume degli asset. Il mantenimento degli impegni internazionali sul clima, come l’Accordo di Parigi, comporterà una significativa perdita di valore per numerosi asset legati ai combustibili fossili. In assenza di interventi normativi concreti per accompagnare la nuova realtà, i rischi di una transizione disordinata e di dissesti legati al clima rischiano di essere maggiori di quanto il sistema finanziario sia in grado di gestire».
Il rapporto in italiano: “Una transizione più sicura per il fossil banking – Quantificazione dei capitali supplementari necessari per coprire i maggiori rischi legati all’esposizione ai combustibili fossili”
In apertura Photo by Patrick Hendry on Unsplash
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