Volontariato

Guerre dimenticate: la Caritas scrive alle istituzioni

In una lettera indirizzata a Ciampi, Berlusconi, Pera e Casini vengono illustrati i primi risultati di un’indagine sui conflitti dimenticati e messe a fuoco le responsabilità

di Gabriella Meroni

?Avanzate verso il futuro tenendo alta la fiaccola della pace?. Raccogliendo questo invito che il Papa ha lanciato da Assisi, la Caritas Italiana si rivolge alle massime autorità istituzionali e politiche. In una lettera indirizzata a Ciampi, Berlusconi, Pera e Casini vengono illustrati i primi risultati di un?indagine sui conflitti dimenticati e messe a fuoco le responsabilità di scuola, informazione (pubblica e privata) e politica estera. Emerge una realtà drammatica: negli anni ?90 si sono registrate 56 guerre in 44 Paesi. Il 90% delle guerre dopo il 1945 ha avuto luogo nei Paesi poveri. A pagarne il prezzo maggiore sono stati degli innocenti: 2 milioni di bambini morti dal ?90 al 2000; 27 milioni di morti tra i civili dal dopoguerra ad oggi (il 90% del totale delle vittime); 35 milioni di rifugiati. ?Le istituzioni politiche hanno la responsabilità di cambiare rotta ? si legge nella lettera, che prosegue elencando quanto emerso dalla ricerca e cioè che si registra ?una scarsa attività, soprattutto preventiva, dei governi nei grandi e piccoli scenari di crisi a livello internazionale? e che ?il ruolo della comunità internazionale di fronte a situazioni di guerra o di grave conflitto?, secondo il 70% del campione intervistato, deve ?essere quello della mediazione politica preventiva e dell?adozione di soluzioni non-violente?. In questa fase di ridefinizione della politica estera occorre inoltre non limitarsi ?ad azioni di conservazione o miglioramento del proprio benessere, magari a scapito di quello altrui, senza un?analisi sulle profonde motivazioni che sono alla base di determinate cause di conflitti e di instabilità sociale, politica ed economica?. Perché maturi una decisa volontà di intervenire per prevenire le guerre ?è sempre più necessario anche un alto livello di attenzione pubblica?. Purtroppo l?analisi dell?informazione radiotelevisiva nel periodo gennaio 1999 – giugno 2001 (68.510 giornali radio-televisivi), conferma decisamente l?esistenza di conflitti dimenticati da parte dei media italiani. Ecco perché, a partire proprio dalle proposte di riforma del servizio pubblico radiotelevisivo e dalle nomine in corso, la Caritas chiede alle autorità italiane che si facciano garanti di una corretta e completa informazione. Infine è chiaro che nel lungo periodo, il compito di educare spetta in primo luogo alla scuola. E dunque occorre che il processo di riforma della scuola consideri come priorità ?educare a percorsi di cittadinanza e mondialità? le nuove generazioni, sensibilizzandole verso ?ciò che avviene al di fuori dei confini italiani ed europei?. IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA Al Presidente della Repubblica Italiana (inviata anche al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente del Senato e al Presidente della Camera dei Deputati). Signor Presidente, la Caritas Italiana, in collaborazione con le riviste ?Famiglia Cristiana? e ?Il Regno?, sta portando a termine un?indagine sul tema dei “conflitti dimenticati”, che si inserisce in un più vasto progetto di approfondimento sui percorsi di educazione alla pace e di superamento di situazioni di guerra nel mondo, anche con interventi concreti di aiuto alle vittime e alle popolazioni colpite. Nella conferenza stampa del 22 gennaio 2002, in cui sono stati anticipati alcuni risultati dell?indagine, che include un sondaggio a livello nazionale, sono emersi alcuni nodi problematici, che chiamano in causa, a diversi livelli di responsabilità, l?opinione pubblica italiana, le autorità italiane e internazionali, la chiesa italiana. La ricerca si è concentrata in particolare su alcuni conflitti-simbolo particolarmente dimenticati (Angola, Colombia, Sierra Leone, Sri Lanka, Guinea Bissau), paragonati ad altri su cui si è invece avuta un?intensa copertura informativa (Kosovo, Palestina), con lo scopo di rilevare come e quanto nel tempo siano stati posti al centro dell?attenzione dei principali attori sociali (mass media, opinione pubblica, istituzioni, chiesa cattolica). – I dati aggregati confermano una realtà drammatica: negli anni ?90 si sono registrate 56 guerre in 44 Paesi, in massima parte deflagrazioni civili combattute per il controllo del governo o del territorio. Il 90% delle guerre dopo il 1945 ha avuto luogo nei Paesi poveri. A pagarne il prezzo maggiore sono stati degli innocenti: 2 milioni di bambini morti dal ?90 al 2000; circa 27 milioni di morti tra i civili dal dopoguerra ad oggi (il 90% del totale delle vittime); 35 milioni di rifugiati. – Dal sondaggio d?opinione emerge che il 71% degli italiani avverte la necessità di maggior conoscenza e approfondimento sui conflitti e sulle grandi questioni mondiali. Inoltre, nonostante l?apparente successo di alcuni interventi armati, il 70% degli italiani ritiene che il ruolo della comunità internazionale di fronte a situazioni di guerra o di grave conflitto debba essere quello della mediazione politica preventiva e dell?adozione di