Welfare

Legacoopsociali, «In cella aumentano i plurisvantaggiati, vogliamo essere coinvolti»

Le cooperative sociali chiedono per voce della Legacoopsociali di iniziare a lavorare ai diversi livelli, centrale e locale, con l’istituzione di un ‘carcere nuovo’, ma anche per la co-programmazione e la coprogettazione

di Redazione

«Basta isolare le cooperative sociali, co-progettare mettendo al centro l’inclusione lavorativa per i detenuti e la giustizia riparativa: aumentano soggetti plurisvantaggiati e il rischio di un “carcere sociale”». E' questo il grido d'allarme che arriva da Legacoopsociali.

In un momento così difficile per il mondo “carcere”, è opportuno che la politica riporti l’attenzione sui drammi che si stanno consumando all’interno di questi luoghi che la Costituzione definisce “di rieducazione”, considerato l’alto numero di suicidi che sta colpendo gli istituti del nostro Paese. A dieci giorni dal voto Legacoopsociali interviene sulla situazione degli istituti penitenziari e rivendica il proprio ruolo che non può essere quello di cui servirsi quando è necessario. «La cooperazione sociale di inserimento lavorativo durante la pandemia è riuscita a macchia di leopardo a mantenere aperti i servizi e le attività – dichiara Loris Cervato, coordinatore del Gruppo Carcere di Legacoopsociali – Si osserva da alcuni anni l’evoluzione della composizione della popolazione detenuta verso il ‘carcere sociale’: aumentano le persone con problemi di dipendenze varie, invalidi, con problemi psichiatrici, stranieri senza documenti e senza speranza di ottenerli, in poche parole soggetti plurisvantaggiati. Diviene problematico per le cooperative trovare, nella pur numerosa popolazione detenuta, l’idoneità minima a intraprendere percorsi di inserimento lavorativo».

Legacoopsociali chiede di iniziare a lavorare ai diversi livelli, centrale e locale, con l’istituzione ‘carcere’ per la co-programmazione e la coprogettazione. Per migliorare il rapporto con le istituzioni carcerarie è importante utilizzare tutti gli strumenti normativi di cui l’ordinamento italiano dispone. «Lavorare con le diverse componenti dell’istituzione (area sicurezza e area educativa) – aggiunge Cervato e con la rete del territorio della cooperazione sociale sui temi della rieducazione, della giustizia riparativa, della salute, anche a partire da una formazione congiunta dei diversi soggetti coinvolti.

Le cooperative sociali hanno dedicato alla ‘giustizia riparativa’ un approccio nuovo, non alternativo alla giustizia ‘ordinaria’, ma con al centro i diritti delle vittime di reati e la mediazione penale e sociale come strumento di lavoro e come presa di coscienza da parte degli autori di reato».

In vista delle prossime elezioni politiche del 25 settembre, la cooperazione sociale attiva in carcere ha elaborato alcune richieste da presentare alle forze politiche che si candidano alla guida del Paese.

In un momento così difficile per il mondo “carcere”, è opportuno che la politica riporti l’attenzione sui drammi che si stanno consumando all’interno di questi luoghi che la Costituzione definisce “di rieducazione”, considerato l’alto numero di suicidi che sta colpendo gli istituti del nostro Paese.

In particolare, le cooperative sociali associate a Legacoopsociali chiedono:

Di essere coinvolte in questa fase post Covid in modo più diretto.

La cooperazione sociale di inserimento lavorativo durante la pandemia è riuscita a macchia di leopardoa mantenere aperti i servizi e le attività, laddove è riuscitaa far valere e rispettare le varie norme che di volta in volta venivano emanate a livello nazionale e regionale. Ciò ha richiesto grande impegno da parte delle cooperative, visto lo scollamento tra istituzione carcere e sanità penitenziaria e la propensione dell’istituzione carcere a rispondere all’emergenza con la chiusura e l’autarchia, senza puntare sulla pianificazione e la collaborazione con il Terzo settore (si veda l’esempio della ‘compartimentazione, prevista e quasi mai praticata nei casi di focolai covid19).

Pertanto, deve essere evidenziato che la cooperazione sociale con grande fatica e impegno ha continuato a lavorare per garantire i servizi a favore delle persone detenute e il loro inserimento lavorativo.

Le cooperative sociali avvertono un senso di abbandono e di solitudine, avvertono il carcere come un luogo lontano dall’attenzione dei media, della politica e delle imprese; avvertono che l’istituto pubblico penitenziario vive la relazione con le cooperative sociali come se fossero un soggetto di cui servirsi quando ne ha bisogno; la sensazione di isolamento e di “messa all’angolo” è percepita come reale e vissuta come il vero ostacolo ad un rapporto collaborativo con gli istituti di pena.

Di affrontare in modo congiunto, articolato e concreto l’evoluzione della popolazione detenuta verso il ‘carcere sociale’ con interventi pluriennali e risorse economiche adeguate

Si osserva da alcuni anni l’evoluzione della composizione della popolazione detenuta verso il ‘carcere sociale’: aumentano le persone con problemi di dipendenze varie, invalidi, con problemi psichiatrici, stranieri senza documenti e senza speranza di ottenerli, in poche parole soggetti plurisvantaggiati. Diviene problematico per le cooperative trovare, nella pur numerosa popolazione detenuta, l’idoneità minima a intraprendere percorsi di inserimento lavorativo, resi molto complicati anche dall’uso eccessivo di psicofarmaci.

