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Adolescenti: il grande disinganno

La pandemia ha mostrato ai giovani tutte le bugie che li circondavano. Questo disinganno non è una cosa banale, anzi è il problema specifico di questa generazione: l'illusione narcisistica sul potere e sulla realizzazione futura e la necessità di dover elaborare il problema della delusione. Il nuovo libro di Gustavo Pietropolli Charmet

di Sara De Carli

Una colossale delusione, un gigantesco disinganno. «I ragazzi si sono accorti all’improvviso di come lo scenario che li circondava prima della pandemia fosse intarsiato di bugie, che si rivelavano tali nel confronto con ciò che stava invece succedendo davanti a loro». Eccolo qui il cuore del danno che la pandemia ha lasciato sugli adolescenti. Un’«onda anomala» di sofferenza psicologica e psichiatrica ha investito i ragazzi, per certi versi anche sorprendendo nelle sue dimensioni chi con la sofferenza degli adolescenti lavora da una vita. «Pur lavorando da anni almeno otto ore al giorno con i ragazzi e i loro genitori e docenti, dell’entità del disastro mi sono accorto con ritardo», ammette Gustavo Pietropolli Charmet, uno dei più importanti psichiatri e psicoterapeuti italiani, fondatore nel 1985 dell’Istituto Minotauro, presidente onorario del CAF. «Credo che in realtà anche molti altri adulti coinvolti nella loro vita abbiano sottovalutato la gravità di ciò che stava succedendo e che proprio questo dato dia la misura di come gli adolescenti siano stati dimenticati durante la pandemia. Ora che il loro dolore, la loro rabbia e la loro delusione sono sotto gli occhi di tutti, mi sembra utile tentare di ricostruire attraverso quali canali comunicativi e relazionali un numero importante di loro si sia incontrato con una montagna di frustrazioni che ha determinato una drammatica crisi personale».

Gioventù rubata è il nuovo libro di Pietropolli Charmet, in uscita oggi per Rizzoli con prefazione di Lella Costa. Due le domande che fin dalla copertina segnano la riflessione: che cosa la pandemia ha tolto agli adolescenti e come possiamo restituire il futuro ai nostri figli. «Sono ragazzi traumatizzati dall’indifferenza con cui sono stati sottratti loro strumenti e dispositivi utili alla crescita», si legge. «Non sospettavo infatti che l’istituzione scolastica avesse un impatto così forte sul benessere o malessere dei suoi studenti, che fungesse da scudo protettivo nei confronti della crisi identitaria che contraddistingue l’adolescenza».

Professore, di cosa non ci siamo accorti esattamente?

Non ci siamo accorti che una quantità importante di adolescenti, femmine e maschi, più che imbroglioni, untori, fuggitivi, musoni… era molto sofferente e lo esprimeva con le modalità con cui i ragazzi abitualmente parlano del loro dolore, della loro solitudine, della loro sofferenza. I modi sono “i soliti” ma l’origine è molto diversa.

E qual è oggi l’origine di questa sofferenza? Cosa c’è di diverso da ieri?

La pandemia non ha colpito gli adolescenti nel corpo ma li ha colpiti affettivamente, educativamente, relazionalmente, scolasticamente… tutte le aree della relazione sono state “manomesse” dai cambiamenti e dalle trasformazioni. L’origine del malessere è una delusione, come se la vita non fosse quella che era stata promessa. Non è una cosa banale, anzi è il problema specifico di questa generazione: questa illusione narcisistica sul potere e sulla realizzazione futura e la necessità di dover elaborare il problema della delusione. Era stata promessa una vita facile, di successo, di ammirazione e invece ci si trova a vivere da soli in una cameretta, tagliati fuori dalla scuola, dallo sport, dal gruppo, dagli amori… Per gli adolescenti il danno provocato dal Covid non è una questione di salute ma di manomissione della progettazione della vita. Dobbiamo riconoscere che il problema non è la Dad in sé ma la delusione, cioè il fatto che nessuno abbia mai aiutato questi adolescenti a elaborare il tema della sconfitta, dell’abbandono e anzi c’è stata una congiura educativa per evitare che l’adolescente entrasse in contatto con il tema della malattia, della solitudine, della morte. Questo è il tema centrale, il fatto che i padri non hanno insegnato l’educazione alla morte. È un passaggio che oggi deve essere fatto, per il padre sarà dura imparare a fare questa educazione alla morte ma ce la farà, ha già fatto un bel cambiamento dal padre etico al padre affettivo, adesso deve capire che se è troppo affettivo fa danni.


Per gli adolescenti il danno provocato dal Covid non è una questione di salute ma di manomissione della progettazione della vita. Dobbiamo riconoscere che il problema non è la Dad in sé ma la delusione, cioè il fatto che nessuno abbia mai aiutato questi adolescenti a elaborare il tema della sconfitta, dell’abbandono e anzi c’è stata una congiura educativa per evitare che l’adolescente entrasse in contatto con il tema della malattia, della solitudine, della morte. Questo è il tema centrale, il fatto che i padri non hanno insegnato l’educazione alla morte.

Lei indica un pezzo del problema nell’essere stati chiusi “dentro”: non nell’essere stati troppo a lungo in famiglia, ma dentro le mura, privati di un fuori.

