Politica

Il Manifesto della società civile chiede alla politica un patto di serietà

Il terzo settore italiano è un modello economico stabile su cui innestare i pilastri della ripartenza nel solco della sostenibilità, della transizione ecologica e dell’innovazione. Lo è già nella realtà, ed è giunto il momento di riconoscere maggiormente questo modello smettendo di considerare il non profit come un collettore cui destinare risorse in modo residuale e assistenzialistico. Bisogna ora dotarlo della giusta “cassetta degli attrezzi” per crescere in economie di scala, competenze, le nostre 10 proposte

di Maria Chiara Gadda

Quando la società civile chiama, la politica ha sempre il dovere e la responsabilità di rispondere. Perché la qualità del dialogo, insieme agli atti concreti che ne debbono necessariamente conseguire ciascuno secondo il proprio ruolo, denotano la maturità di una comunità che è ancora in grado di leggere i bisogni e interpretare i mutamenti in atto nella società. Ringrazio Vita, voce libera e indipendente del Terzo Settore, il prof. Becchetti, e le molte personalità che hanno sottoscritto il manifesto indirizzato ai partiti e ai rappresentanti politici, perché in un modello di comunicazione che tende a liquidare i temi in pochi slogan si offre una opportunità rara di ragionamento rispetto al percorso sin qui fatto e alla strada ancora da compiere.

Prima di sottoporre alla vostra attenzione alcune proposte puntuali di merito, mi si consenta in premessa una nota personale perché la cifra – e confido anche la qualità – del mio impegno parlamentare in questi dieci anni è stata fortemente condizionata dall’incontro con il Terzo Settore e diverse realtà del settore profit e della pubblica amministrazione, grazie alla Legge 166 del 2016, la cosiddetta legge “antispreco”, che scrissi con lo scopo di agevolare il recupero e la donazione di eccedenze alimentari, farmaceutiche e di molti altri beni per solidarietà sociale. Mi piace pensare che quella legge, la prima normativa coordinata con la Riforma del Terzo Settore e uno degli esempi riconosciuti a livello europeo in materia di economia circolare in grado di coniugare sostenibilità ambientale, sociale ed economica del sistema con la responsabilità sociale di impresa e la cittadinanza attiva, sia la mia personale eredità politica e il segno distintivo della stagione del governo Renzi in cui a distanza di pochi mesi vennero approvate numerose norme coerenti tra loro nella modernità di visione.

Dico questo non per un inutile e improduttivo atto di vanità, ma per il messaggio positivo che ne può conseguire nel ricucire il rapporto di fiducia con i cittadini. Quante volte parlando nelle scuole mi sono sentita dire dai ragazzi la frase disarmante “davvero la politica si occupa di questi temi”. Ciascuno di noi ha infatti una enorme responsabilità individuale nello svolgimento della azione politica, e persino nel degrado piuttosto che nella evoluzione del lessico culturale della società. Allo stesso tempo, credo fermamente che la capacità di incidere nella quotidianità si raggiunga soltanto quando l’idea del singolo diventa patrimonio collettivo in una ottica di responsabilità condivisa. Portare all’approvazione a larghissima maggioranza la legge antispreco fu un lavoro complesso, ma immensamente gratificante dal punto di vista umano nelle relazioni che ha attivato all’interno del parlamento e nella società civile, e palestra preziosa nell’apprendimento della tecnica legislativa. Un impegno poi continuato nel tempo, ad ogni legge di bilancio e persino nei primi mesi della pandemia dove la legge 166 è stata giustamente estesa ad un paniere molto più ampio di beni, proprio perché le norme devono evolversi insieme ai bisogni. Persino “le cose” possono trovare rinnovato valore economico e ambientale, grazie alla solidarietà sociale e ad un nuovo modello circolare.

Ed è proprio questo un primo punto che vorrei toccare prima di addentrarmi in una breve riflessione di sistema. Troppe volte si sottovaluta la qualità della legislazione, e credo che in questa campagna elettorale si debba sottoscrivere tutti insieme un patto di serietà soprattutto quando vi sono riforme importanti che necessitano di un approccio organico tra diversi ministeri e amministrazioni pubbliche, e un passaggio di consegne da una legislatura all’altra. È il caso della Riforma del Terzo Settore, del Servizio Civile Universale, così come del Family Act, passaggi epocali che debbono concludere il loro percorso.

