Cultura
Beati Voi, un ricordo di don Bruno Nicolini
Il 17 agosto ricorre il decennale della morte di don Bruno Nicolini fondatore dell'Opera Nomadi e del Centro Studi Zingari. Fu lui ad adoperarsi perché Giovanni Paolo II accogliesse i Rom e Sinti provenienti da molti paesi d’Europa e del mondo nel settembre del 1991
All’inizio degli anni Novanta, don Bruno Nicolini, assieme a Mirella Karpati, cominciò a pensare che la vita del Centro Studi Zingari, da loro fondato e della rivista ad esso collegata, Lacio Drom, avrebbero dovuto prima o poi concludere la loro parabola. Forse sbagliavano nel ritenere che la chiusura totale delle attività fosse un esito fatale; del resto, avevano già cominciarono a cercare non già chi potesse raccogliere il testimone ma piuttosto rilevasse il patrimonio di libri e riviste che costituivano la biblioteca del Centro Studi Zingari.
In realtà, né lui, né Mirella Karpati, pedagogista e sua storica collaboratrice, erano riusciti a formare nel tempo un gruppo di persone cui affidare la continuità di quanto da loro creato assieme ad altri studiosi tra cui, merita ricordare, Vittorio Emanuele Giuntella, Tullio De Mauro, Giulio Soravia e non pochi giovani collaboratori. Nella decisione di cessare le attività del Centro Studi Zingari agirono probabilmente alcune peculiarità del carattere di don Bruno e di Mirella, frammiste alla segreta convinzione che nessuno sarebbe stato capace di continuare nel solco da loro tracciato. In seguito, la biblioteca fu donata alla Fondazione Fossoli di Carpi dopo la chiusura del Centro nel 1999, anno in cui anche la rivista, Lacio Drom, cessò le sue pubblicazioni.
Don Bruno negli ultimi anni dell’attività del Centro si dedicò al progetto di riunire i tanti che nel corso del tempo avevano collaborato con lui; studiosi, attivisti e leader delle comunità romanì, sostenendo al tempo stesso la crescente richiesta dei Rom di essere riconosciuti a livello politico internazionale.
In una sorta di simmetria con l’evento straordinario realizzato a Pomezia nel settembre 1965 (di cui Susanna Placidi ha raccontato nel suo libro Una giornata particolare, 2017) don Bruno si adoperò dunque perché Giovanni Paolo II accogliesse i Rom e Sinti provenienti da molti paesi d’ Europa e del mondo. Immaginava di portarli di nuovo a Roma, non in pellegrinaggio come nel 1965 ma per un convegno. Il progetto si realizzò nel settembre del 1991.
La sua idea di congedo dai collaboratori di una vita ebbe la forma proattiva di un convegno di studi, ospitato in una struttura di accoglienza in riva al mare di Ostia. Nell’Europa senza più muri don Bruno favorì in tal modo l’incontro di Rom, politici, uomini di fede e studiosi. Per quell’incontro collocato tra Roma e Ostia dal 20 al 28 settembre 1991, don Bruno aveva voluto un respiro internazionale per confrontare le politiche regionali e locali verso i Rom, promosse dai paesi dell’Europa Occidentale ed Orientale. In quegli anni sembrava che le barriere erette dopo la Seconda Guerra Mondiale finalmente fossero crollate.
Erano anni cruciali in cui qualcuno aveva teorizzato addirittura la “fine della storia”; era senz’altro la fine del “secolo breve” e tante risultavano le speranze di sviluppo e soprattutto di pace.
Promotori del convegno furono il Centro Studi Zingari (Romanò Sičarimasko Than) insieme alla Unione Romani Internazionale (The International Romanì Union /Romanò Internacionalno Jekhetanipé). Già l’anno precedente don Bruno aveva invitato a Roma Rajko Djurić (1947-2020), allora presidente della Romani Union e assieme a lui e ad un ristretto gruppo di collaboratori, aveva iniziato a progettare l’evento. Rajko Djurić fu subito entusiasta e affermò di aderire con il cuore e l’intelletto al progetto il quale, tuttavia, ancora non aveva un nome, né una sede, né finanziamenti certi.
