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Sul rifugio più alto d’Europa per promuovere la donazione di organi, tessuti e cellule

"Fragili rocce", si definiscono così i sognatori in cordata che tenteranno la scalata a Capanna Margherita, il Rifugio più alto d’Europa, a 4556 metri, sul Monte Rosa. Sono cinque persone fragili: chi trapiantato di polmoni, chi affetto da fibrosi cistica, chi trapiantato di reni, che mai avrebbero pensato di poter osare un sogno di tale portata.

di Sabina Pignataro

Il prossimo 17 e 18 luglio si compirà un’impresa mai tentata prima. Una scalata a Capanna Margherita, Il Rifugio più alto d’Europa, a 4556 metri, da parte di un gruppo di fragili: cinque persone, (chi trapiantato di polmoni, chi affetto da fibrosi cistica, chi trapiantato di reni, da diverse parti d’Italia) che mai avrebbero pensato di poter osare un sogno di tale portata. Ad accompagnarli, oltre 40 persone, tra parenti, amici e sostenitori di AIDO. In cordata, seppure a distanza, anche altri pazienti trapiantati o in attesa di trapianto, che parteciperanno “moralmente” all’impresa.

“Capo-cordata” Valeria Lusztig, trapiantata di polmoni dal 2017 e affetta da fibrosi cistica, non nuova a queste imprese: lo scorso 23 agosto salì al Balmenhorn o Cristo delle Vette, a 4156 metri, sempre nell’ambito del suo progetto “Guardami Adesso”, con il quale organizza “spedizioni di riscatto” a scopo benefico, raccontando nei cammini e nelle scalate la “rinascita” di persone, in particolare donne, con storie sanitarie difficili alle spalle. “Guardami Adesso” è anche il titolo del suo ultimo libro, in cui Valeria racconta la sua “scalata invisibile” condotta tra malattia, trapianto, rigetto e una serie di rinascite fino alla scalata vera, oltre i 4000 metri, per celebrare la vita e i suoi incontri.

Io sono Valeria.

Lo scorso anno, a due anni e otto mesi dal trapianto bipolmonare, sono salita sul Balmenhorn a 4165 metri. L’ ho fatto per ricordare un’altra impresa, di un altro ragazzo, trapiantato e affetto, come me, da fibrosi cistica, che ci ha lasciati nel maggio del 2019.
E l’ho fatto soprattutto perché, a parte il benestare dei medici e di mia figlia, che erano gli unici a contare per me, lo trovo un modo dirompente e originale per dimostrare una cosa semplice: che la vita dopo il trapianto, se e quando possibile, non è sul divano, tra le mura di casa. Ma è una possibilità continua di misurarsi con se stessi e con un mondo che prima di ricevere una nuova vita ci era precluso.
Questa volta ho voluto con me altri amici trapiantati: persone che conosco capaci di allenamenti sfidanti, di potersi misurare con la fatica e con la bellezza di avere un obiettivo personale e comune insieme: raggiungere la vetta per eccellenza, il rifugio Capanna Margherita, a 4556 metri, sempre sul massiccio del Monte Rosa.
Sto dando tutta me stessa sia in allenamenti che ogni giorno mi riportano ai limiti evidenti e sopraggiunti dei miei preziosi organi, sia nella organizzazione di ogni aspetto del progetto, attraverso il mio alter ego: “Guardami adesso”, un libro, e insieme un progetto che vuole proprio organizzare a scopi interamente benefici cammini e trekking per persone rinate dopo storie sanitarie difficili.

E allora mi guardo anche adesso e la mia vetta avrà un altro nome: consapevolezza. Arriverò fin dove gambe, respiro e testa mi porteranno, ma una cosa la so: tenteremo di salire in alto, e lo faremo insieme, per onorare la scalata più importante, quella che si compie da fermi, su un letto d’ospedale.