L’esperienza personale quindi, e i contenuti condivisibili rappresentati nel manifesto pubblicato da Vita, mi portano a suggerire un necessario aggiornamento di prospettiva rispetto al ruolo del volontariato e dell’economia sociale nel progresso sociale, culturale e soprattutto economico del nostro Paese. Un cambio di passo che dovrà trovare spazio nelle risorse, e in ulteriori strumenti legislativi.

Il Terzo Settore rappresenta già il 5% del nostro prodotto interno lordo grazie a oltre 360mila organizzazioni, cinque milioni e mezzo di volontari e un milione di occupati, e ha mostrato tassi di crescita costanti in questi ultimi anni. Il cosiddetto non profit rappresenta quindi a tutti gli effetti un settore produttivo strategico su cui investire e un unicum nel panorama europeo per la sua capillarità, innovazione, flessibilità e pluralità di intervento in diversi ambiti di attività di interesse generale.

La precipua caratteristica dell’assenza di scopo di lucro, non significa assenza di produttività.

Al contrario, la generazione di valore sociale e occupazionale ed economico si declina in molti ambiti di interesse generale dove la cura e la presa in carico si manifestano in attività di assistenza socio sanitaria, educazione e formazione, inserimento lavorativo, cultura, sport, ricerca, ambiente e valorizzazione del territorio e dei beni comuni. Questa affermazione sembra scontata, ma nella realtà nei lunghi mesi della pandemia il Terzo Settore si è trovato spesso escluso dai provvedimenti emergenziali e la prima versione di PNRR addirittura lo citava in modo meno che residuale. Credo che su questi aspetti la mobilitazione degli enti e di molte personalità, che ringrazio per il supporto, sia stata fondamentale nel lavoro di squadra che è stato fatto in parlamento.

Il terzo settore italiano è un modello economico stabile su cui innestare i pilastri della ripartenza nel solco della sostenibilità, della transizione ecologica e dell’innovazione. Lo è già nella realtà, ed è giunto il momento di riconoscere maggiormente questo modello smettendo di considerare il non profit come un collettore cui destinare risorse in modo residuale e assistenzialistico.

Italia Viva ritiene che l’intervento pubblico non si possa sottrarre all’urgenza della risposta ai bisogni dei cittadini, e nella definizione di politiche di sistema in grado di garantire qualità della vita e sostenibilità per le generazioni presenti e future. Del resto la riforma del Terzo Settore, la legge antisprechi per favorire le donazioni, l’agricoltura sociale, il dopo di noi, il welfare aziendale, solo per citare alcuni esempi, sono tutte norme approvate durante l’esperienza del governo Renzi, e il Family Act – la prima riforma di sistema sulle politiche per la famiglia – è orgogliosamente nato alla Leopolda.

Allo stesso tempo riteniamo che il principio costituzionale della sussidiarietà, assegni alla cittadinanza attiva, alle imprese, e al terzo settore una responsabilità sociale chiave nella generazione di valore economico, occupazionale, e qualità della vita.

L’economia circolare, connessa con le opportunità dell’economia sociale, è una economia di felicità, delle competenze, della risposta al bisogno di protezione e sicurezza dei cittadini a partire dalle grandi aree urbanizzate, sino a quelle rurali e periferiche del Paese dove servono servizi.

Organizzazione del welfare e impostazione del mercato del lavoro, per altro sono da sempre due facce della stessa medaglia indissolubilmente legate ma che necessitano di strumenti diversi.

Per questo il Reddito di Cittadinanza non ha funzionato come qualcuno aveva promesso. Si può essere poveri anche quando si ha un posto di lavoro, e soprattutto è gravemente iniquo mettere sullo stesso piano chi per diverse ragioni non è in grado di lavorare e riqualificarsi, con la platea vasta di chi si merita una prospettiva di crescita. Il lavoro non è soltanto reddito, ma è anche ascensore sociale e motore relazionale. Durante la pandemia, persino i classici interventi di sostegno hanno mostrato insufficienza e ampliato i divari generazionali, di genere e geografici. Dobbiamo intervenire prima che il bisogno diventi patologico nella fascia di popolazione stabilmente al di sotto della soglia di povertà, ma deve preoccupare anche l’affacciarsi di nuove forme di marginalità e solitudine nella cosiddetta classe media, nella fascia anziana della popolazione e tra i giovani, che oscillano come un elastico al limite della soglia che consente di accedere alle misure di sostegno.

