Welfare

Un vero film d’evasione

Finire la tournée in teatro o approfittarne per scappare, confusi tra il pubblico? Questo il dilemma che percorre una commedia ironica dove i criminali sono più umani delle guardie.

di Antonio Autieri

Arriva da un giovane trentenne svedese, già assistente del premio Oscar Bille August, una divertente commedia ambientata in un carcere; il film, intitolato “Breaking out”, fu una vera scoperta a Cannes ’99 per gli osservatori internazionali, sempre a caccia di nuovi talenti. Sorprendente è che a realizzarlo sia un esordiente, Daniel Lind Lagerlof, che alla sua prima prova dimostra doti da cineasta maturo: il film alterna infatti punte di estrema comicità a momenti di intensa commozione. Se vogliamo fare un paragone, può essere per i carcerati quello che era Full Monty per i disoccupati… Al di là dei facili slogan, “Breaking out” (che letteralmente significa evadere… c’è un doppio senso), è la storia di un possibile riscatto sociale per un gruppo di carcerati in una prigione di massima sicurezza. Lì capita quasi per caso Reine, attore disoccupato che – disperato per la difficoltà di trovare lavoro – accetta il posto di direttore artistico del carcere. Animato da buone intenzioni, intravede la possibilità di allestire uno spettacolo teatrale con i detenuti; un modo per lavorare, rimanendo nel suo ambito creativo, e per realizzare al tempo stesso qualcosa di socialmente utile. Peccato che non siano dello stesso parere quelli che dovrebbero essere i suoi collaboratori. Per il bellicoso Ekman, capo carismatico dei prigionieri, l’iniziativa di Reine suona addirittura come una provocazione: e il povero attore finirà pesto e sanguinante. Finché la proposta di Reine di trasformare la recita in una vera e propria tournée – con tappe in altre carceri e forse anche in teatri veri – conquista un gruppo di carcerati. Non tanto folgorati da una fulminea vocazione per il teatro, quanto speranzosi di approfittarne per darsi alla latitanza. Ma intanto il lavoro di preparazione di Reine e dei sui fedeli attori continua, pur tra i boicottaggi del duro Ekman e delle stesse guardie carcerarie, che non vedono di buon occhio l’iniziativa. Il film (in uscita in Italia ad aprile) presenta le goffe prove dell’improvvisata compagnia e lascia fino all’ultimo il dubbio se a prevalere sarà lo spettacolo o il desiderio di fuga. In una chiave umoristica che stempera i problemi della vita carceraria, “Breaking out” non nasconde le difficoltà del reinserimento in società di uomini che sarebbe disumano considerare perduti per sempre. Spesso sono loro stessi, suggerisce Lagerlof, a non considerare la possibilità di un riscatto umano, ma appena gli si offre una reale possibilità – come fa Reine, misto di ingenuità e passione – qualcuno raccoglie la sfida, nonostante un contesto ostile a ogni possibile miglioramento umano. «È grazie al modo in cui vengono trattati i detenuti che il mio film è stato realizzato» spiega il regista, che racconta come il caso narrato da “Breaking out” non sia affatto fuori dal comune nel suo paese. «Le prigioni in Svezia hanno a lungo utilizzato il teatro come terapia criminale, con risultati più o meno buoni… Capitava spesso, infatti, che i prigionieri scappassero una volta coinvolti in una rappresentazione». A colpire è il grande amore che Lagerlof ha per i suoi personaggi, per i quali prova una sincera simpatia. Affidandosi totalmente alla prova degli interpreti, il film ha un ulteriore punto di forza nel mettere in luce un gruppo di ottimi attori non famosi: «Per acquistare credibilità, ho voluto che il ruolo dei detenuti venisse interpretato da attori mai visti sullo schermo». In America stanno già pensando di farne un remake con attori famosi, come spesso accade con film europei che non potrebbero arrivare a loro causa problemi linguistici, chiusura culturale e difficoltà a proporre volti sconosciuti.


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