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Quei saldi mortali: tutti gli attacchi alla 185/90

Il Parlamento affossa una legge di civiltà. L’Italia prevede severi controlli sulle esportazioni di armi, garanzie di cui si vogliono liberare le industrie belliche.

di Gabriella Meroni

Sino ad oggi quasi 2000 appelli sono stati scaricati dal nostro sito e inviati ai parlamentari. Le adesioni online (via e mail e direttamente sul sito) hanno superato le 3500. Non fermiamoci, iscrivetevi alla news letter di aggiornameto e raccontate in giro questa storia istruttiva, molto istruttiva. Dodici anni di civiltà rischiano di naufragare in Parlamento. Dodici anni conquistati dall?Italia in un settore delicatissimo, quello del commercio delle armi, in cui il nostro Paese vanta una delle leggi più avanzate al mondo. È la 185, voluta dalle organizzazioni della società civile, che prevede una serie di controlli (anche bancari) sul mercato delle armi. Grazie a essa, ogni anno il Parlamento è messo al corrente di quanti armamenti (dalle bombe ai Tornado, agli elicotteri da combattimento) vengono venduti dall?industria italiana, da quali aziende, a quali Paesi, attraverso quali banche. Non solo: la 185 stabilisce il divieto di esportare armamenti verso Paesi che violano i diritti umani. Un baluardo che dà l?almeno teorica sicurezza che nessuna arma prodotta sul nostro territorio finirà nelle mani di dittatori, regimi sanguinari, signori della guerra. Grazie a questa legge, abbiamo saputo che nel 2000 il giro d?affari dell?industria bellica è stato di 1.658 miliardi di lire, ricavati per il 68% da vendite a Paesi extra Ue ed extra Nato (soprattutto Africa ed Europa dell?Est). Grazie a questa legge, sappiamo che l?azienda numero uno per l?export di armi è la Agusta, e che le banche che più avallano queste transazioni sono il Banco di Roma e il Banco di Sicilia. Ma c?è un ma. Ormai da quattro anni, la lobby delle armi ha dichiarato guerra alla 185 con una strategia spregiudicata che proprio in questi giorni sta arrivando alla fase finale. Se niente accadrà, una legge civile e giusta sarà cancellata in nome di dichiarati interessi bellici che, guarda caso, hanno saputo coagulare il consenso di quasi tutte le forze politiche, di destra e di sinistra. Ecco come è potuto accadere. Farnborough, settembre ?98 Nel corso dell?Air show che ogni anno si tiene in questa cittadina inglese, i governi italiano (allora presieduto da Romano Prodi), francese, tedesco e britannico firmano un accordo che istituisce l?Organizzazione congiunta per la cooperazione in materia di armamenti (Occar), una struttura che nasce con l?obiettivo di «migliorare la competitività dell?industria militare europea e l?efficacia della gestione dei progetti di cooperazione, e promuovere i contatti tra le imprese». La valenza, apparentemente economica, del patto non deve trarre in inganno perché nel testo sono già presenti tutte le indicazioni per svuotare di contenuti ed efficacia la 185. Primo, perché Occar avoca a sé (togliendolo ai Parlamenti) il controllo sugli scambi internazionali di armamenti. Secondo, perché si attribuisce una personalità giuridica che le permette di avere capacità negoziale propria (stipula di contratti, assunzione di personale). Terzo, perché il testo dell?accordo non prevede criteri etici nella scelta dei Paesi o istituzioni con i quali Occar può concludere contratti. E pensare che nello stesso 1998 l?Unione europea approva un Codice di condotta per le relazioni con Paesi terzi nel commercio di armamenti. Ma come si sa, una cosa sono le buone intenzioni dei parlamentari di Bruxelles, ben altro i contratti che contano, firmati da ministri con la testa sulle spalle. I quali, previdenti, dispongono che Occar sia al riparo da qualsiasi accordo internazionale ratificato dai Parlamenti nazionali. Roma, 31 dicembre 1999 La guerra del Kosovo si è conclusa da meno di sei mesi. La necessità di coproduzioni di armamenti europei è evidente. E così, nell?ultimo giorno dell?anno, il governo D?Alema tenta di far approvare