Cultura

L’India di Dominique La Pierre

Un articolo di Dominique La Pierre pubblicato dal mensile Popoli

di Emanuela Citterio

“Bhopal, capitale dello Stato di Madhya Pradesh, è una città davvero fantastica, ricca di arte e di cultura. Negli anni Settanta, l’americana Union Carbide impiantò qui una fabbrica di Sevin, un pesticida considerato molto efficace, poco costoso e rispettoso dell’ambiente. Quella favola si trasformò in un incubo”. Dominique Lapierre è tornato a raccontare con un libro, Mezzanotte e cinque a Bhopal, una tragica pagina della storia recente. Quella che riportiamo è una sua riflessione, che ci è sembrata intensa e interessante, apparsa sulla rivista missionaria “Popoli”. “Nella notte del 2 dicembre 1984 una nube tossica fuoriuscita dallo stabilimento uccise 30mila persone e ne avvelenò mezzo milione” scrive La Pierre. “L’azienda non rivelò mai l’esatta composizione chimica della nube e oggi a Bhopal, quindici anni dopo, più di 150mila persone soffrono per le conseguenze di quell’incidente senza che nessuno garantisca loro i necessari trattamenti medici e neppure i giusti risarcimenti economici. L’arroganza degli ingegneri fu così grande da non rendersi conto di quanto fosse pericoloso collocare installazioni industriali chimiche nel bel mezzo di popolose città. Einstein affermava che “l’uomo e la sua sicurezza devono costituire la prima preoccupazione di ogni avventura tecnologica”. I tecnici della Carbide, invece, dissero agli abitanti di Bhopal che il loro stabilimento era inoffensivo come una fabbrica di cioccolatini. Qualche mese fa abbiamo avuto una piccola Bhopal in Francia, a Tolosa, con una trentina di vittime. E così abbiamo potuto scoprire che in Francia 1.240 fabbriche considerate “altamente pericolose” sorgono proprio nel centro delle città. In questi mesi tutte le nazioni occidentali hanno cercato Bin Laden, ma il presidente della Union Carbide, Warren Anderson, è scomparso dieci anni fa, e nessuno sa dove sia nascosto e l’India non riuscirà mai a ottenerne l’estradizione. Oggi, ancora in India, la Monsanto diffonde i semi geneticamente modificati, ma non credo che intenda fare diabolici esperimenti. Solo che 500 milioni di contadini rappresentano un enorme mercato per le biotecnologie. E neppure credo che esistano diversi standard di sicurezza in Occidente rispetto al Sud del mondo. Il Sevin è prodotto in Virginia, puoi comprarlo in tutti i garden center degli Usa. La logica del profitto fa sì che quando una fabbrica comincia a perdere soldi, perché costruita senza tenere conto del clima imprevedibile dell’India, si cominci a risparmiare sulle misure di sicurezza. A Bhopal si è risparmiato sulla refrigerazione delle tre cisterne piene di isocianato di metile (Mic), che doveva essere sempre tenuto a zero gradi e i cui vapori erano terribilmente tossici. L’India è un Paese dove la dimensione spirituale è assai profonda. Come cristiano sono rimasto molto impressionato dalla fede degli abitanti dei quartieri più poveri, dove sembrerebbe invece che Dio abbia abbandonato i suoi figli. Ma questo è il Paese delle grandi contraddizioni. L’India è un mosaico di razze, religioni, colori, culture. Eppure oggi è un solo Paese. È straordinario pensare che popoli così differenti accettino di vivere nello stesso Stato! In cinquant’anni è cambiata molto. Oggi c’è una nuova classe media totalmente autonoma, ricca, piena di inventiva, ma, al tempo stesso, aumentano i poveri. Siamo di fronte a due Indie: un’India di ricchi, di inventori, di esportatori e un’India di poveri. Questo abisso mi fa paura. Se negli anni futuri continuerà a crescere potremmo assistere a un’esplosione sociale, perché oggi la tv spiega a tutti i poveri delle bidonville