Famiglia

Il Global Compact: quando l’Onu fa appello alle imprese

Presentato oggi anche in Italia il "Patto Globale", il progetto di Kofy Annan che chiedere alle imprese un comportamento etico e coerente con i valori promossi dalle Nazioni Unite

di Barbara Fabiani

“Scegliamo di unire il potere dei mercati all’autorevolezza degli ideali universalmente riconosciuti. Scegliamo di riconciliare la forza creativa dell’iniziativa privata con i bisogni dei più svantaggiati e le esigenze delle generazioni future”, con queste parole contenute nel messaggio del segretario generale dell’Onu Kofi Annan è stato oggi presentato il Global Compact , ovvero il Patto Globale, con cui si fa appello alle imprese far aderire i loro comportamenti ai valori delle Nazioni Unite. Una fusione tra l’efficienza e l’efficacia dell’impresa e la spinta dei valori etici universali ( o, se si preferisce, i diritti umani) questo è il sogno e il progetto del Nobel per la pace Annan, diplomatico che nel suo passato ha una formazione economico-aziendale. Si tratta , in breve, di aderire spontaneamente a un codice deontologico in nove punti che coprono la sfera dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori e la tutela dell’ambiente. I nove principi del Global Compact che alle aziende è chiesto di rispettare sono: 1. sostenere e rispettare i diritti umani nell’ambito delle rispettive sfere di influenza 2. assicurarsi di non essere, seppur indirettamente, complici negli abusi dei diritti umani 3. di garantire libertà di associazione dei lavoratori e riconoscere il diritto alla contrattazione collettiva 4. di assicurarsi di non impiegare lavoro forzato e obbligatorio 5. di astenersi dall’impiegare lavoro minorile 6. di eliminare ogni forma di discriminazione nelle loro politiche di assunzione e di licenziamento 7. di avere un approccio preventivo rispetto alle sfide ambientali 8. di promuovere iniziative per una maggiore responsabilità ambientale 9. di incoraggiare lo sviluppo e la diffusione di tecnologie che non danneggiano l’ambiente Così facendo ,le aziende dimostrerebbero di avere un ruolo primario nello sviluppo d’impresa ; di condividere esperienze e informazioni con altre organizzazioni che siano aziende, istituzioni, sindacati, ong e organizzazioni internazionali; potranno massimizzare le opportunità commerciale includendo la dimensione sociale nella vision aziendale e attuando pratiche responsabili; e , fatto non secondario, verrebbero ad essere partner delle agenzie delle Nazioni Unite, compresa l’Oil, l’Alto commissario per i diritti umani, il Programma Onu sull’ambiente e l’UNDP; infine le imprese aderenti al Global Compact potranno partecipare a consultazioni orientate a trovare soluzioni alle problematiche globali, ad esempio riguardo al ruolo delle aziende nelle zone di conflitto. Per dimostrare la loro coerenza rispetto ai principi del GC le aziende si impegnano a informare a far partecipare al programma dipendenti, azionisti clienti e fornitori; ad aprire un dialogo con tutte le agenzie sociali con cui la loro attività entra in contatto e in particolare mettere in atto almeno un’iniziativa annuale in linea con quanto sottoscritto. Come aderire? Con una semplice lettera di dieci righe inviate direttamente dall’amministratore delegato al segretario delle Nazioni Unite. Ciò che convince meno rispetto alle ottime intenzioni dell’Onu nel legare in maniera più sostanziale l’impresa all’etica, sono le stesse debolezze e critiche rivolte ai tanti codice deontologici e di autoregolamentazione che circolano tra le imprese, e non solo tra quelle, ma che non prevedono né meccanismi di controllo né tanto meno provvedimenti sanzionatori. Meccanismi , questi, del tutto rifiutati dal mondo dell’economia, come ha ben esplicitato Antonio Colombo, direttore di Area impresa di Confindustria, parlando di un mondo che crede fermamente nella capacità delle regole del mercato di premiare i comportamenti etici senza nessuna interferenza normativa o sanzionatoria di alcun genere. Come a dire che se il “fare bene” è “ economicamente conveniente” questo basta a rafforzare i comportamenti etici rispetto a quelli non etici. Una posizione questa su cui forse