Per questo Italia Viva sostiene che la monetizzazione del bisogno nelle politiche pubbliche di sostegno non potrà mai essere l’unica via. È necessario dotare di maggiori risorse chi – come le imprese, gli enti locali e il terzo settore – ha già dimostrato di sapere rispondere alle crescenti richieste e aspettative delle persone, e necessita di nuovi strumenti per mettere in campo politiche attive del lavoro, formazione e persino per attuare le missioni del PNRR.

Assegnata con la Riforma la cornice legislativa entro cui operare, ora è quindi necessario dotare il Terzo Settore della giusta “cassetta degli attrezzi” per crescere in economie di scala, competenze, e valorizzare appieno la capacità economica di produrre beni e servizi nell’ottica dell’interesse generale e la trasversalità degli ambiti di attuazione.

In altri termini è giunto il tempo di considerare l’economia sociale come un capitolo di investimento, e non certo di spesa, e di cambiare mentalità nella pubblica amministrazione ad ogni livello affinchè il principio di co-programmazione e di co-progettazione non rimanga soltanto sulla carta.

Mi permetto di condividere 10 proposte concrete che possono coinvolgere direttamente il Terzo Settore, e che spero possano essere oggetto di dibattito e ulteriore confronto.

NONPROFIT 4.0

Estensione del pacchetto impresa e agricoltura 4.0 agli enti del terzo settore iscritti al RUNTS. Il non profit, nonostante sia a tutti gli effetti un settore produttivo ed occupazionale, ne è rimasto fino ad ora escluso.

Innovazione, acquisto di beni mobili strumentali e formazione 4.0 sono fondamentali per l’aggiornamento e la continuità di servizi strategici. Basti pensare al recupero di eccedenze, alle applicazioni digitali per svolgere servizi domiciliari agli anziani, alla domotica nelle esperienze residenziali sul modello dopo di noi, alla blockchain per piattaforme legate alle raccolte fondi, solo per citare alcuni esempi.

VOLONTARI

Per favorire la cittadinanza attiva, abbassare l’età media dei volontari, e incentivare la formazione e la preparazione del volontariato italiano, occorre predisporre dei percorsi più strutturati e incentivanti. In questi termini si propone di estendere i medesimi incentivi previsti attualmente per la protezione civile, consentendo così ai volontari di accedere a permessi retribuiti in caso di formazione o partecipazione alle attività dell’ente entro determinati limiti.

WELFARE AZIENDALE

Estendere alle forze dell’ordine, al personale sanitario e agli insegnanti, l’istituto del welfare aziendale. Questo significherebbe beneficiare di servizi, prestazioni ed erogazioni con lo scopo di migliorare la qualità della vita dei lavoratori e delle loro famiglie, e quindi anche la produttività sul posto di lavoro. Il terzo settore gioca un ruolo importante nella offerta di tali servizi, e ampliare l’ambito di operatività del welfare aziendale anche ad altre categorie di lavoratori significa dunque favorire il non profit oggi impegnato nella prestazione dei servizi welfare quali, ad esempio, il supporto alla genitorialità, l’assistenza alle persone anziane e disabili, i servizi socio sanitari, la cultura, lo sport e il tempo libero.

COMPLETAMENTO RIFORMA TERZO SETTORE E COORDINAMENTO CON SPORT

Con le due riforme dello sport e del terzo settore cambia lo scenario degli enti che svolgono attività rilevanti per il Paese e la coesione sociale. È di fondamentale importanza coordinare le norme e favorire un dialogo tra i due diversi registri (terzo settore e sport) consentendo agli enti di accedere a nuove opportunità, finanziamenti e agevolazioni di vario tipo senza dover fare lo slalom tra burocrazia e norme settoriali.

Per quanto riguarda la riforma del Terzo Settore, una volta avviato il registro unico e pubblicati alcuni decreti fondamentali (da ultimo social bonus e raccolta fondi) è ora necessario ottenere il via libera da parte dell’Unione Europea. Questo significherà finalmente dotare gli enti del terzo settore di strumenti fondamentali come ad esempio le misure fiscali per le imprese sociali ivi inclusi gli incentivi per gli investitori, avviare gli strumenti di finanza sociale, sbloccare le regole IVA che al momento rischiano di rallentare comparti importanti come la sanità e il socio sanitario, sbloccare l’anagrafe delle ONLUS che fino al vaglio della UE risulta congelata non consentendo nuove iscrizioni.

