Welfare

Dipendenze in Sicilia, mancano i Sert e le strutture a doppia diagnosi

In Sicilia le uniche comunità che possono accogliere un soggetto con problemi legati all'assunzione di sostanze stupefacenti sono quelle classiche, che non sono in grado di rispondere alle tante esigenze che la dipendenza comporta, Mancano le strutture a doppia diagnosi esistenti in altre regioni italiane. Per Giampaolo Spinnato, direttore del Servizio Dipendenze patologiche dell’ASP n. 6 di Palermo, pensare ai centri di crisi sarebbe già la prima risposta concreta

di Gilda Sciortino

Strutture a doppia diagnosi che possano prendere in carico soggetti che hanno bisogno di essere accolti in comunità dedicate. La Sicilia non ne ha, non può neanche minimamente paragonarsi per esempio alla regione Piemonte, dove le strutture prevedono un’ampia casistica e vanno da quelle di tipo residenziale e ambulatoriali a quelle per adulti, per bambini, per coppie, centri crisi, per soggetti con Hiv/Aids, alloggi di reinserimento, gruppi appartamento e pronta emergenza.

«Noi abbiamo solamente le classiche comunità – spiega Giampaolo Spinnato, direttore del Servizio dipendenze patologiche dell’ASP n. 6 di Palermo – perché la Regione non ha stabilito i criteri per accreditare le strutture. Così, quando abbiamo un paziente in doppia diagnosi, dobbia mandarlo fuori dalla Sicilia, con la conseguenza di fare entrare i nostri soldi nella casse delle altre regioni».

Al momento nessuno si è preso la responsabilità neanche di fare proposte.

«Stavano lavorando a una struttura a doppia diagnosi, ma poi è arrivata la pandemia. Stiamo cercando di fare ripartire il progetto, ma non è facile. Se, poi, ci fosse una legge regionale, si potrebbe pensare ai bandi per accreditare il privato sociale a gestire questo genere di servizi. Anche perché il ragazzino che si trova in difficoltà per strada non può essere trattato come altri soggetti con problemi differenti, minori o maggiori che siano non ha importanza. Un centro di crisi, per esempio, consentirebbe di fare pronta accoglienza a chi ha immediato e momentaneo bisogno attraverso una struttura che preveda un tipo di personale diverso a seconda dei casi. Dare riparo anche solo per qualche giorno alla settimana, seppure senza la motivazione ad accedere a servizi più strutturati, è comunque un primo aggancio che ci consente di ipotizzare un lavoro a lungo termine».

Una situazione comunque estenuante, a maggior ragione quando il personale va sempre più diminuendo.

«È vero, abbiamo grossi problemi di personale sanitario perché mancano medici e infermieri. I nuovi laureati non riescono a coprire i bisogni. Rispetto ai posti disponibili le domande sono veramente molto poche. Questa, una volta, era una delle professioni più redditizie, ma soprattutto la nobile arte, adesso non più. Da noi, poi, ci sono ambulatori che non hanno medici e, chi ha la responsabilità di uno, alla fine si ritrova ad occuparsi anche degli altri. Il problema è in generale della sanità pubblica e diciamo che la salute mentale, quindi anche la tossicodipendenza, non sono ai primi posti tra le scelte della sanità».

In tutta la provincia di Palermo i Sert dovrebbero essere undici, cinque dei quali in città, invece sono solo tre.

«Palermo ha, per grandezza, il primo e il secondo Sert; il terzo è a Catania. Chi si rivolge ai Sert lo fa sapendo che riceverà trattamenti farmacologici, fare colloqui, sostegno, fare esami clinici ed essere accompagnati nell'ingresso in comunità. Nello specifico di Palermo, il Sert di via Pindemonte ha 500 pazienti, via Filiciuzza 400, mentre quello di via dei Cantieri 300. Compresi coloro che fanno terapia metadonica, il capoluogo siciliano accoglie circa 2mila persone con problemi legati all’assunzione di sostanze stupefacenti, mentre in provincia ne avremo circa 500. Poi ce ne sono altrettante che non sono in trattamento, almeno altre 2mila in tutta la città di Palermo».


Le statistiche ci dicono pure che attualmente fa uso di cocaina circa il 20% della popolazione. Da dove arriva questo dato?

«Sono i dati che vengono desunti statisticamente da alcuni indicatori indiretti di sequestro, ma anche dalla presenza di cocaina nelle acque reflue perché viene eliminata attraverso le urine. Ogni città fa questo genere di analisi».

Ma se volessimo capire perché si arriva a tutto questo? Parliamo sempre e solo di disagio?

«Il disagio esiste a prescindere dalle sostanze. Sicuramente all’inizio c'è nello strutturarsi di una dipendenza, ma non nel consumo. Abbiamo diversi consumatori che non hanno alcun tipo di disagio. Per esempio, vai a prendere un drink la sera? Se diventa costante e quotidiano, allora si passa dal consumo all'abuso. I ragazzi, per esempio, accedono alla sostanza avendo avuto prima comportamenti autolesionisti in seguito a critiche sociali, difficoltà di integrazione scolastica. Molte ragazze evidenziano disturbi alimentari, spesso anche situazioni di abuso. In questo caso è evidente, il disagio produrrà nel tempo una patologia e si andrà incontro alla dipendenza che non sposta definitivamente la patologia, ma crea una sorta di deviazione che poi, in qualche modo, fatalmente, invece di fare emergere il disturbo a 15 anni, lo vedrà affiorare a 25, proprio in virtù del cambio di percorso. Ci sono stati anche diversi casi di suicidio nella fase in cui si era smesso di usare la sostanza. Persone che probabilmente avrebbero posto fine alla loro vita, ma che per caso la incontrano e, grazie a essa, sopravvivono. Guardiamo la ludopatia, nella quale ciò che diventa incentivante è la perdita. Reitera un meccanismo fondamentale nella nostra vita, cioè il fatto che tendiamo a ricercare delle esperienze gradevoli, quali l'alimentazione, la sessualità, quelle che notoriamente favoriscono la sopravvivenza della specie. E questo meccanismo funziona, è il gradiente. Quando a incoraggiare l'uso della sostanza non è solo il piacere che ti procura la sua assunzione ma anche il dolore della sua mancanza, a quel punto si è strutturata una dipendenza».

Ma chi sta bene o comunque vive una situazione di benessere, non va certo a cercare nulla di tutto questo….

«Vi faccio un altro esempio. Una persona che ha una vita un po’ stressata dal punto di vista lavorativo non ha certamente una condizione patologica, ma vive ogni giorno una forte tensione. Quali saranno le forme di compensazione che utilizzerà per poter reggere la frustrazione? Magari fumerà o berrà qualcosa, sarà un appassionato di calcio e non riuscirà a fare a meno di andare a vedere la partita ogni domenica. Anche la sostanza è una forma di compensazione, al pari dello sport. Qual è, però, il problema che ha in più di tutto il resto? Il fatto che induce tolleranza, quindi il piacere che dà va via via diminuendo sia dal punto di vista dell'intensità sia rispetto al piacere. Tutto questo genera un rito più frequente e dosaggi più alti, generando un utilizzo compuslvo e dipendenza. Le sostanze vanno a tolleranza perché, se non fosse così, tutto sommato ce la caveremmo. Non ce ne rendiamo conto ma, una volta innescato questo meccanismo, è difficile tornare facilmente indietro».

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