anche Adam Smith avrebbe qualcosa da rivedere oggi, davanti all’oggettiva “convenienza” del “fare male” in sistemi di fortissima concorrenza e liberi da controlli, e che c’è comunque una differenza tra “fare il giusto” perché le cose sia convenienti e fare “il giusto”. Ma che una certa coerenza sia indispensabile l’ha ricordato, tra le voci del mondo economico presenti alla giornata, Davide Dal Maso, Segretario del Forum per la finanza sostenibile, mettendo in guardia sul fatto che pubblicizzarsi “socialmente sostenibili” per attirare azionisti sensibili e poi non mantenere le garanzie non è una strategia commerciale efficace a lungo termine, sempre che si sia interessati a questo tipo di clienti; ed è per questo che in mancanza dei meccanismi di controllo e sanzione ci deve essere almeno una volontà di ferro contro ogni conveniente scorciatoia o desiderio di strumentalizzazione. Ma basterà? I sistemi volontari di certificazione, che tanto spazio stanno prendendo in Europa e nel mondo industrializzato occidentale, in Italia non trovano grande riscontro come ha ricordato Marisa Parmigiani di Impronta Etica sottolineando che nel nostro paese solo 8 aziende hanno una certificazione di Social Accountability SA8000. Colpisce nella presentazione del Global Compact l’assenza di un esplicito riferimento alle organizzazioni non governative e alle associazione come strumento privilegiato per quel controllo e verifica della coerenza, come dimostrano gli unici casi in cui le imprese hanno fatto marcia indietro a comportamenti clamorosamente lesivi dei diritti umani (quando non è intervenuta la Legge). Quando Kofy Annan parlò per la prima volta del Global Compact al World Economic Forum di Davos del 2001 le organizzazioni non governative internazionali puntarono il dito proprio contro la possibilità di partnership economica tra agenzie Un e aziende GC, se queste ultime non erano neanche soggette ad alcuna verifica. Francesco Ferrante, direttore generale di Legambiente e, in modo più diplomatico, Paola Cutaia direttore generale di Amnesty International hanno espresso anch’essi qualche perplessità sull’efficacia di un programma impostato sulla sola buona volontà, sebbene esempi come l’Apindustria di Vicenza o la ABB Spa (per citarne due tra i molti riportati nell’incontro) dimostrino come la convinzione personale dei vertici dirigenziali possa fare la differenza. Considerto da un altro punto di osservazione, il Global Compact segnala una pressante necessità della società di ritrovare un dialogo e un legame positivo con il modo produttivo, e un’analoga sensibilità nascente anche nel mondo economico che di questa società in evoluzione fa parte. “La questione del rapporto tra Responsibility e Accountability è in effetti la critica più frequente al GC, insieme al rischio di strumentalizzazione”, ha detto Riccardo Moro, presidente di Cittadinanzattiva l’associazione che su incarico delle Nazioni Unite ha fatto da ospite alla presentazione in Italia del programma, anche in considerazione della sua avviata esperienza nella definizione di linee guida sulla cittadinanza di impresa. “E’ però importante aprire anche nel nostro paese una discussione con le aziende per aprirle ad una maggiore consapevolezza del loro ruolo sociale, ed anche per valorizzare le tante convinzioni positive che esistono nel mondo produttivo a questo proposito. Un appello come questo lanciato dalle Nazioni Unite non può essere non raccolto e discusso”. “Ad esempio, il Global Compact non può essere visto solo come uno strumento per migliorare i comportamenti delle aziende nel sud del mondo, ma anche di verificare il loro operato nel mondo sviluppato dove le esigenze sono forse meno drammatiche ma non assenti, penso ai diritti dei consumatori, alla trasparenza, alle questioni ecologiche” , ha concluso Moro. L’obiettivo del Global Compact è di raggiungere entro il 2002 l’adesione di 100 importanti multinazionali e 1000 altre imprese in tutto il mondo. Dall’apertura delle adesioni a luglio del 2001 ad oggi per l’Italia ha aderito solo l’ENI. www.cittadinzattiva.it www.unglobalcompact.org www.un.org/partners/business


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