la legge di ratifica dell?istituzione di Occar. Ma la manovra, data la vigilanza delle associazioni (in particolare di Amnesty International) non riesce. «Ci fu una levata di scudi senza precedenti», ricorda Emilio Emmelo di Amnesty. «Riuscimmo a mobilitare l?opinione pubblica e alcuni parlamentari, tanto che il progetto si arenò. E meno male, perché quella proposta di legge conteneva già l?istituzione della ?licenza globale di progetto?, il cavallo di Troia che permette di sottrarsi a qualunque controllo». In pratica, se un programma di coproduzione di armi tra Paesi aderenti a Occar viene ?insignito? della licenza globale di progetto, diventa automaticamente esente da qualunque tipo di verifica. La decisione di concedere la licenza spetta al governo italiano che, come vedremo, non ha bisogno di farsi pregare per apporre il proprio sigillo. Roma, 15 novembre 2000 Governo nuovo, politica vecchia. Quel che non riuscì a D?Alema, riesce a Giuliano Amato, sotto la cui presidenza si ratifica l?accordo del 1998, e l?Italia aderisce a Occar (legge 348/00). Da qui in poi, i sostenitori delle modifiche alla legge 185 avranno un?ottima scusa per dire che l?Italia non poteva (e non può) sottrarsi ad accordi europei. Un argomento che in questi giorni sta utilizzando anche la sinistra, che accusa il governo di essere ?euroscettico?. Peccato che in questo caso essere euroscettici significherebbe salvaguardare ciò che di buono il nostro Paese ha messo in campo dal 1990, in termini di rispetto della pace e dei diritti umani. Ma il 2000 è un anno importante anche per un altro avvenimento: sempre all?Air show di Farnborough, in luglio, l?Italia e gli altri partner (cui si sono aggiunti Spagna e Svezia) firmano un altro decisivo accordo, delle cui conseguenze si discute in questi giorni in Parlamento. Si chiama Framework Agreement, e dà il definitivo colpo di spugna alla legge 185, introducendo una licenza globale di progetto più flessibile, che ?salta? tutti i controlli. Roma, febbraio 2002 Ed eccoci ai giorni nostri. In soli otto giorni, dal 22 al 30 gennaio, le commissioni Esteri e Difesa della Camera approvano un disegno di legge (il 1927) che ratifica il Framework Agreement. Sul testo si realizza una convergenza senza precedenti: all?ovvio plauso del relatore, onorevole Cesare Previti (di Forza Italia, ex consigliere di amministrazione di Alenia) si aggiunge quello dell?onorevole Marco Minniti (Ds, ex sottosegretario alla Difesa nel governo D?Alema), che definisce il provvedimento «di grande rilievo». Qualcuno si oppone? Macché: nessun emendamento è presentato, anche perché le due deputate contrarie al provvedimento, Elettra Dejana (Prc) e Laura Cima (Verdi), sono assenti giustificate. Ora il ddl andrà in aula, forse a marzo, dove verrà accolto presumibilmente con la stessa benevolenza bipartisan, e se passerà, diventerà legge dello Stato Ma è proprio vero che l?Italia ?deve? ratificare il Framework Agreement? «L?Italia doveva ratificare, il problema è che ha voluto spingersi oltre il testo», spiega Francesco Terreri dell?Osservatorio sul commercio delle armi di Firenze. «Se l?accordo infatti prevedeva la possibilità per ciascun Paese di porre un veto sulla destinazione finale delle armi prodotte, il disegno di legge italiano non contempla questa via di uscita. E introduce altri due elementi pericolosi: non limita la licenza globale di progetto agli Stati aderenti a Occar, ma la estende a tutti i Paesi Ue e Nato; oltre a ciò, ed è questo l?aspetto più inquietante, comprende anche gli accordi tra singole aziende». Insomma: non solo Italia, Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna e Svezia potranno coprodurre armi e spedirle in tutto il mondo senza controlli, ma potranno anche coinvolgere in questi affari bellici Paesi terzi come la Turchia (su cui gravano pesanti accuse di violazioni dei diritti umani), e addirittura permettere a singole aziende di ciascun Paese di commerciare con qualunque soggetto del mondo. Dittatori compresi.


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