L’Amministrazione Penitenziaria pare non rendersi conto di questo processo in corso, non se ne rinviene consapevolezza neppure nel lavoro svolto dalla Commissione Innovazione della Ministra Cartabia e nel documento recente del CNEL ‘Pena e lavoro’. La proposta delle cooperative è duplice:

  1. laddove negli istituti penitenziari ci sono opportunità di lavoro che richiedono competenze non presenti nella popolazione detenuta, favorire gli interpelli che permettano a persone detenute con i requisiti che lo desiderano di trasferirsi,
  2. iniziare a coprogrammare e coprogettare con altri ministeri, con cooperative e strutture del territorio esperienze di ‘comunità’ e di ‘lavoro assistito’. È importante che questa popolazione povera e senza speranze abbia la possibilità e la dignità di accedere ad attività e a un reddito minimo.
  3. Fare in modo che in tutti gli istituti penitenziari vi siano possibilità lavorative per i detenuti. Noi osserviamo che negli Istituti spesso gli spazi non sono sufficientemente fruibili sia per motivi di “sicurezza” che per motivi di mancanza di personale da dedicarvi. I detenuti si devono accontentare di turni periodici solo ed unicamente per accedere a lavorazioni (esempio le pulizie dei corridoi, occuparsi della trascrizione della spesa, portare il carrello del pranzo e cena… etc…) non esattamente qualificanti ma utili solo all’osservazione del comportamento ed a dotare di poche economie le persone che vi aderiscono. Questo non è più sufficiente per una detenzione che sia effettivamente rieducativa e che produca processi di cambiamento. La cooperazione sociale, attraverso la cooprogettazione e l’utilizzo di spazi da mettere a norma può collaborare a rendere gli istituti non solo luoghi più umani ma anche dove sviluppare competenze spendibili nei vari territori dove poi la popolazione detenuta dovrà rientrare. E’ fondamentale che questo avvenga su tutto il territorio nazionale e ancora di più a sud del Paese dove esistono sacche di marginalità, disoccupazione e povertà estreme che trovano “risposte “ sono negli agiti devianti e nell’illegalità.
  4. È opportuno che gli interventi che vengono programmati a favore della popolazione detenuta abbiano un respiro ampio in termini di tempo, siano pluriennali, dando l’opportunità alle cooperative sociali di operare investimenti mirati e strutturare attività e servizi che non siano di basso profilo, ma che possano avere una loro continuità nel tempo; le risorse devono essere adeguate agli impegni e agli obiettivi che si vogliono raggiungere, all’interno di un quadro programmatico di sviluppo delle attività lavorative e rieducative.

Di iniziare a lavorare ai diversi livelli, centrale e locale, con l’istituzione ‘carcere’ per la coprogrammazione e la coprogettazione.

Per migliorare il rapporto con le istituzioni carcerarie è importante utilizzare tutti gli strumenti normativi di cui l’ordinamento italiano dispone; in particolare la recente riforma del terzo settore e l’art. 55 può risultare utile per creare forme di collaborazione più stretta e di cooprogrammazione (analisi della realtà e dei bisogni) e coprogettazione con la pubblica amministrazione; tra i maggiori problemi emersi si è evidenziata la mancanza di un coordinamento tra l’istituto carcerario e la cooperazione sociale e l’art. 55 potrebbe creare le condizioni per colmare questo vuoto.

Di lavorare con le diverse componenti dell’istituzione (area sicurezza e area educativa) e con la rete del territorio della cooperazione sociale sui temi della rieducazione, della giustizia riparativa, della salute, anche a partire da una formazione congiunta dei diversi soggetti coinvolti

Per sviluppare una proposta di lavorare sul progetto di legge relativo al budget di salute, come presa in carico del detenuto e delle sue problematiche, in una visione globale (salute, lavoro, sociale, relazioni, abitazione). Da sempre, infatti, le cooperative sociali agiscono non nel solo ambito ‘lavoro’, ma con la presa in carico della persona detenuta a tutto campo, sia nell’esecuzione penale ‘dentro’ che in quella esterna, con al centro il tema della rieducazione ai sensi dell’art. 27 della Costituzione Italiana, anche in alcuni istituti con la partecipazione al Gruppo Osservazione e Trattamento (GOT), previsto dalle circolari del Ministero della Giustizia. Particolare attenzione in questi anni le cooperative sociali hanno dedicato alla ‘giustizia riparativa’ come approccio nuovo, non alternativo alla giustizia ‘ordinaria’, ma con al centro i diritti delle vittime di reati e la mediazione penale e sociale come strumento di lavoro e come presa di coscienza da parte degli autori di reato. È forte da parte delle cooperative la volontà di collaborare su questo tema sia con Terzo settore che con il personale dell’Amministrazione Penitenziaria, ed è auspicabile e richiesta una formazione congiunta su questi temi.

La giustizia riparativa inoltre deve essere collocata in un percorso che sia di reale consapevolezza attraverso un lavoro che la cooperazione sociale può proporre su due fronti fondamentali

  1. Lavorando sulla persona (detenuta che sta finendo il suo percorso detentivo e/o che inizia a fruire di permessi premio o che possa accedere a misure alternative) con competenze mirate (psicologi, sociologi educatori, mediatori culturali) per affrontare i temi della condizione personale individuale e di contesto oltre che familiare, prevedendo tempi congrui attraverso sportelli ad hoc territoriali (sportelli di educazione alla legalità ed accompagnamento alla cittadinanza attiva)
  2. Offrendo delle opportunità esperienziali lavorative e di potenziamento delle competenze relazionali legate alla gestione del bene comune, trasferendo all’utenza i valori dell’importanza del bene comune come elemento cardine del vivere legale e sociale.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.