Don Bruno osservava il movimento mondiale dei Rom, ne coglieva speranza per una nuova Europa. I Rom dispersi in una diaspora mondiale, grazie ai cambiamenti geopolitici dopo la caduta del Muro di Berlino, con l’impegno dei loro leader comunitari, compresero il valore del convegno, che non a caso ebbe poi titolo Est-Ovest, proprio per rafforzare le richieste di riconoscimento, da parte della comunità internazionale, di questo popolo come minoranza transnazionale.
Sembrava quello il momento in cui Est e Ovest apparivano allora definitivamente e pacificamente in dialogo, indirizzati verso politiche di pace, mutate poi, tragicamente, in guerre devastanti e nuove migrazioni.
Quelle giornate del settembre 1991 furono, insieme a molto altro, l’occasione per denunciare casi di discriminazione e violenza, specialmente verso i Rom più poveri, nei paesi dell’Europa centrale e orientale, sistematicamente documentati come crimini di natura razzista dalla stessa Romani Union. Il fatto che tali azioni o discorsi potessero essere talvolta di lieve entità non doveva indurre a minimizzare la questione. Piuttosto, erano segnali che ammonivano poiché, come si era già visto, il pregiudizio conscio o inconsapevole portava nel tempo a una distanza emotiva e sociale che permetteva all’avversione di crescere, fino ad esiti estremi.
Forte fu anche la rappresentazione del timore per la vita di intere comunità, allora in cammino verso l’Europa occidentale lasciando la Jugoslavia, fuggendo da Mostar (fatti di agosto 1991), e da altri luoghi devastati dalla guerra ai suoi inizi. Si denunciava con parole tragicamente predittive la crescita su larga scala della persecuzione dei Rom, tipica dei periodi di nazionalismo aggressivo, di conflitti etnici armati e di instabilità politica.
Ci furono due importanti incontri: in Campidoglio il 23 e il 26 settembre in Vaticano. Rajko Djurić prese la parola esclusivamente in romanès: “Si dice che i Rom creano molti problemi e in realtà a migliaia i Rom sono costretti ad abbandonare alcuni paesi come la Jugoslavia lasciando le loro case e i loro averi e spesso la loro famiglia pur di salvare la vita. E ancora una volta non trovano posto nell’Europa occidentale. I giornali scrivono che sono i Rom a creare i problemi ma noi chiediamo. Chi ha distrutto le loro case in molti paesi? Chi li ha minacciati e a volte uccisi? E infine chi è che conduce questa guerra bestiale in Jugoslavia?”
Don Bruno presagiva i rischi di un nuovo squilibrio sociale ed economico per il popolo degli Zingari (li chiamava così nel suo cuore, sempre la parola con l’iniziale maiuscola). In Campidoglio egli pronunciò un discorso importante: “Il Centro studi Zingari è un pugno di piccoli uomini e di piccole donne zingari e non zingari che sin dal 1965 hanno iniziato a camminare insieme verso una destinazione diversa: (…) per un’auto coscienza, un’autoaffermazione: ecco che è nata la nostra rivista che ha voluto prendere un nome di pace, l’augurio con cui gli Zingari si salutano quando partono, “Lacio Drom P’ral. Buon cammino fratello”. Ed ancora: “Nell’ambito di questo convegno i Rom si sono riuniti per pensare insieme al proprio futuro in un modo nuovo. In questa occasione essi presenteranno dei documenti della loro volontà etica e politica di essere anche loro un popolo che attraversa tutto il mondo, in tutti i sensi. Raccolgono le culture più diverse; eppure, si sentono un popolo solo. L’Unione Romanì ha davanti a sé il compito di riunire in un’unica nazione culturale uomini e gruppi umani sparsi in tutti i continenti in una volontà di fratellanza attraverso la loro tradizione, che fondamentalmente è una, ha una radice comune. E noi rendiamo omaggio a un’impresa così stupenda che in piccolo è un po’ la sfida all’umanità intera, che da Babele tende, attraverso la Pentecoste, a riunire tutte le diversità perché siano un canto del genere umano, un canto di pace, di giustizia, di solidarietà. Pensiamo che la vostra storia è degna di un futuro nuovo non fosse altro perché è una storia di repressione, di segregazione, di assedio fisico fino al genocidio nazista. Di schiavitù secolare nei paesi danubiani, di negazione della vostra identità. Il Vaticano accosta per la prima volta la questione sul piano etico-politico, secondo la dottrina sociale della Chiesa, secondo la Centesimus annus, attraverso due Pontifici Consigli, quello della Giustizia e pace e in particolare quello della pastorale dei migranti e itineranti. Questo convegno si concluderà il 26 settembre, anniversario di quel 26 settembre 1965 quando per la prima volta nella storia degli Zingari un papa, Paolo VI, si incontrò con loro proprio mentre si discutevano i grandi temi della pace e della povertà nella Chiesa. Ricordo quel giorno perché da lì è nato tutto”.
