Welfare
Maredolce, il giardino dove rifiorisce il bene comune
L'Ats composta dalle cooperative “BenEssere” e “Libera…mente” e dall’Associazione per i diritti degli anziani a Brancaccio ha avuto in concessone per 6 anni sei ettari di terreno che curerà rivitalizzando il mandarineto storico, rendendolo fruibile al pubblico e mettendo in campo una serie di attività che prevedono anche il coinvolgimento di soggetti svantaggiati come i detenuti e le persone con disabilità
di Redazione
Che il concetto di bene comune possa essere soggettivo lo dimostra una delle storie che purtroppo in Sicilia, nello specifico a Palermo, vedono da sempre appropriarsi di spazi, beni e proprietà che dovrebbero essere fruite dalla collettività e che, invece, entrano a fare parte del patrimonio “non legittimato” di famiglie alle quali in certi ambiti “non si può dire di no”.
Il contesto è Brancaccio, quartiere dove portò avanti la sua missione padre Pino Puglisi, ma anche quello nel quale sono cresciuti dal punto di vista criminale i fratelli Graviano, responsabili dell’omicidio del sacerdote antimafia come anche degli omicidi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Quartiere nel quale si sviluppa la vicenda di Maredolce, un tempo regia dell’emiro Kalbita “ Ja’Far II” (Giafar), splendore storico e architettonico, ma soprattutto il luogo in cui nasce la Conca D’Oro, il cui giardino Ruggero II chiamava “del Sollazzo”, sia per indicare un luogo in cui la rigogliosità della natura ritemprava lo spirito sia perché era un coacervo di culture come quelle araba, normanna e bizantina, che hanno lasciato tracce indelebili non solo nel tessuto culturale e urbano, ma anche in questo naturalistico. Non a caso, infatti, la “Fondazione Benetton” ha assegnato a Maredolce il Premio “Carlo Scarpa” in quanto giardino storico nel quale la natura, attraverso le sue tante specie, dimostra ampiamente il valore dell’incontro e della condivisione.
Ed è proprio il principio che anima il progetto dell’ATS “Maredolce dolce” (un semplice errore di registrazione che, però, sembra volere affermare con forza la bontà del progetto) – composta dalle cooperative “BenEssere” e “Libera…mente” e dall’Associazione per i diritti degli anziani di Palermo (ADA) – che, rispondendo nel 2018 a una manifestazione di interesse, ha avuto in concessone per 6 anni, a partire da novembre del 2019, dalla Sovrintendenza sei ettari di terreno che curerà rivitalizzando il mandarineto storico, rifacendo la parte ormai non più produttiva con l’espianto e il reimpianto soprattutto di limoni e arance per farne, così come auspica Giuseppe Barbera, professore ordinario di Colture Arboree all’Università di Palermo. la Kolymbethra di Palermo. Saranno, poi, ripresi i sentieri rendendoli fruibili al pubblico, mettendo in campo una serie di attività che prevedono anche il coinvolgimento di soggetti svantaggiati come i detenuti e i portatori di handicap, alcuni dei quali sono già in affidamento all’ATS. Una vittoria fortunatamente a mani basse, quella dell’Ats, dal momento che è stata l’unica a partecipare.
Ma come mai un bene di tale importanza passi inosservato e non “ingolosisca” altri, primi tra tutti proprio coloro che il quartiere lo conoscono e sanno quante e quali potenzialità abbia? La risposta è presumibilmente collegata all’ultimo occupante il castello, tale Totuccio Contorno, ben noto alle cronache in quanto non un capo mandamento ma un vero e proprio killer, poi divenuto collaboratore di giustizia, che ci si era insediato realizzando una serie di appartamentini che, se immessi nel mercato immobiliare legale, visto il contesto, sarebbero andati a ruba a prezzi veramente inavvicinabili. Contorno difendeva l’area dai Graviano e dai Greco grazie anche alla famiglia numerosa alla quale apparteneva e a cui aveva reso possibile usufruire indisturbata di una tale residenza, senza che nessuno andasse a chiedere loro nulla. Ovviamente, una volta passata la mano alla Regione che ha acquistato il bene per affidarlo alla Sovrintendenza, hanno dovuto lasciare i loro alloggi, ma non tutti si sono allontanati, rimanendo a vivere ancora in zona. Facile, infatti, incontrarli quando ci si accinge a varcare il cancello per immergersi in uno scenario da fiaba, dimenticando che al di fuori, a pochi metri dalle mura di quello che è conosciuto come Castello di Maredolce (nella foto di copertina), ma che in effetti è il Palazzo della Favara, c’è una realtà che continua a vivere lontana dal concetto di bello e di giusto.
Una realtà in cui i bambini sanno già dove guardare per evitare le telecamere poste in diversi punti del quartiere. Una realtà in cui padre Pino Puglisi raccoglieva attorno a sé i bambini e li strappava a Cosa Nostra, forse ben sapendo che prima o poi l’avrebbe pagata. Un contesto, però, in cui, prima o poi, si spera che gli abitanti del quartiere possano capire che solo la bellezza può salvare e comincino a raccontare di Maredolce come di un luogo di riscatto sociale. Come Agata, una volta suora francescana, che si è dovuta "spogliare" per dedicarsi al padre malato e che, grazie a padre Puglisi, ha cominciato a occuparsi dei minori.
«I miei compagni di banco – racconta con un sorriso che disarma – li ho rivisti per strada a fare rapine o i killer. Non ti so dire perché si cambia così. Le cattive compagnie, il bisogno, non so. Anche la mancanza di valori. Ho, però, sempre puntato ai bambini perchè sono la nostra forza e il nostro futuro. Non mi sono mai abbattuta».
