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Il viaggio di Alessandro Leogrande con gli ultimi della Terra

Torna in libreria, in un’edizione curata da Nadia Terranova, “La frontiera”, il viaggio di Alessandro Leogrande con gli ultimi e i penultimi della Terra. Un resoconto fatto di storie di violenza e di solidarietà, di sopraffazione e di riscatto, di fughe e ritorni. Un invito incessante ai più giovani, affinché nessuno resti immune al dolore degli altri.

di Sabina Pignataro

“La frontiera” è il resoconto degli incontri che Alessandro Leogrande, scomparso nel 2017, a soli 40 anni, ha avuto con i superstiti di tragedie del mare. Voci di chi, con indicibili difficoltà, ha attraversato la frontiera – fisica, mentale e umana – per raggiungere l’altro, gli altri.
Il libro è uscito per Feltrinelli nel 2017 e poche settimane fa è tornato in libreria in un’edizione curata dalla scrittrice Nadia Terranova, che riprende in mano queste storie, questi brandelli di esistenza, torna a dargli peso e consistenza, affinché non svaniscano in fretta, come la sabbia soffiata dal vento.

Le 140 pagine raccontano storie come quella di Alì, che riesce a salpare da Tripoli un anno e mezzo dopo aver lasciato il suo villaggio nel Darfur, Hamid, che a tredici anni è stato uno dei pochi sopravvissuti al naufragio del 6 maggio 2011 sulle coste libiche, Abdel, baby scafista che si è imbarcato convinto di andare a pescare.

«Ho conosciuto Alessandro Leogrande nella primavera 2015. Pochi giorni dopo il nostro primo incontro, mi confessò, emozionato, che stava concludendo un libro, il più importante della sua vita, che si intitolava “La frontiera”», racconta l’autrice. Ci aveva messo dentro non solo le storie dei migranti su cui aveva lavorato negli ultimi anni, ma anche una diversa visione del mondo, di sé. Da quando Leogrande, neanche ventenne, aveva cominciato a scrivere e a pubblicare articoli, saggi e reportage, infatti, si era sempre occupato degli ultimi e dei penultimi della Terra, degli invisibili, dei braccianti, dei trafficanti di esseri umani e degli esseri umani trattati come schiavi.

«Gli occhi di Leogrande erano pieni di ciò che il mondo si rifiuta di vedere: storie di violenza e di solidarietà, di sopraffazione e di riscatto, di fughe e ritorni».

Nadia Terranova

All’inizio la scrittrice messinese, anche lei abile nell’esplorare le linee d’ombra della vita, entra nelle vite private di queste donne e di questi uomini con un «rispetto quasi sacrale». Ma poi cambia strategia. «Non era lo spirito giusto – sottolinea- perché anche il lettore deve sporcarsi le mani, addentrandosi in pagine in cui il bene e il male non sono entità estranee e separate in modo netto, ma movimenti che attraversano in ogni istante la complessità delle nostre vite».


Terranova entra nei loro traumi, nei loro lutti, li mostra, ma non li esibisce. Ne conserva il pudore. Ma non li nasconde.
L’obiettivo è quello di restituire un testo di fronte al quale nessuno resti immune. Che poi, forse, era proprio quello che desiderava Leogrande.

Dice la scrittrice che «lo sguardo di Alessandro non si è mai arreso alla mediocrità», ma raccontava le storie affinché tutti ne fossimo così tanto travolti, s-travolti, da metterci in moto, nel tentativo di migliorare, migliorarci.

«Leogrande questo faceva: raccontava senza sosta le vite degli altri, per cambiare le nostre», sottolinea.

A me che scrivo, di tutte le storie raccolte nel libro, hanno colpito in modo speciale alcune delle ventotto “leggi del viaggio”, composte da Sinti e Dag, due etiopi rifugiati che vivono a Roma, per mettere in guardia quelli che sarebbero partiti dopo di loro. Queste sono alcune:

1. Non mettersi mai in viaggio con fratelli, mogli, fidanzate, genitori.
3. Il giorno della partenza non salutare le persone care per non rendere ancora più dura, se non impossibile, la partenza.
22. Mantenere viva non la speranza, che in tante situazioni è persa, ma la capacità di uscire fuori dalle situazioni, passo dopo passo, momento per momento.
23. Per chi ha fede: pregare ogni notte per ritrovare un po’ di pace interiore
.

Alcune delle ventotto “leggi del viaggio”, composte da Sinti e Dag

I progetti nelle scuole

Alessandro Leogrande amava andare nelle scuole, era bravissimo a parlare con i ragazzi, li ammaliava e incuriosiva, li spronava e li avvicinava ai suoi temi senza mai risultare noioso o pesante. «Il mio auspicio – sottolinea Terranova- è che con questa edizione de “La Frontiera” le sue parole possano arrivare anche laddove si erano fermate e raggiungere “i ragazzi che sognano un mondo senza frontiere“.

Foto in apertura Unsplash

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