Mondo

I fratelli Cohen in overdose di cinema

Recensione del film "L'uomo che non c'era"

di Aurelio Picca

Al posto dei titoli di coda, il protagonista, Billy Bob Thornton, ha lasciato in platea una montagna di mozziconi di sigaretta. Ha fatto felice il cinéphile che ama il bianco e nero, ma non Gordon Pym di Edgar Allan Poe che era un tipo «dal temperamento entusiasta e dalla fantasia sempre ardente sebbene un po? cupa». Voglio dire che L?uomo che non c?era dei fratelli Cohen, ha un grande attore, Billy, e un titolo alla Poe, però al film non è che manca l?uomo, viene a mancare addirittura se stesso, ecco perché avrebbero dovuto intitolarlo L?invisibile. Eppure L?uomo che non c?era è così carico di cinema che è l?opposto dell?invisibile: è una zavorra, è l?esaltazione del genere che scoppia di vitamine. Ma a parte Thornton che recita (cioè cita) Bogarde (Dirk), bisunto di ironia e ambiguità, e Bogart (Humphrey), con la sigaretta portata alle labbra espressive più degli occhi; e a parte Billy Bob, che nel film è un barbiere preciso e disinvolto come un grande chirurgo plastico tanto che, zack, ci mette poco a uccidere; e a parte le sequenze che trasudano di un Hitchcock al quale va di scherzare senza tuttavia avere la luce sinistra del genio, ecco a parte tutto questo, L?uomo che non c?era è un film noioso, citazionistico, stracarico di storia in bianco e nero. È un bel film che va di moda oggi per gusti che hanno assaporato tutto e che non si aspettano più niente. Un film blindato, che non sa che farsene degli sviluppi creativi.


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