di Calcutta che esiste un altro mondo, che esiste la possibilità di mangiare, di vestirsi e di educarsi. Se questi poveri si trovassero come guida un Mahatma Gandhi violento, quel giorno non vorrei trovarmi in India. Una delle più grandi sfide del secondo millennio consisterà nel sapere se l’Occidente sarà disposto a condividere le sue ricchezze con i più poveri del mondo oppure no. Il problema è capire attraverso quali strutture può essere possibile realizzare tutto ciò, impedendo alle classi ricche dei Paesi del Sud di diventare ancora più ricche a discapito delle masse povere. In India c’è una corruzione così diffusa che rende complicati gli aiuti. Non credo che le Nazioni Unite, l’Unicef o la Croce Rossa siano in grado di fare ciò. Il Terzo mondo di oggi è pieno di magnifiche realizzazioni, ospedali, dispensari e scuole, che sono tutte vuote, perché nessuno si è preoccupato di farle funzionare. Per un impiegato che vive nel suo ufficio climatizzato del Palazzo di Vetro di New York è molto difficile sapere quali sono i veri bisogni della gente del delta del Gange. Dobbiamo lavorare sul terreno con persone totalmente oneste e motivate. Privilegiando le piccole organizzazioni, che sono più efficaci, faremo in modo che ogni dollaro inviato in India vada davvero a vantaggio dei poveri. Non si tratta di glorificare la povertà, che resta un insulto alla dignità dell’uomo. Dobbiamo lottare contro la povertà in tutti i modi. La cosa davvero importante per me fu scoprire, in gravi condizioni di povertà, la presenza di valori eterni, quali il coraggio, la fede, la speranza. Ho incontrato gente che non aveva niente, eppure sembrava possedere tutto, perché aveva conservato la capacità di sorridere e di amare. Calcutta è una città di 12 milioni di abitanti, afflitta da ogni tipo di calamità. Più di 300mila persone nascono, vivono e muoiono sui marciapiedi e sopravvivono con meno di 5 centesimi di euro al giorno. Quando ho preso la decisione di destinare metà dei miei diritti d’autore a favore dei poveri di Calcutta, ho scelto la causa dei bambini lebbrosi. Sono 40-50mila in quella sola città. Non è un dramma nascere in una bidonville, lo è nascere in una famiglia di lebbrosi, perché la speranza di vita di un bambino lebbroso non supera i sei o sette anni. La lebbra è una delle malattie più diffuse, ma non solo, basta pensare alla tubercolosi ossea o alle infezioni intestinali o alla cheratite, che rende le sue vittime cieche per insufficienza di vitamine. Volevo fare qualcosa per cambiare questa situazione. I proventi di diciassette anni di lavoro giornalistico hanno reso possibile la cura di 8mila bambini. È una goccia nell’oceano dei bisogni, ma come diceva anche Madre Teresa, l’oceano è fatto di gocce d’acqua! Dall’uscita de La città della gioia ho ricevuto centinaia di lettere, e in quasi ogni busta c’era un assegno, un biglietto di banca, per aiutarmi nella mia azione umanitaria. Un giorno ho ricevuto due fedi nuziali, con questo messaggio: “Abbiamo portato questi anelli alle nostre dita con la più grande felicità, oggi vi domandiamo di venderli per aiutare i vostri amici”. Spesso mi torna in mente Madre Teresa. Una persona dalla quale ho imparato che possiamo cambiare le cose. Che possiamo fare qualcosa per alleviare le sofferenze della gente povera. Incarnava la compassione dell’umanità per i poveri. Fu un’esperienza straordinaria seguirla nei miseri quartieri di Calcutta e scoprire che tutti noi possiamo rendere il nostro mondo un po’ più giusto e generoso. Lei mi ha insegnato che cosa è la “forza dell’uomo”, ovvero la capacità di credere nei sogni, nelle giuste ambizioni”. Info: www.gesuiti.it/popoli


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