Welfare

La festa del lavoro che non c’è

Secondo gli ultimi dati Istat, in un anno di pandemia (febbraio 2020 - febbraio 2021), gli occupati totali sono diminuiti del 4.1% (941mila unità, per due quinti donne), i disoccupati sono aumentati dello 0.9% (sono ora più di 2 milioni e mezzo) e gli inattivi (quello che non lavorano né lo cercano) del 5.4% (717mila).

di Giorgio Ardeni

La povertà si è fatta più diffusa, il nostro reddito è crollato – ci siamo distinti anche in questo, con un tonfo più profondo – ma è il lavoro che più mostra quanto violento sia stato il colpo. E su cui massima dovrebbe essere l'attenzione.

Secondo gli ultimi dati Istat, in un anno di pandemia (febbraio 2020 – febbraio 2021), gli occupati totali sono diminuiti del 4.1% (941mila unità, per due quinti donne), i disoccupati sono aumentati dello 0.9% (sono ora più di 2 milioni e mezzo) e gli inattivi (quello che non lavorano né lo cercano) del 5.4% (717mila). Il numero di occupati totali è tornato ai livelli del novembre 2014 e il problema è che il calo era già cominciato a metà del '19. Il tasso di disoccupazione, oggi saldamente sopra il 10%, è tornato ai valori di maggio 2019, quando però era in discesa da cinque anni, prima di tornare a salire sul finir dell'anno. (…) Sono numeri che parlano, che ci danno la fotografia di un'Italia che già prima della sindemia aveva il fiato corto. (…) La precarietà è un vasto mondo, non solo per chi lavora per le «piattaforme», ma anche per chi è occupato in azienda o deve lavorare per altri fingendo di lavorare in proprio (le partite Iva).

In Italia vi sono 26milioni di nuclei familiari, di cui un terzo è composto da «single». Se escludiamo quelli in cui vi è almeno un pensionato (che porta un reddito a casa), ne rimangono due terzi (17,4 milioni). Ebbene, di questi sono 3,58 milioni quelli composti da persone senza lavoro (disoccupati o inattivi). Gli altri (13,8 milioni) vivono del reddito di uno o più dei loro membri, che però hanno un'occupazione precaria o a termine (più di un milione) o part-time (949mila). Ci sono 200mila coppie senza figli che non hanno lavoro, 500mila coppie con figli senza lavoro e 450 mila famiglie mono-genitoriali senza lavoro (e in 400mila di queste il genitore è donna). Il guaio, però, è che tutto questo non è dovuto alla pandemia perché era già così nel 2019. La sindemia ha solo accentuato i caratteri fragili della nostra occupazione, che solo per tre quarti – e parliamo di milioni di uomini e donne ha una qualche stabilità.

Il «Recovery plan» sarà anche necessario ed è un bene che si parli delle prossime generazioni, ma è da questi numeri che si deve partire. Perché un'economia ingessata, che già si trascinava, ha bisogno ben più di un «recupero» che potrà venire solo da un sostegno pubblico che la smetta di tenere buona una classe imprenditoriale che molto chiede e poco dà, liberando le energie buone che potranno trovare spazio solo in un ambiente davvero competitivo, non quell'insenilito sistema bloccato che non conosce più mobilità. Aggiustando l'ascensore sociale guasto da una generazione, perché questa torni ad essere una repubblica fondata sul lavoro.

Pubblicato il 1 maggio da Il Manifesto


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