La scalata a Capanna Margherita è un grande evento di sensibilizzazione alla donazione di organi, cui legare anche una raccolta fondi a favore di AIDO disponibile su Rete del Dono al link AIDO sul tetto d’Europa | Rete del Dono e, insieme, un ricordo commosso di Marco Menegus, amico di Valeria, trapiantato bipolmonare: Marco era affetto come lei da fibrosi cistica e nel 2018 aveva tentato la salita a Capanna Margherita, arrivando fino al colle del Lys.

Ad avere l’idea e ad accompagnarlo fu Luca Colli, carabiniere in congedo, soccorritore CRI ma soprattutto alpinista estremo che ha già conquistato 9 delle 11 summits (ultima, nel 2019, l’Everest) e che sarà in cordata per questo grandioso progetto. Luca già nel 2014 “aprì una via” organizzando l’epica salita a Capanna Margherita di Luca Barisonzi, alpino in Afghanistan, rimasto paralizzato.

Medico di spedizione, con un percorso di visite personalizzate e di affiancamento e monitoraggio nelle uscite di acclimatamento, il dottor Luigi Vanoni, socio della Federazione Medico Sportiva Italiana (FMSI), consigliere dell’Associazione Medico Sportiva Varesina, esperto di Medicina di Montagna, nonché vicepresidente della Commissione Centrale Medica del Club Alpino Italiano (CAI). Sportivo praticante e grande appassionato di montagna, con all’attivo numerose ascensioni oltre i 4.000 metri (quasi tutte le cime del Monte Rosa – inclusa la punta Dufour – il Gran Paradiso, il Monte Bianco per due volte) e due oltre i 5.000 metri (il monte Ararat in Turchia e il monte Kala Patthar in Nepal – 5643 m.) accompagnerà i pazienti in vetta, coordinando l’azione dei medici coinvolti nella spedizione. Vanoni fu medico in cordata, sempre in collaborazione con Luca Colli, nelle spedizioni “Touching the Sky” (Luca Barisonzi – alpino tetraplegico alla Capanna Margherita nel 2014) e “Urlando contro il Cielo” (Marco Menegus – trapiantato bipolmonare per fibrosi cistica – 2018).

Partner scientifico del progetto è il CeRiSM research center – Rovereto (TN), centro di ricerca sport e montagna di Rovereto, che ha monitorato il gruppo in fase preliminare con test sotto sforzo e in quota simulata a 4100 m. In particolare il dott. Aldo Savoldelli e il dott. Gianluigi Dorelli, coordinandosi con il dott. Luigi Vanoni. Dal Reparto di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano (TO), si unisce anche la dott.ssa Federica Muraca. I medici presenti durante la salita saranno, quindi, quattro, oltre a soccorritori ed infermiere. La spedizione, grazie ai dati raccolti, sarà oggetto di una tesi di ricerca.

I passi che portano in cima sono stremati e però leggeri, sei al punto di massima usura del corpo, del massimo di perdita di peso, muscoli e cellule cerebrali, sei al ronzio di alveare nel tuo corpo, un rumore di fibre che si afferrano tra loro, compattano i tessuti: la cima finalmente. È il più certo dei limiti sul quale metti i piedi. Non so cos’è per un prigioniero il giorno di fine pena, cos’è per un malato l’arrivo dell’alba, cos’è per uno scrittore l’ultima parola del suo libro, ma deve somigliare alla cima, la promessa mantenuta al ragazzino che strepita in ognuno di noi.

Erri De Luca

AIDO legge questa frase come in uno specchio: non sa cosa significhi arrivare alla cima di una montagna ma deve somigliare al ritorno alla vita grazie al trapianto, a quella “chiamata” dopo tanta attesa, sospesi tra la vita, che ti sta abbandonando, e la morte, che corre a passi veloci. Deve essere simile a quell’alba dopo faticosa oscurità, a quel giorno di fine pena, a quell’ultima parola di un libro giunto al termine. Deve essere come una promessa a quel cuore giovane dentro ognuno di noi. La promessa di continuare a promuovere la donazione, la solidarietà, la salute, la vita.

