Non profit
Patologia o variante? I giovani chiedono di cambiare approccio al “ritiro sociale”
Per gli adulti è qualcosa di cui individuare le cause, da curare. Per gli studenti è una variante del percorso di crescita, che può capitare: da conoscere, di cui parlare, da inserire nell'orizzonte delle possibilità contemplate dalla società. Non per dire che è una scelta come un'altra ma perché i fattori preventivi - tutti quelli che hanno a che fare con la socializzazione del tema - per loro sono infinitamente più importanti di quelli curativi. Una sfida aperta agli approcci che abbiamo avuto finora
Ritirati sociali, urge cambiare punto di vista. C’è un messaggio forte che arriva a operatori e decisori di policy dall’Indagine sul ritiro sociale e scolastico condotta all’interno del progetto Giovani Connessi e presentata ieri all’interno del convegno "Ritirati e dispersi, strumenti e prospettive di lavoro". Il messaggio, che viene dai giovani – ossia da chi è più competente sul tema, perché lo vede da vicino e perché ne avverte il rischio – è che concentrarsi sulle cause che portano al ritiro sociale e scolastico di adolescenti e giovani non può più essere l'unico approccio al problema. Occorre uscire dagli schemi usati finora, che hanno quasi sempre e quasi solo patologizzato il ritiro sociale, per inserirlo invece a livello sociale, di comunicazione e di approccio di lavoro, tra le possibili varianti del percorso evolutivo. Che non significa “normalizzare” il ritiro sociale, ma parlarne di più, infinitamente di più, così che tante persone abbiano gli strumenti per affrontare il tema e accompagnare chi vive questa situazione. Significa puntare di più sulla prevenzione: per i giovani è questo ciò che conta.
Giovani Connessi è un progetto selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile (il soggetto capofila è Cgm) e parte dalla consapevolezza che il digitale sta guidando la vita dei nostri ragazzi: rimanere esclusi o non consapevoli rischia di allontanarli dalle opportunità o di imbrigliarli in aspetti pericolosi e devianti. Una delle azioni ha indagato il tema del Ritiro Sociale, grazie al contributo dell’Istituto Minotauro di Milano, che ha una specifica competenza in proposito. È stata indagata in particolare la percezione del ritiro sociale e scolastico da parte dei ragazzi, dei genitori, degli insegnanti e degli operatori, con differenze notevoli. L’indagine è stata realizzata nelle cinque regioni di progetto (Puglia, Marche, Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte) più Veneto, con 1.055 risposte ad un questionario di 103 items. Dall’indagine qualitativa così è emerso come i giovani siano portatori di un’idea nuova per contrastare il fenomeno del ritiro. A presentare la ricerca è Stefano Gastaldi, psicologo e psicoterapeuta.
«Il nostro è uno studio osservazionale, con un campione autoselezionato e solo in poche regioni, non è un’indagine statistica», premette Gastaldi, «ma è un lavoro che ci restituisce indicazioni molto interessanti. Intanto la percezione del fenomeno: c’è un po’ idea che le ragazze si ritirino di meno, che il ritiro sociale e scolastico si verifica maggiormente nel biennio delle scuole superiori o dopo il diploma, che il ritiro precoce, alle medie, sia più grave rispetto a quello di un ragazzo più grande, che il ritiro sociale sia molto più grave di quello scolastico». Ma l’aspetto più pregevole del lavoro è quello che riguarda le analisi fattoriali e le correlazioni tra fattori. «La sintesi è che generalmente gli adulti – intesi nel complesso di genitori, insegnanti e operatori – sono molto portati a cercare le cause del ritiro: personologiche, intrafamiliari, nella relazionale sociale ecc. Su quelle tarano l’intervento da fare. I ragazzi – che noi riteniamo testimoni privilegiati, per identificazione e per conoscenza – invece no. Da parte degli adulti c’è una grande attenzione alle caratteristiche della famiglia e del ragazzo, ritengono ad esempio che una famiglia iperprotettiva correli con il ritiro. I ragazzi invece no. Gli studenti in qualche modo dichiarano di aver bisogno di un grande aiuto sociale, di una società trasversalmente più sensibilizzata, di CAG, di parlarne scuola. Per gli studenti tutti gli item che hanno connotazioni di questo tipo sono correlati a fattori protettivi. Le risorse di prevenzione nella popolazione adulta non sono correlate in maniera così ubiquitaria quanto tra i giovani», racconta Gastaldi.
Delle due l’una, spiega Gastaldi: o liquidiamo questa indicazione dicendo che i ragazzi non sanno neanche loro di cosa hanno bisogno e quindi lanciano un generico SOS oppure davvero dalla loro vicinanza al fenomeno dobbiamo prendere atto che «c’è bisogno di un mutamento culturale profondo, di uscire dallo schema “cerchiamo la causa e curiamo la patologia” per considerare il ritiro sociale come una possibilità del percorso di crescita, non solo come una devianza da combattere e curare. Certo che dobbiamo essere capaci di curare, certo che guardare al ritiro come una variante non significa abbandonare a se stesso chi lo sta vivendo, ma allo stesso tempo dobbiamo avere uno sguardo più ampio che ci porti a studiare soluzioni e strategie più complessive. È necessario approfondire, ma la logica che emerge racconta qualcosa che sta avvenendo nel mondo dei più giovani e che noi adulti, nei nostri schemi, non riusciamo a vedere».
Foto Unsplash
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