Famiglia

Volontariato in crisi. Bologna chiude

Tra liti e fondi mai arrivati, ha ingloriosamente chiuso i battenti il Cesevobo, primo centro di servizio italiano. Caso o segnale d’allarme? Intanto c’è chi non ci sta

di Silvia Vicchi

Fu il primo a nascere, oggi è il primo a morire, ammazzato dalla lunga mano dei poteri forti. È questa la triste storia del Cesevobo, il Centro di servizio per il volontariato bolognese, fatto fuori in quattro e quattr?otto con una delibera (discussa) del Comitato di gestione (Coge). Non si può dire che i suoi dieci anni di vita siano stati tranquilli, soprattutto da un paio di anni a questa parte, da quando si è ammalato della peggior malattia del volontariato: la ricchezza. Trascorsi anni con apprezzamenti da ogni parte, ha iniziato a dover parare colpi, quasi tutti bassi, non appena sono arrivati i soldi. Miliardi rovesciati dalle fondazioni nelle casse del Coge, per essere distribuiti tra i centri di servizio regionali. Se prima battaglia c?era stata, era quella delle piccole associazioni che chiedevano maggiore partecipazione alla vita del centro, contro lo strapotere di un?anomala maggioranza formata da Avis, Anpas e Auser che, caso unico in Italia, a Bologna contavano un voto per sezione: 30 Anpas e Avis, una decina Auser. I soldi, quindi. Ma a decidere di chiudere il Cesevobo non sono state le associazioni che, riunite in assemblea, stanno lavorando per definire un progetto per un centro di servizio migliore. A decidere tutto è stato il Coge (tra l?altro in un momento in cui il presidente della Regione, Vasco Errani, era in missione in Brasile), di cui fa parte un membro dell?Avis e la cui vicepresidente, Miriam Ducci, è moglie del presidente regionale dell?Anpas. Ma c?è chi dice che la chiusura sia del tutto illegittima, come Gabriele Gavioli, revisore dei conti del centro: «Il Coge può chiudere un centro servizi solo per gravissimi problemi gestionali. Invece qui è tutto regolare. Non restava che fare qualcosa di illegittimo per non lasciar lavorare il consiglio direttivo». In effetti, tutto procedeva bene: 30 progetti sociali presentati e 15 finanziati a luglio, un progetto di primo livello finanziato a marzo dallo stesso Coge. A dicembre, però, tutto precipita: dei fondi accantonati dalle fondazioni, infatti, non si vede una lira. Così il consiglio del Cesevobo, dopo aver rischiato la chiusura per mancanza di fondi, è costretto alle vie legali e inoltra una diffida che apre i cordoni della cassa. Peccato che dalle fondazioni giunga voce che il Coge non aveva dato loro mandato per versare i soldi al Cesevobo! Ma un asso nella manica il Cesevobo ce l?ha: un dossier ricco di documenti giace già sul tavolo della Procura, dove si cerca di capire come il Coge abbia speso 300 milioni di lire in un anno di vita.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA