Volontariato

Parametri da buttare. Il Pil ha fatto il suo tempo

A Porto Alegre si è discusso anche dell’anacronistico indice con cui si misura la ricchezza. Rete di Lilliput chiede di sostituirlo con indicatori più affidabili. Eccoli

di Giampaolo Cerri

Non di solo Pil vive l?uomo. Ne sono convinti quelli della Rete di Lilliput, che a Porto Alegre hanno portato una proposta per la rielaborazione di questo vetusto indice economico, sostituendolo con nuovi e più aggiornati parametri. All?argomento, il Social forum ha dedicato un intero workshop, ponendolo di fatto in agenda per le prossime mobilitazioni del 2002. «Il prodotto interno lordo è obsoleto e fuorviante», spiega Roberto Brambilla che ha lavorato al Tavolo intercampagne del network ecopacifista, «è stato ideato negli anni 40 dall?economista Simon Kuznets per valutare se l?economia americana poteva far fronte allo sforzo bellico di allora». Sì, un indice vecchio di oltre sessant?anni, continua a essere utilizzato dagli organismi internazionali, Banca mondiale e Fondo monetario internazionale in testa, come parametro fondamentale per progetti di sviluppo e ristrutturazioni economico-sociali di interi Paesi. «Lo stesso Kuznets e molti altri esperti di contabilità nazioanale hanno provato per anni a impedire di utilizzarlo come indicatore di benessere ma senza successo», proseguono quelli di Lilliput. E così in nome del vecchio Pil «le società occidentali diventano praticamente cieche rispetto ai fondamentali bisogni del Sud del mondo». È infatti utilizzando il Pil che gli esperti dell?Organizzazione mondiale del commercio suonano il piffero della globalizzazione: è vero, ammettono, la forbice fra i Paesi più ricchi e quelli più poveri si è allargata; ma in valore assoluto gli individui poveri sono diminuiti. I poveri sono meno poveri, insomma., per il Pil dei loro Paesi è aumentato. Trillussianamente, mangiano un pollo a testa. I lillupuziani a queste semplificazioni non ci stanno e propongono un pacchetto di nuovi indici. Sono quelli che fanno parte del Dashboard of Sustainability, il cosiddetto ?cruscotto della sostenibilità? messo a punto dagli esperti dell?International for sustainable Development di Winnipeg, in Canada. «Con dashboard si definisce il software, sviluppato da Jochen Jesinghaus del Centro comune di ricerca della Commissione europea di Ispra (http://esl.jrc.it/dc/) in provincia di Varese», dice Brambilla, «che partendo da diversi parametri come l?aspettativa di vita, l?ambiente, le emissioni di CO2, relativi a regioni e nazioni li trasforma in indici che danno un quadro sintetico della situazione». Molti degli indici presi in esame dal Dashbord potrebbero sostituire efficacemente il Pil. A cominciare da quello elaborato dalla Commissione per lo sviluppo sostenibile dell?Onu e basato su quattro indicatori: sociale, ambientale, economico e istituzionale. Proprio quest?ultimo indicatore lascia però perplessi i lillipuziani: «Sembra fatto apposta per migliorare le nazioni più industrializzate», dicono quelli di Lilliput. Meglio allora gli indici del Consultative group for sustainable development indices-Cgsdi (http://iisd1.iisd.ca/cgsdi/), il gruppo di esperti che ha realizzato un sistema di monitoraggio dello sviluppo umano. Equipe che ha lavorato sui dati raccolti da John O?Connor, l?ex-capo del ?Programma indicatori? della Banca mondiale. Da questo pacchetto potrebbe uscire l?anti-Pil in grado di misurare efficacemente il grado di benessere di un popolo o di una nazione. Un indicatore che dovrebbe opporsi all?Esi, lanciato proprio recentemente dal World economic forum e che secondo Brambilla «un?impostazione più vicina al mondo degli affari». A Porto Alegre c?era anche Patrick Viveret, il sociologo che sta studiando per conto del segretariato di Stato per l?economia sociale i nuovi indicatori di ricchezza. Al Social forum lo studioso ha parlato della necessità di «costruire indicatori di ricchezza diversi cioè integrare l?economia con elementi ecologici e umani oggi assenti». Viveret si propone di «valorizzare valori ?altri? rispetto a quelli strettamente economici come gli affetti, le emozioni, costruire sistemi di scambi differenti, basati sui tempi», fino a creare un fondo pubblico «obbligatorio per le imprese distruttrici dei bene sociale per finanziare le associazioni che, per contro, contribuiscono a risparmiare costi sociali e ambientali». Insomma, spiega il sociologo, si tratta di inventare «nuove convenzioni».


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