Politica
Dal welfare mix, al welfare plurale: una sfida politica
Una riflessione che parte dall'urgenza di ripensare a un sistema nuovo che poggi su logiche, approcci nuovi, e su una visione comunitaria ispirata dal principio di sussidiarietà circolare. Di fronte alle sfide economiche e sociali gli enti del Terzo settore rappresentano la leva per attivare processi reali di cambiamento anche perché è ormai inderogabile la necessità di modernizzare e innovare il welfare state, per renderlo più adeguato a rispondere ai nuovi rischi sociali
Oggi si parla sempre più della inderogabile necessità di sottoporre il welfare ad un profondo processo di cambiamento. Al di là dei vari tentativi di riforma, non si sono però ancora prodotti quei concreti meccanismi di innovazione atti a determinare percorsi sicuri capaci di affrontare i nuovi rischi e i nuovi bisogni sociali delle persone e delle famiglie, se pure non si può sottacere che negli anni più recenti a causa delle impellenti ragioni di austerità si sono determinate scelte di contrazione e di riequilibrio della spesa pubblica nella direzione di nuove e significative spinte al cambiamento. Ed oggi si è resa urgente la necessità di superare la logica meramente assistenziale e “prestazionistica” tipica di un welfare redistributivo che contrassegna ancora gran parte del modus operandi di molti policy makers e operatori sociali.
Si tratta, in sostanza, di ripensare a forme inedite di accompagnamento di quei diritti sociali, che il mercato tende a rimuovere, in favore di innovative politiche di intervento che abbiano un forte impatto generativo, ovverosia finalizzate al superamento di quelle forme di assistenza non più sostenibili dal punto di vista economico-sociale e prive di un corrispettivo di responsabilità e di impegno da parte del beneficiario. Il che equivale a dire che occorre superare un paradigma basato sul semplice raccogliere e redistribuire risorse.
Il fenomeno non è dunque nuovo e affonda le proprie radici in un percorso di innovazione della regolazione dei rapporti tra pubblico e privato, non denegando il principio di sussidiarietà, specie nella sua declinazione “orizzontale”. Il problema che ci si pone è se l’attuale sistema sociale sia in grado di fronteggiare le nuove forme di vulnerabilità, aggravatesi negli ultimi anni e ancor più con la crisi attuale. Come ha affermato più volte l’economista Zamagni, nel welfare redistributivo il referente è il portatore di fragilità e tutta la casistica di vulnerabilità viene bypassata contrariamente ad un welfare generativo che superando un atteggiamento paternalistico, promuove ogni intervento sociale lasciandosi guidare dal concetto “non posso aiutarti senza di te”.
Il welfare tradizionale, che per decenni ha garantito protezione sociale, riuscendo a rispondere a diversi bisogni, pone evidenti limiti in termini di sostenibilità e di adattamento ai profondi mutamenti sociali che la pandemia e l’attuale crisi economica hanno significativamente accelerato (come la precarizzazione del lavoro, le nuove forme di povertà). Assistiamo ad una crescita esponenziale di beni e servizi anche da parte di quei gruppi sociali – specie il ceto medio – che tradizionalmente contribuivano a finanziare attraverso il proprio lavoro il nostro sistema di protezione sociale.
La povertà di questi giorni mostra profili singolari, evidenziando la sua spiccata natura multidimensionale (redditi bassi, livelli occupazionali insufficienti specie quella giovanile, oneri di cura dei figli o degli anziani, strutture familiari sempre più fragili).
Sicché si pongono in essere nuovi equilibri e nuove configurazioni dei rapporti tra gli attori in campo insieme allo stato (il mercato, il terzo settore, i cittadini, le famiglie), e si richiedono “cambiamenti strutturali” che possano condurre a ridefinire l’intreccio tra le diverse forme regolative e allocative delle risorse nella logica dello scambio, della redistribuzione e della reciprocità.
Solo se vengono superate le categorie classiche del “welfare mix” si potrà determinare un welfare plurale capace di ampliare l’autonomia delle sfere sociali intermedie, orientate ad agire per il bene comune e consapevoli del ruolo della sussidiarietà quale meccanismo regolativo e di coordinamento.
In considerazione di tutto ciò diventa fondamentale a mio avviso ripensare ad un sistema nuovo che poggi su logiche, su approcci nuovi, su una visione comunitaria ispirata dal principio di sussidiarietà circolare: Stato, mercato, privato sociale e cittadini concorrono a produrre soluzioni per il benessere di individui e famiglie. Insomma, necessita un livello di partecipazione sia sul fronte della condivisione di risorse economiche che di capitale sociale.