Agata la ritroviamo anche durante le iniziative che l'associazione “ADA” porta avanti ogni settimana all'aperto con i suoi anziani.
La cosa bella è che vengono da ogni parte della città per stare tutti insieme e combattere la solitudine. A portare avanti le attività insieme ad ADA c’è l’associazione “Mosaicando” che viene da Capaci, comune in provincia di Palermo tristemente noto per la strage del 1992.
«Io sono felice quando loro sono felici – esordisce Giusy Careri, presidente di “Mosaicando”– come quando facciamo lo yoga della risata. Sai quanto fa bene ridere? Se, poi, lo si fa in compagnia, l’effetto si moltiplica».
Ed è con questa gioia di vivere che si sta mettendo in moto il campo di bocce e si stanno per avviare le passeggiate lungo i sentieri del parco. Per non parlare dei gruppi di disegno creativo che, immersi nella natura, si riempiono gli occhi di mille colori dell’arcobaleno, il verde della natura, l’azzurro del cielo, l’arancio dei mandarini, il bianco che ci regala il candore dei bambini che, una volta fatto ingresso a Maredolce, si trasformano in anime ancora più leggiadre, contagiando tutti con la loro allegra frenesia. Accanto a loro gli animatori e operatori delle diverse associazioni che li aiutano a seguire i percorsi avventurosi a loro dedicati. E, mentre i piccoli si scatenano, come solo loro sanno e possono fare, poco più avanti, davanti un casolare che un tempo sembrerebbe essere stato utilizzato come luogo per confezionare droga, i più grandi si rilassano facendo yoga o, a seconda delle giornate, con i progetti inclusivi di scrittura di comunità. Chiaramente, in questo percorso, non possono mancare i nostri amati amici a quattro zampe.
«A loro ci pensa la cooperativa “BenEssere” – spiega Luciano D’Angelo, tra gli attivi soci di questa realtà e tra gli artefici del recupero di “Maredolce” – con una metodologia che coinvolge animale, uomo e ambiente. Un’attività che non si fa nei luoghi chiusi ma all’aperto perché il benessere dell’ambiente dà benessere all’animale e, di conseguenza, alla persona. La cooperativa è la prima in Sicilia in assoluto a proporla, avendola già sperimentata per 3 anni con l’Asp di Enna anche con cavalli, asini e gatti. Ha funzionato, per esempio, con i ragazzi autistici e con disagio mentale segnalati dalla psichiatria dell’Asp. Stiamo cercando di fare delle sperimentazioni con i genitori di questi ragazzi e siamo certi che funzionerà».
Quattro anni passeranno velocemente, questo è sicuro, soprattutto se si lavorerà; se, poi, la comunità, il territorio avrà compreso il messaggio, sarà solo il trampolino di lancio per l’avvio di un percorso culturale capace di cambiare le cose.
Dovranno e potranno cambiare tante cose grazie soprattutto alla possibilità, per le cooperative sociali dell’ATS, di dare occupazione a un minino di 5 persone che vivono il disagio sotto le sue diverse forme: giovani che devono scontare pene alternative al carcere, soggetti con problemi di salute mentale e con dipendenze patologiche, minori con la messa in prova. Tutti soggetti per aiutare i quali è già in atto, ma si andrà via via sempre più rafforzando, il rapporto con le istituzioni, i servizi sociali e il servizio sanitario nazionale.
«Un aspetto che non possiamo e non vogliamo tralasciare – aggiunge D’Angelo – se vogliamo pensare che i percorsi per talune persone devono essere riabilitativi e socializzanti. Diversamente le pene diventano repressive e non servono, soprattutto quando parliamo di minori, a dare quelle seconde occasioni che aiutano a capire gli errori e a superarli».
Fondamentale, dicevano, sarà il rapporto con il territorio, in un quartiere come Brancaccio/Ciaculli che, al 31 dicembre 2019, registrava la presenza di 16.819 italiani e 1454 stranieri. Se, poi, vogliamo estendere il dato a tutta la Circoscrizione, all’interno della quale vanno considerate borgate come Oreto/Stazione, Sperone, Settecannoli che, per la loro conformazione demografica, si potrebbero definire quartieri dentro altri quartieri, scopriamo che gli italiani erano 72.713 mentre gli stranieri 153. Anche e soprattutto a questa parte di popolazione palermitana è e sarà rivolto l’intenso programma di Maredolce, le cui attività andranno da 1 a 3 alla settimana, a seconda delle condizioni climatiche e di altre variabili non dipendenti dalla volontà e capacità degli organizzatori, e saranno calibrate per un minimo di 100 e un massimo di 150 partecipanti. Dati che qualcuno potrebbe dire ottimistici al momento, considerato che siamo da poco in dirittura di uscita dalla pandemia, ma che a regime dovrebbero essere rispettati, magari anche superati.
«Vogliamo che questo diventi un luogo di rinascita in tutti i sensi – conclude Luciano D’Angelo – abbandonando il senso di morte che la faceva da padrona. È bene dirlo, noi non siamo i proprietari di questo luogo, ma solo coloro che lo gestiscono e mettono in rete, creando sinergie. Nel piano programmatico abbiamo scritto che lo faremo con tutte le realtà del territorio perché è un bene pubblico e dobbiamo imparare a salvaguardarlo. Questa la filosofia di fondo. Chi vorrà, potrà chiederci la convenzione e noi gireremo la richiesta alla Sovrintendenza. Se in linea col progetto, la porta o meglio il cancello sarà aperto. La logica è quella del condividere per crescere attraverso la connessione tra tutte le esperienze e risorse umane. Da soli non si va da nessuna parte. Insieme si vince».
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