Salute

L’altra metà del non profit

Le donne potenziali protagoniste del Terzo settore, ma ancora non emerge una dirigenza “in rosa”. Sempre decisivo il carico familiare. Dalla formazione l’opportunità di requilibrio?

di Barbara Fabiani

Non profit è femmina, almeno nelle potenzialità. Secondo gli psicologi, le donne possono dare molto al Terzo settore. Hanno eriditato dalla propria cultura di genere particolari attitudini alla relazione e al dialogo, sono più creative e pragmatiche nel ricercare la soluzione dei problemi, generalmente sono più predisposte ai lavori di cura delle persone e capaci di esercitare uno stile di leadership più democratico. Eppure ancora per ?l?altra metà del cielo? c?è ancora molto campo da guadagnare. Lo sa bene l?associazione Lunaria di Roma, che ha varato un programma di corsi di formazione al femminile (vedi box). Le donne hanno capacità che bene si adattano alla filosofia di base di cooperative sociali, dell?associazionismo, delle ong e delle altre realtà che sono orientate verso il sociale, rifiutano valori di tipo aziendale basati sulla competitività e puntano sull?impegno. Anche nel Terzo settore, le donne non raggiungono posizioni di vertice tanto spesso quanto gli uomini: a penalizzarle, anche in questo ambiente, è il dilemma di come far conciliare impegni di lavoro con le richieste di cura parentale. E comunque questo ?potenziale femminile? non sarebbe sempre vissuto con consapevolezza dalle donne, che non sono abituate a leggerlo come un ?sistema di competenze? in grado di dargli una marcia in più anche per gestire le associazioni oltre che per lavorarci. «Non sono mancati anche in Italia programmi di formazione finanziati dal fondo sociale europeo indirizzati all?inserimento professionale e all?imprenditoria femminile», dice Erika Lombardi di Lunaria che si occupa di ricerca e formazione nel Terzo settore e che sta preparando un corso per donne sulla gestione del tempo, «ma sono pochi i casi in cui le metodologie formative hanno davvero tenuto conto della differenza di genere. Ancora meno frequentemente questo tipo di corsi sono stati rivolti al terzo settore». Capacità di usare certe doti come strumenti di lavoro e riappropriarsi del tempo, sono questi dunque i due pilastri su cui costruire una maggiore partecipazione femminile anche ai vertici delle cooperative sociali e delle ong e non solo come operatori e quadri? «Aggiungerei anche certe competenze strategiche , come le capacità di tipo tecnico amministrativo e in particolare quelle legate all?esercizio del potere» sostiene Monica Morganti psicologa e con una lunga esperienza nel terzo settore come consulente dell?organizzazione. Ma se le donne non arrivano a coprire ruoli di vertice è anche perché «il potere non le interessa» e preferiscono il rapporto con l?utenza. «Le modalità dell?esercizio del potere sono qualcosa che si impara ma alcune donne non hanno dimestichezza con questa dimensione, che non va confusa con la ?capacità relazionale?, e qualche volta preferiscono non mettersi in corsa restando a gestire degli spazi più a misura personale», continua Morganti, «Più spesso è un problema di ordine pratico: esercitare un ruolo dirigenziale richiede ulteriore tempo e risorse, beni di cui le donne in genere non dispongono a loro piacimento, condizionate da impegni familiari come madri e mogli». Considerazioni che , condivide anche Lina Consolo, una di quelle donne che invece un ruolo dirigenziale nel Terzo settore l?ha voluto, cercato e ottenuto. «Non sono d?accordo sul fatto che le donne abbiano poca familiarità con gli aspetti amministrativi», dice la Presidente del Consorzio Gino Mattarelli che riunisce 800 cooperative sociali, «mentre credo che esistano anche nel Terzo settore dei meccanismi impliciti nella relazione di genere che non facilitano alle donne l?esercizio della leadership. Essendo i vertici prevalentemente composti da uomini accade che, senza una vera intenzione da parte loro, questi flussi di comunicazione e di scambio non coinvolgono le poche donne presenti». Ancora tempi duri per le donne, anche nel non profit, perché per imparare a essere leader ci vuole il tempo e di tempo le donne non ne hanno mai abbastanza.


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