Famiglia

Il gene che manca a 14 bambini in Italia

Secondo la letteratura, in Italia i bambini con la sindrome da microdelezione 5q14.3 sono 14. La mamma di Jacopo ha rintracciato sei famiglie, ora cercano le altre sette perché «confrontarsi è fondamentale, chi è più avanti stimola e rincuora le famiglie con bimbi più piccoli»

di Sara De Carli

La sindrome di Jacopo ce l’hanno in 14 in tutta Italia. Sette famiglie si sono trovate grazie ai social e ora stanno cercando le altre sette: «Confrontarsi è fondamentale. Chi è più avanti stimola e rincuora le famiglie con bimbi più piccoli: “Vedrai, non demordere, non pensare che non tuo figlio non potrà fare niente”. Più siamo, più possiamo pensare di fare rete e di creare un’associazione che in futuro possa essere un sostegno. Magari siamo più di 14 e non lo sappiamo, ma se non bussiamo e non chiediamo, come ci arriviamo alle altre famiglie? Ognuno continuerà a pensare di essere solo». A parlare così è Nicoletta, la mamma di Jacopo. È lei che sta cercando gli altri bambini con una diagnosi di sindrome da microdelezione 5q14.3

Le “parole chiave” per questa ricerca sono due: 5q14.3 che è il nome della microdelezione di Jacopo e MEF2C che è il gene che gli manca. Mamma Nicoletta le altre famiglie le ha trovate seguendo queste due chiavi, navigando il web alla ricerca di informazioni sulla sindrome di suo figlio. «Quando nei commenti trovavo un nome italiano, provavo a contattarlo. È iniziato tutto così». Roma, Palermo, Treviso, Modena, Bologna, Busto Arstizio… quelli che si sono trovati ad aprile 2021 hanno aperto su Facebook il “Gruppo famiglie 5q14.3 mef2c Italia”. «5q14.3 indica il punto in cui doveva stare il gene MEF2C, un gene la cui assenza comporta grave ritardo mentale, ritardo neuropsicomotorio, assenza di linguaggio, epilessia, bruxismo. Questa è la descrizione clinica della situazione di Jacopo. Da mamma, per descrivere Jacopo direi innanzitutto che è bellissimo», dice Nicoletta.

Più siamo, più possiamo pensare di fare rete e di creare un’associazione che in futuro possa essere un sostegno. Magari siamo più di 14 e non lo sappiamo, ma se non bussiamo e non chiediamo, come ci arriviamo alle altre famiglie? Ognuno continuerà a pensare di essere solo»

La famiglia di Jacopo vive a Roma. Lui ha 8 anni e una sorella gemella. «Abbiamo desiderato a lungo un bambino, 4 anni e mezzo: quando sono rimasta incinta, pensavo di aver già dato quanto a sofferenza. Alla sesta settimana l’ecografia ci ha mostrato due gemelli, con due camere gestazionali: è stata la nostra fortuna, perché hanno avuto due percorsi diversi. Sono nati a termine, bellissimi, due bambini da pubblicità. Nessuno ha sospettato alcuna anomalia», ricorda mamma Nicoletta. Tempo 4 giorni e in realtà lei inizia a notare che Jacopo e la sorella Sofia sono molto diversi: «Lei era paciosa, mangiava e dormiva. Lui piangeva sempre, non si attaccava al seno, non voleva essere quasi toccato, non mi guardava, mi sentivo rifiutata… A 40 giorni il nostro pediatra, Federico Marolla, gli ha diagnosticato una spiccata instabilità neuromotoria, “Io non so dirti ancora esattamente cos’ha tuo figlio, ma qualunque cosa sia la affronteremo insieme”. Quelle parole mi hanno salvato: ci ha ascoltato, ci ha preso per mano come un papà, ci ha orientati. Perché quando ti capita una cosa così, non puoi essere altro che impreparato. E nonostante tutti i miei sentori e il confronto continuo con le tappe evolutive della sorella – il primo sorriso Jacopo me l’ha fatto a sette mesi – da genitore non è facile accettare una diagnosi». La diagnosi arriva a 17 mesi, grazie agli accertamenti fatti a seguito di un fortissimo attacco epilettico: la microdelezione emerse grazie all’esame del cariotipo molecolare CGH-ARRAY».

In estate i centri per bambini come Jacopo sono pochissimi: là dove c’è personale qualificato, le richieste sono talmente tante che bisogna fare i turni, così Jacopo può frequentarlo solo per due settimane. Ma secondo lei tutto questo è normale?

Oggi Jacopo frequenta l’Istituto Vaccari. Tuttora non cammina ma da un paio d’anni ha abbandonato il biberon e i cibi liquidi. Si muove continuamente, tranne quando dorme, ma si muove in maniera non coordinata: è ipotonico nella parte superiore del corpo e ipertonico in quella sotto. «L’aspetto positivo della malattia di Jacopo è che non è degenerativa, anzi possiamo sperare di migliorare un po’ con le giuste terapie», dice Nicoletta. «Seguirlo è un lavoro continuo, perché la disabilità di un figlio impatta su tutta la famiglia. Ci passano quattro terapie a settimana, per il resto integriamo noi come famiglia. Fino a pochi mesi fa aveva tre ore alla settimana di assistenza domiciliare da parte del Comune, adesso siamo saliti a sei ore la settimana, che sono comunque poche. Nell’ascensore del palazzo la sedia a rotelle di Jacopo non passa, me lo incollo in braccio, lo porto in casa, lo lego al seggiolone in sicurezza e torno giù a recuperare la carrozzina. Durante l’anno, Jacopo va e torna da scuola in pulmino, adesso continuiamo ad andare all’Istituto Vaccari per le terapie, ma il pulmino non c’è più perché la scuola è finita. E in estate i centri per bambini come Jacopo sono pochissimi: là dove c’è personale qualificato, le richieste sono talmente tante che bisogna fare i turni, così Jacopo può frequentarlo solo per due settimane. Ma secondo lei tutto questo è normale?».

Per info e contatti: “Gruppo famiglie 5q14.3 mef2c Italia” su Facebook – mail a rarinoi.mef2c@gmail.com

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