Politica
Il Ddl Zan ultima trincea di guerra?
Da qualche tempo il dibattito sul disegno di legge che si sta facendo quasi serio. Ovvero sui contenuti e non sulla logica binaria del sì o no. Si tratta di un disegno di legge e quindi discutile, ci mancherebbe. Tra ieri e oggi sono intervenuti due giuristi di calibro, più che perplessi sul passaggio normativo: Giovanni Maria Flick e Michele Ainis
di Redazione
Il Ddl Zan che a seconda dei punti di vista è un dogma, a sinistra, quindi intoccabile, o un tabù, a destra perché ritenuto impronunciabile, da qualche settimana suscita un dibattito che si sta facendo quasi serio. Ovvero sui contenuti e non sulla logica binaria del sì o no. Si tratta di un disegno di legge e quindi discutile, ci mancherebbe.
Tra ieri e oggi sono intervenuti due giuristi di calibro, più che perplessi sul passaggio normativo. Ieri Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Consulta ed ex ministro di Grazia e Giustizia, oltreché professore di Diritto penale in Cattolica e alla Luiss, ha detto ad Avvenire che il Senato deve modificare la legge Zan prima della sua approvazione.
Così Flick ad Avvenire: «Mi chiedo se sia giusta la scelta del legislatore di definire il sesso come una realtà unicamente biologico/anagrafica, che non includa esplicitamente nella definizione anche la componente affettiva e relazionale. Quella definizione la ritengo – come molti altri – ormai superata, anche alla luce delle discussioni che hanno accompagnato le vicende e i percorsi di cambiamento di sesso. E allora mi chiedo se, dopo aver definito restrittivamente il sesso nella legge, sia giusto ora inserire alcune proiezioni del "sesso", o delle manifestazioni della sessualità del singolo, richiamando termini che il legislatore ha utilizzato per altre finalità. Il "genere", ad esempio, viene preso in considerazione soprattutto per la disciplina elettorale; l’orientamento sessuale viene considerato per lo più in materia di lavoro e di privacy; l’identità di genere è emersa invece in relazione alle normative sull’immigrazione e sul carcere. Tutti contesti diversi rispetto a quelli che qui si vuol perseguire. Mi chiedo allora se sia logica la scelta, da un lato, di tenere la definizione di sesso in margini troppo riduttivi, per poi pensare di integrarla attraverso una serie di autonome previsioni che si vorrebbe far diventare elementi costitutivi del reato; sarebbe più logico e più semplice parlare di sesso in tutte le sue manifestazioni ed espressioni personali».
Oggi su Repubblica l’intervento di Michele Ainis, giurista e costituzionalista italiano, componente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, intitolato “Il coltello del pedagogista”. Eco qualche passaggio del suo editoriale:
È la legge sull'omofobia, l'ultima trincea di guerra. Ma è possibile prendere partito senza intrupparsi negli schieramenti di partito? Si può ragionarne laicamente, mentre destra e sinistra si fronteggiano in due blocchi compatti? Perché è questo che è avvenuto: la militarizzazione del dibattito. Peraltro nemmeno un gran dibattito, nulla di simile al confronto d'opinioni sul divorzio, sull'aborto, sulle unioni civili, sulla fecondazione assistita. Quando i partiti lasciavano libertà di coscienza ai propri eletti, sicché i fronti si mescolavano, si contaminavano a vicenda. Adesso viceversa, nessuna libertà, ammesso che sopravviva la cosceinza. E in Parlamento è muro contro muro.
(…) Come ha dichiarato Alessandro Zan, il sale delle legge è questo: in futuro nessuno potrà dire che i gay devono essere bruciati nei forni. E perché adesso si può dire? L’istigazione a delinguere è già reato, punto dall’articolo 14 del Codice penale con la reclusione sino a cinque anni, e infatti il consigliere regionale della Lega che ha pronunciato quella frase è stato denunciato- Del resto pure l’aggravante figura già nel nostro ordinamento: si chiama circostanza aggravante per motivi abietti o futili, e a norma dell’articolo 61 del Codice penale comporta l’aumento fino a un terzo della pena. Qual è allora il “di più” di questa legge? Una tecnica normativa che rifugge dalle clausole generali, confezionando regole minute e puntute come spilli. Anziché dire “è vietato insultare il prossimo”, si preferisce elencare gli insultati, i neri, gli ebrei, e poi i gay, i trans, le donne, i disabili. Anche a costo di gonfiare a dismisura il diritto penale, come se a 35mila fattispecie di reato, già in vigoere in Italia non fossero abbastanza.
(…) Per la sinistra la nuova disciplina avrà una funzione pedagogica. Come traspare fin dal primo articolo del ddl Zan, con il diritto all’affettività verso ogni sesso, con l’enunciazione delle identità di genere come “identificazione percepita” della propria sessualità. (…)
Però attenzione: talvolta il pedagogista danneggia i propri allievi. Ne è la prova il sondaggio realizzato da varie associazioni femministe e diffuso dalla Stampa, dove il 66% s’oppone al self-id, la libera autocertificazione del proprio genere sessaule. Non è forse la cancellazione del femminile dopo decenni di lotte per difenderne la specificità? E infatti in Gran Bretagna l’identità di genere è finita nel cestino dei rifiuti. Ma anche i gay e le lesbiche potrebbero rimetterci alla fine della giostra. (…) Il coltello del pedagogista è sempre un’arma a doppio taglio.
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