A tal proposito penso allo straordinario capitale sociale del Terzo settore del Mezzogiorno nella determinazione a produrre economie per e con la comunità, alla spinta in termini di innovazione sociale di grande valore per rispondere alle tante forme di vulnerabilità, la cui responsabilità politica, come afferma De Rita, è quella di liberarlo dal ricatto della criminalità e dell’usura. Penso inoltre alla classe politica di alcune municipalità che ha invertito quel trend di politiche che a partire dal 1960 ha preferito essere una classe di offerta di prestazioni e non di lettura del reale e programmazione partecipata.
Gli enti del Terzo settore rappresentano la leva per attivare processi reali di cambiamento dinanzi alle grandi sfide economiche e sociali. Di qui la necessità di aprire una seria riflessione che porti al ripensamento di nuove politiche di welfare, atte ad interloquire con il principale agente del cambiamento, la persona, nella riscoperta di quel potenziale inespresso di risorse che lo conduca a processi di cambiamento individuale e sociale, di cui tutta la comunità di riferimento possa beneficiare in termini di impatto generato.
Si tratta di favorire le condizioni per riattivare le capacità di chi è in condizione di particolare vulnerabilità, nel riconoscimento della libertà che ciascuno esprime; una prospettiva realmente generativa, costruita sulla logica della responsabilizzazione e ispirata da un principio: la centralità della persona.
In definitiva, occorre modificare un framework tipico di un welfare tradizionale ormai insostenibile, favorendo un circuito assistenziale che saldamente poggi sull’intervento progettuale in sintonia con la persona portatrice di bisogni. Inutile sottolineare come tale operazione è a richiedere un cambiamento di paradigma, sovrastrutturale e di policy nell’affrontare l’esclusione sociale.
In sua mancanza sarebbe impensabile attardarsi nell’individuazione di approcci e modelli efficaci di risposta al contrasto di forme di marginalità estreme, sociali ed economiche, lì dove si rende essenziale una prospettiva che punti alla collaborazione tra diversi soggetti e livelli istituzionali.
Fondamentali risulteranno tutte quelle politiche in grado di operare su un doppio livello, quello dell’integrazione dei processi di accompagnamento e cura e quello dell’integrazione delle strategie organizzative. In questi processi la società civile nelle sue diverse articolazioni gioca un ruolo determinante.
È, dunque, possibile ridisegnare il nostro welfare in chiave “generativa”, puntando al recupero di una visione comunitaria del welfare, sorretto da valori irrinunciabili quali la socialità, la fiducia, l’identità, la cittadinanza.
La sfida per il futuro delle nostre comunità sta nell’adottare politiche e prassi generative capaci di produrre esiti generativi, in grado di generare diffusamente cambiamenti e nuove opportunità per tutti.
Uno scenario futuro, che come dice Mauro Magatti, sia proiettato ad uno scambio sociale sostenibile-contributivo: ciascuno concorre alla creazione di valore per la propria comunità. Questo paradigma, innestato sul principio di un coinvolgimento responsabilizzante della persona, di certo consentirà di superare una logica paternalistica del welfare e porterà a ripensare i processi di inclusione sociale in termini di una nuova alleanza tra diritti e risorse, tra etica ed economia.
Le insidie sono moltissime. Ma non può sfuggire a nessuno che la via d’uscita dall’impasse del momento non può venire se non da un’azione concertata che metta a tema le buone pratiche atte a produrre solidarietà e cooperazione con uno sforzo enorme di coordinamento delle nostre scelte civiche.
In fondo le politiche di austerità degli ultimi tempi hanno avuto l’indubbio merito non solo di spronare a ripensare il ruolo dello Stato e ad accrescere l’autonomia degli attori privati tesi a produrre il welfare, ma anche di rendere sempre più consapevoli che se la crisi è il risultato degli eccessi dell'individualismo promossi dal modello neo-liberista vanno messi in campo i processi di valorizzazione delle comunità, delle reti sociali e della partecipazione attiva dei cittadini.
Di qui la inderogabile necessità di modernizzare, riorientare e innovare il welfare state, per renderlo più adeguato a rispondere ai nuovi rischi sociali attraverso un ripensamento profondo delle responsabilità da parte dei diversi attori del welfare coinvolti nei processi decisionali e nella logica della reciprocità e della socializzazione dei rischi e della condivisione dei bisogni.
In apertura photo by Jacek Dylag on Unsplash
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