Tra i fragili in cordata ci saranno anche Gabriel Zeni, studente ventisettenne di ingegneria del veicolo, affetto da fibrosi cistica ma alpinista a tutti gli effetti, con tante cime all’attivo (Marmolada, Presanella, Visoz, Cevedale, Gran Zebrù), Mirko Dalle Mulle, trapiantato per due volte di rene, Vice Presidente AIDO Provinciale Belluno, che ha anche il merito di aver portato questa in AIDO, Antonella Tegoni, quarantunenne trapiantata di polmoni da 7 anni a causa della fibrosi cistica, e Samantha Ciurluini, trapiantata bipolmonare da cinque anni e atleta della nazionale di pallavolo trapiantati e dializzati che ha già affrontato i 5895 metri del Kilimangiaro nel 2017 e un altro ragguardevole 4000 in Marocco, due anni fa. Finora è l’unica trapiantata polmonare, insieme a Marco e Valeria, a essere finora salita oltre i 4.000 metri.

“Sono Gabriel, ho 27 anni e convivo dalla nascita con la Fibrosi Cistica e da due anni con il diabete secondario a Fibrosi Cistica. Sentire l’aria fresca e frizzantina entrare nei polmoni e riempirli è una sensazione impagabile. Mi alleno e mi curo per andare in montagna, salire le cime e provare quella sensazione, che ogni volta è diversa. Questa è stata la più grande arma contro la Fibrosi Cistica fino ad oggi. Col tempo ho iniziato a volermi spingere ogni volta un pochino oltre al mio limite fisico. Molte persone salgono perché è il loro sogno, altre per aggiungerla al curriculum alpinistico, io salgo per quel respiro che caratterizza ogni cima

“Sono Mirko e da pochi mesi ho ricevuto il mio secondo trapianto di Rene. Ho affrontato anni difficili, di mancanze e di significative privazioni in emodialisi. Per questa seconda vita, vorrei poter festeggiare il primo anno sul rifugio più alto d’Europa: Capanna Margherita. Un nuovo percorso impervio e difficile sotto il punto di vista fisico, ma spiritualmente affronto questa sfida portando nel cuore il mio angelo donatore e due amici trapiantati, loro stessi mi accompagnano nei miei allenamenti”.

“Sono Antonella, trapiantata di polmoni da 7 anni a causa della fibrosi cistica. Cos’è per me la salita a Capanna Margherita? Per me che da sempre ho come elemento di vita il mare, è una fantastica possibilità….questa scalata è la vita, la vita che sale, la vita che cambia che ogni giorno ti sorprende. Mi apro a questa esperienza con il cuore colmo di gratitudine e voglia di sorprendermi, di imparare, di sognare sempre più intensamente, con l’intenzione di non perdermi nulla di questa meravigliosa esistenza. Faticando, ma continuando a salire.

“Sono Samantha, una delle ragazze fragili del progetto capanna Margherita che si terrà il 17 e 18 luglio. Ogni volta che affronto una scalata associo la salita al periodo della malattia, cosi passo dopo passo arrivo alla vetta, pensando alle diverse tappe della mia vita, pensando anche a tutti quelli che loro malgrado non sono stati fortunati come me e non ce l’hanno fatta e allo stesso tempo spero di essere di stimolo a quanti stanno ancora lottando.

Fragili rocce, si definiscono così i nostri sognatori in cordata. Un ossimoro quanto mai azzeccato per rendere “tutta la forza che ci vuole per essere dei fragili”, affrontare una malattia, vincere o perdere.

L’Associazione Italiana per la Donazione di Organi, Tessuti e Cellule, abituata a trarre tutta la sua forza proprio dai più deboli, gli oltre 8.000 pazienti in lista d’attesa per il trapianto, incarna perfettamente il senso di questa definizione, pronta a fissare con loro e per loro, sul tetto d’Europa, la bandiera della cultura della donazione di organi, tessuti e cellule. La bandiera di AIDO. Per sostenere AIDO in questa impresa, è possibile affetturare una donazione al link AIDO sul tetto d’Europa | Rete del Dono.

In apertura, foto di Henry Xu by Unsplash

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