IRAP

Esenzione IRAP per il terzo settore iscritto al RUNTS. Si tratterebbe di una misura particolarmente importante che oggi è applicata in modo difforme sul territorio nazionale ed è attualmente prevista entro limiti determinati. Avrebbe il pregio di innescare un sistema virtuoso volto a premiare la produttività degli enti del terzo settore mettendo a disposizione risorse finanziarie particolarmente importanti in questa fase.

TUTOR AZIENDALE

Sebbene le norme già prevedano a diverso titolo l’inserimento lavorativo e percorsi di accompagnamento delle persone con disabilità, la realtà è ancora ben lontana dal consentire una reale e stabile opportunità. Sovente alle persone con disabilità vengono affidate mansioni residuali e per le imprese stesse, a partire dalle PMI, non è semplice coniugare l’operatività quotidiana con mirati percorsi di inclusione. Serve quindi dare attuazione alle norme esistenti con risorse mirate alla diffusione di tali figure professionali di cui il Terzo Settore è ricco.

CARCERI E FORNITURA DI BENI E SERVIZI ALLA PA

Potenziare e stabilizzare le attività educative, di istruzione di base, tecnica e professionale, e l’inserimento lavorativo per diminuire la recidiva e offrire una reale opportunità alle persone detenute, con particolare attenzione ad attività in co-progettazione con enti locali, terzo settore e imprese per la manutenzione del territorio, economia circolare, produzione e fornitura di beni e servizi alla pubblica amministrazione.

CASA E IMMOBILI PER LE ATTIVITÀ ISTITUZIONALI DEGLI ENTI

L’edilizia popolare (per altro molto sottodimensionata e vetusta in Italia, il 3-5% del mercato abitativo), si rivolge a una platea di cittadini molto differente rispetto alle esigenze di persone che a causa di eventi imprevisti rischiano di scivolare in modo oscillante sotto la soglia di povertà. Si tratta di chi ha redditi medio bassi, ma non così bassi da accedere alle graduatorie. Gli affitti costano, soprattutto nelle aree metrolitane, il mutuo presuppone garanzie e continuità lavorativa, e l’offerta residenziale non è adeguata a esigenze che cambiano nel tempo (famiglie, anziani e giovani soli).

In Italia le case in affitto sono poche, e care. Bisogna agire quindi sull’offerta e sull’accessibilità, con un grande piano di residenzialità temporanea e rigenerazione urbana, legato alla presa in carico all’interno di un percorso personalizzato a 360 gradi.

L’impresa che costruisce o riqualifica un immobile, può accedere a un credito di imposta se per almeno 36 mesi destina le unità abitative e canoni concordati e calmierati nei confronti di persone fisiche o di enti del terzo settore. Le stesse misure possono essere estese ad altre tipologie di edilizia non residenziale, per esempio magazzini, nel caso di destinazione al terzo settore per lo svolgimento di attività di interesse generale. Sarebbe preferibile destinare gli immobili di residenzialità temporanea a enti del terzo settore (di concerto con gli enti locali), per progetti triennali di presa in carico personalizzata (casa, lavoro, formazione). Per l’impresa che assume soggetti inseriti in questo percorso, si potrebbe prevedere una forma di decontribuzione per la durata della presa in carico (o misure analoghe di decontribuzione nel caso i fruitori fossero piccoli artigiani o partite IVA).

BENI E SERVIZI DI UTILITÀ SOCIALE

Un buono per l’accesso a beni e servizi di qualità (dentista, psicologo, visite specialistiche, sport di base per minori e anziani, ecc), strutturale, flessibile, semplice nell’utilizzo e detassato alla fonte, erogato a bando direttamente agli enti del terzo settore iscritti al RUNTS con meccanismi unici per tutti gli enti locali e di facile accesso. Si potrebbe utilizzare in questo senso lo stesso meccanismo previsto per il welfare aziendale utilizzando forme snelle e semplificate per la fruizione dei servizi e dei beni come i voucher.

EDUCATORI DI STRADA

Per spezzare la catena dell’analfabetismo (purtroppo ancora molto presente nel Paese, che rappresenta anche una barriera all’ingresso nel mondo del lavoro persino rispetto alle mansioni meno qualificate) e del disagio sociale in particolare psichico. Risorse messe a disposizione dei comuni per progetti mirati e strutturali, a bando nazionale, con una programmazione almeno triennale. Questo consentirebbe di fornire servizi più flessibili e adatti alle esperienze locali, in affiancamento ai servizi sociali dei comuni.

*deputata di Italia Viva (responsabile Terzo Settore e coordinatrice regionale della Lombardia)

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