È verosimile che il disagio sia stato in larga misura prodotto dall’aver costretto una moltitudine di ragazzi non tanto a rimanere più a lungo immersi nelle relazioni familiari quanto piuttosto a rimanere dentro casa. Una delle partite più importanti della fase di sviluppo adolescenziale è proprio quella di stare fuori il più possibile e rimanere dentro lo stretto necessario. È fuori che si cresce e si studiano le materie fondamentali della vita, le nuove competenze necessarie a smettere di essere solo figlio e studente e diventare sempre di più soggetto sociale e sessuale. Non è l’essere rimasti di più in famiglia ad aver provocato il disagio. Il disagio è provocato dall’essere chiusi dentro, dal non poter andare fuori. Chiusi dentro col corpo e col computer, in particolare. Inevitabilmente su questi due oggetti che si è avventato “il recluso”. Attacca e denigra il proprio corpo e sul computer si dedica allo sviluppo delle relazioni virtuali. L’attacco al corpo che è una delle grandi risorse della sofferenza adolescenziale, perché trasforma la sofferenza mentale in sofferenza fisica: fare ammalare il corpo invece della mente. È un discorso complesso, i collegamenti sono complessi: invece sento troppi discorsi che banalizzano gli effetti nefasti della dad, dell’assenza dei compagni, delle discoteche chiuse, dell’impossibilità di fare sport… Sono tutte cose che prese una per una, in sé e per sé sono innocue ma se da queste dipende la qualità della vita – il potere, la bellezza, il riconoscimento, l’identità… – diventa un’altra faccenda.

Dedica diverse pagine ad approfondire le differenze tra amicizie e amori in carne e ossa, vissute nello spazio sociale, con il corpo e amicizie e amori vissuti in ambiente virtuale. Descrive come nella relazione “senza corpo” non si fanno cose insieme ma si si fa ampio uso della confessione, si sviluppano di più le componenti simbiotiche, c’è un disinvestimento nei confronti dei dati concreti legati all’età, alla sessualità…

L’amicizia virtuale è profonda, coinvolgente, talvolta crea dipendenza. Quando le mamme si disperano per una figlia o figlio “sempre attaccato al computer”, non è attaccato al computer ma all’amico o all’amore a distanza. La qualità dei sentimenti che si sviluppano nella relazione a distanza è molto intima, confidenziale, c’è un interminabile cicaleccio notturno… la qualità dell’intimità è proporzionale alla qualità delle rinunce che si devono fare rispetto alle attività che si possono fare quando ci si incontra in carne ed ossa: sport, danza, sesso, attività culturali. La vita affettiva acquista una profondità particolare e la vita sociale, culturale, anche sessuale invece una particolare povertà. Questo confonde gli adulti: “ma come, non fanno niente e stanno insieme a perdere tempo”. Parlano di sé, della relazione tra sé e sé e della relazione con gli altri che fa sì che la loro relazione sia così “diversa” da quella abituale perché caratterizzata dal fatto che le relazioni abituali “servono per”: per uscire, per baciarsi, per giocare a pallavolo. Le relazioni virtuali servono per esprimere le cose che si sentono. La relazione senza corpo poi è un ottimo espediente che li mette al riparo da mortificazione e umiliazione e da cui si può scomparire del tutto limitandosi a schiacciare un tasto.

Il tema non è risarcire il singolo, ma il gruppo. La prima cosa è far capire loro che effettivamente le cose sono cambiate, che quello che si dice adesso lo si fa veramente, con una concretezza e una correttezza particolari. Abbiamo detto che quello che è mancato è la relazione: ci deve essere un cambiamento dentro la scuola e nei suoi paradigmi in termine di relazione

«Mi chiedo se senza internet esisterebbe il cutting come rito generazionale», scrive nel libro.

Sì, questa pratica ha raggiunto davvero una diffusione impensabile. È qualcosa che ha un effetto anestetico, non solo non provoca dolore ma cancella il dolore: questo fa sì che sia molto difficile rincunciarvi per un preadolescente, una volta cominciato. Lo vivono come un anestetico a quella forma di “depressing incazzatura”, che stravolge il pomeriggio degli adolescenti, quando sono a casa da soli e sono contemporaneamente incazzati e depressi, una cosa che gli adulti non vivono perché o sono incazzati o sono depressi. Non sono i genitori i destinatari del comportamento, anche se magari sì, a far scattare la voglia di tagliarsi è una discussione con la madre: prevalentemente dipende dal fatto la attesa comunicazione del partner è puntuale o è in ritardo, se è corretta o no, perché gli eventi di gruppo e di coppia sono di gran lunga prevalenti nel provocare subbuglio nell’adolescente.

Che cos’è il risarcimento dobbiamo agli adolescenti?

Il risarcimento è una metafora per dire che agli adolescenti come adulti e come società dobbiamo qualcosa, perché oggettivamente gli abbiamo portato via tanto. Ovviamente il tema non è risarcire il singolo, ma il gruppo. La prima cosa è far capire loro che effettivamente le cose sono cambiate, che quello che si dice adesso lo si fa veramente, con una concretezza e una correttezza particolari. Abbiamo detto che quello che è mancato è la relazione: ci deve essere un cambiamento dentro la scuola e nei suoi paradigmi in termine di relazione. È qualcosa che è in corso e verrà accelerato. Quale relazione? Non quella didattica né quella affettiva ma quella relazione interpersonale fondata su scambi di reciprocità e intersoggettività fondati sul valore della soggettività.

Photo by Eric Ward on Unsplash

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