Non profit

Viaggio nell’associazione. La sinistra Arci viva

La crisi dell’Ulivo non cambia la vita della più grande associazione vicina ai ds. I suoi dirigenti, quasi tutti giovani, non hanno più i partiti come referenti

di Barbara Fabiani

Non ci vuole un sociologo per dire che oggi nessuno è più orfano dei trentenni di sinistra. Senza Papa e senza ?sol dell?avvenire?, senza contratto di lavoro e senza programmi familiari definiti: possono solo ricominciare da se stessi, dai propri valori costruiti pezzo dopo pezzo nel quotidiano e questa è forse la prova di maturità più grande. Nuova generazione Questa generazione, che non è quella tenacemente adolescenziale descritta da Gabriele Muccino ne L?ultimo bacio, sta spuntando come piccole ali sulle schiena dell?associazionismo di sinistra e in particolare dell?Arci, come ha potuto osservare chi ha partecipato al loro congresso nazionale conclusosi domenica scorsa a Vico Equense, in un albergo arredato secondo il delirio di un ristoratore cinese. In quei corridoi stretti, riempiti di finti reperti Ming, inerpicati sul crinale della costiera che dà sul Golfo, si poteva incontrare una schiera di giovani dirigenti cresciuti nell?associazione proprio negli anni in cui l?Arci maturava il cambiamento dalla volontà di ?aggregare? a quella di ?agire?, e forse cambiava anche su spinta loro. «Quella che oggi si dice ?nuova Arci? è il frutto di un percorso che comincia qualche anno fa e che ha avuto la conferma definitiva nella partecipazione alle manifestazioni di Genova», dice Massimiliano Morettini, dal 1999 presidente del comitato provinciale Arci della Liguria, trentunenne senza cravatta e il carisma rasserenante di un fratello maggiore. «Oggi l?Arci è un interlocutore importante in molti Social forum. Dobbiamo trovare il modo di parlare ai più giovani che dopo Genova si sono rivolti a noi non per affiliazione ideologica, ma perché sentono il bisogno di agire e vogliono farlo prima di tutto come individui e non per intermediazione di un?organizzazione», dice Morettini. Con quelli che nell?associazione non ci sono solo cresciuti ma che l?hanno costruita, i giovani dirigenti condividono l?amarezza di guardare a una sinistra storica in cui non ci si riconosce, nelle scelte prima di tutto, ma non meno negli atteggiamenti, nel linguaggio, nella autistica lontananza dalla società. Mai più con i partiti «Quest?anno non ho rinnovato la tessera Ds», confessa Livia Cantore, 32 anni, responsabile delle politiche sociali dell?Arci Puglia: da come increspa le labbra si capisce che non è stata una scelta facile. «Ormai non mi ci rivedo più. La debolezza nel fare opposizione a questo governo e poi la decisione di votare la guerra in Afghanistan». Che cosa rimane allora di questa sinistra? «I valori di fondo che i politici non rappresentano più ma che non per questo ho abbandonato», aggiunge la Cantore, parlando senza accento regionale (merito forse di una laurea in lingue); è arrivata nell?associazionismo fondando un centro ricreativo per bambini in un quartiere difficile di Bari. «Nell?Arci ci sono perché è un?associazione che porta avanti un?etica laica, anche se io sono una credente: cattocomunisti ci chiamavano una volta». E tutto l?attivismo dell?associazionismo cattolico sui valori della giustizia sociale? «Mi sento un po? scippata dal Papa, ma non fa niente, perché l?importante è che certi principi siano difesi. Mi fido mille volte più della carità cristiana dei cattolici che della destra sociale e del suo associazionismo che sta letteralmente dilagando in Puglia. E la cosa ridicola è che le nostre associazioni stentano ad avere sostegno dalle poche amministrazioni di sinistra perché hanno paura di essere accusate di finanziare ?i loro?», dice sorridendo, come se riderci sopra fosse tutto quello che rimane da fare. «I modi della politica sono diversi da quelli dell?Arci», esordisce lapidaria Carla Falchi, appena 26 anni, poetessa e fondatrice del circolo Corto Maltese, componente del comitato veneziano dell?Arci che, per inciso, è guidato da un ventottenne. «Oggi nelle associazioni non trovi più il volontario militante. La gente è cambiata, vuole un vero confronto aperto e un?organizzazione che tenga anche conto dei tempi personali e del lavoro. Oppure che dia la possibilità di un impegno concreto. Passiamo dal puro volontariato all?organizzazione non profit, è un modello che i cattolici hanno capito prima di noi. Ma è un ritardo che possiamo colmare», conclude. «Il momento del malessere nei confronti della politica di cui si parla tanto è superato. Oggi rimane piuttosto una distanza, anche se non un disinteresse», chiarisce Tom Benetollo, appena riconfermato per il secondo mandato alla presidenza dell?Arci. «Il malessere vero e proprio resta della politica che non ha saputo riformarsi. Siamo una sinistra sociale che si esprime e porta avanti azioni e convinzioni senza aspettare che lo dicano gli altri». Come a dire che la politica, se crede, può continuare a girare in tondo; l?associazionismo, invece, conosce bene la sua strada.


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