soluzioni non-violente. Solo un intervistato su 10 condivide le ipotesi militariste. E un misero 2% pensa che sia meglio non intervenire e lasciare che le crisi si risolvano da sè (risparmiando soldi e tempo). – L?analisi dell?informazione radiotelevisiva nel periodo gennaio 1999 – giugno 2001 (tra cui 68.510 giornali radio-televisivi), conferma decisamente l?esistenza di conflitti dimenticati da parte dei media televisivi italiani. La sproporzione tra il caso di riferimento del conflitto Kosovo e gli altri è enorme. I risultati del monitoraggio su quattro quotidiani nazionali dimostrano che anche nella stampa quotidiana ci sono guerre di serie A e guerre di serie B. Su 1087 articoli analizzati, Palestina e Kosovo si presentano al primo posto, con il 95,2% del totale degli articoli. Le “guerre dimenticate” occupano il 4,8% del totale degli articoli censiti. – Sia per l?Unione Europea sia per l?Italia, le Istituzioni hanno dato scarsa attenzione ai 5 casi oggetto della ricerca, se paragonati con Palestina e Kosovo; tale rapporto è quantificabile sull?ordine delle decine di documenti dei secondi rispetto ai primi. Anche per le Istituzioni è fondato definire i conflitti in Angola, Guinea Bissau, Sierra Leone, Sri Lanka e Colombia come ?dimenticati?. Tali informazioni chiamano in causa precise responsabilità istituzionali, in riferimento a diversi interlocutori. – Le istituzioni pubbliche responsabili dell?informazione Nonostante lo sforzo informativo che i media hanno sostenuto dall?11 settembre in poi, la ricerca mette in luce come la gente non ritenga che l?opinione pubblica sia sufficientemente informata sulle guerre in corso e sulle ragioni che le determinano. Tuttavia, perché maturi una decisa volontà di intervenire per prevenire le guerre è sempre più necessario un alto livello di attenzione pubblica e perché questa sia presente occorre una buona informazione. Chiediamo quindi alle autorità italiane che si facciano garanti di un processo di diffusione di tali notizie anche sul versante dei mezzi di comunicazione di massa, con particolare riguardo alla programmazione radio-televisiva pubblica. Sarebbe inoltre importante che anche nell?ambito della programmazione radio-televisiva privata si diffondesse un?analoga presa di coscienza, anche in relazione al fatto che, come è stato dimostrato dalla nostra ricerca, le reti a controllo privato dedicano ancor meno spazio della televisione pubblica all?approfondimento dei conflitti dimenticati. – Le istituzioni pubbliche responsabili dell?educazione e della formazione Nel lungo periodo, il compito di educare spetta in primo luogo alla scuola. Occorre educare a percorsi di cittadinanza e mondialità. Nel processo di riforma della scuola occorre tenere presente che solo se le nuove generazioni verranno sensibilizzate ad interessarsi a ciò che avviene al di fuori dei confini italiani (e a questo punto anche europei), allora potremo veramente dire di essere sulla strada giusta. E se lo slogan ?conoscere per amare? ha un senso, occorre proprio partire da una più capillare opera di formazione per giungere ad itinerari di giustizia e solidarietà. – Le istituzioni pubbliche responsabili della politica estera e di difesa Le istituzioni politiche hanno la responsabilità di cambiare rotta. La ricerca ha mostrato come vi sia una scarsa attività (soprattutto preventiva) dei governi nei grandi (e piccoli) scenari di crisi a livello internazionale. Il loro approccio a questi problemi è sostanzialmente reattivo. Sia i cittadini, sia i fatti (documentati da questa ricerca) sembrano univocamente dimostrare come le carenze della nostra classe dirigente siano gravi. Occorre ribadire che, nonostante l?apparente successo di alcuni interventi armati, il 70% del campione intervistato ritiene che il ruolo della comunità internazionale di fronte a situazioni di guerra o di grave conflitto debba essere quello della mediazione politica preventiva e dell?adozione di soluzioni non-violente. Inoltre sappiamo che è stato ampiamente documentato quanto sia costoso per la comunità internazionale intervenire quando ormai le guerre sono devastanti. I successi del governo italiano nella mediazione tra Etiopia ed Eritrea e numerose altre esperienze meno note, talvolta di diplomazia sommersa, dimostrano come, anche per i governi nazionali, ci sia un ruolo, uno ?spazio?, ancora enorme, che va ulteriormente riempito. Corriamo invece il rischio di un?attività di politica internazionale che si limita ad azioni di conservazione o miglioramento del proprio benessere, magari a scapito di quello altrui, senza un?analisi sulle profonde motivazioni che sono alla base di determinate cause di conflitti e di instabilità sociale, politica ed economica. Terrorismo incluso. Vogliamo concludere questa lettera, raccogliendo l?accorato invito che il Papa ha rivolto ad Assisi, dal cui messaggio la nostra ricerca ha tratto ispirazione, il 25 gennaio: ?Avanzate verso il futuro tenendo alta la fiaccola della pace. Della sua luce ha bisogno il mondo?. Era un invito alle nuove generazioni. Crediamo si possa estendete a tutti coloro che credono in un futuro fatto anche di nuovi approcci e nuove politiche.


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