La mattina del 25 settembre fu dedicata ad una sessione di studi a palazzo San Calisto, presso il Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti e degli itineranti. Raiko Djurić parlò del diritto fortemente reclamato che la lingua romanès fosse considerata al pari di ogni altra lingua del mondo e della collaborazione con i non rom sulla questione dello sterminio nazista ricordando come quel genocidio fosse ancora misconosciuto e senza riparazioni.
Al termine del suo discorso, il giorno che accolse in Vaticano i convegnisti e le molte famiglie di Rom che ci avevano raggiunto, papa Giovanni Paolo II, dimostrando di conoscere questa profonda e peculiare devozione, invocò la Vergine Maria Regina degli Zingari, e poi impartì la sua benedizione.
“Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio” (Lc 6,20). Secondo chi gli fu vicino, questa frase del vangelo di Luca racchiude quella che don Bruno Nicolini chiamava la “teologia dell’emarginazione”. Riteneva che l’emarginazione fosse conseguenza di un’esclusione più profonda, quella di un’identità negata; mentre le istituzioni diventavano incapaci di gestire un problema complesso in una spirale di impoverimento e marginalizzazione.
Tra gli ultimi atti di don Bruno va ricordato l’impegno che egli profuse nell’accompagnare il processo di canonizzazione del primo zingaro martire della Chiesa. Ciò avvenne nel maggio del 1997, quando Giovanni Paolo II proclamò il primo beato della Chiesa cattolica di origini rom, quale patrono di tutti i Rom del mondo. La canonizzazione di Ceferino (in italiano Zefirino) Giménez Malla, un kalò di Spagna chiamato El Pelé, ucciso per la difesa della fede cristiana. Si trattò di un evento caro alla concezione teologica che muoveva l’azione di don Bruno. Nell’omelia della canonizzazione il pontefice aveva ricordato: “Il Beato Ceferino seppe seminare concordia e solidarietà fra i suoi, mediando anche nei conflitti che a volte nascono fra ’payos’ e zingari, dimostrando che la carità di Cristo non conosce limiti di razza e di cultura”. La sua memoria liturgica è il 2 agosto giornata che rievoca anche lo sterminio, nel 1944, delle famiglie rinchiuse nello Zigeunerlager ad Auschwitz, come testimoniato dalle memorie dei deportati ebrei sopravvissuti tra cui Primo Levi e Piero Terracina.
A Zefirino è dedicata una cappella nella basilica di Saint-Nicolas a Nantes e una nel santuario dei popoli romaní a Siviglia. Ad Avezzano, in Abruzzo, gli è dedicata una piazzetta nel quartiere di via Napoli, dove vivono i rom della città. A Roma, una chiesa all'aperto presso il Santuario della Madonna del Divino Amore porta l’impronta dell’azione pastorale di don Bruno. La chiesa a cielo aperto, eretta in un luogo di devoto pellegrinaggio dei Rom, è dedicata al martire gitano, al beato Zefirino. Si trova sulla collina, davanti alla Torre del Primo Miracolo e venne inaugurata il 25 settembre del 2004. Per pavimento la madre terra, per cupola la volta celeste e la provvidenza divina, un altare circolare che rievoca la ruota e rimanda all’itineranza di luogo in luogo. Il cerchio formato dai sedili intorno all’altare rievoca l’accampamento e i momenti di sosta.
Don Bruno aveva così concepito lo spazio al Santuario degli Zingari, sottolineandone il ruolo di chiesa nazionale come le altre che la capitale della cristianità ospita e dedicata a un martire. In questo modo si rievocavano anche le violenze di massa del Novecento e l'eccidio nazista con il mezzo milione di vittime nei campi di sterminio. L’artista rom, Bruno Morelli (che già aveva dipinto l’immagine di Zefirino esposta in piazza san Pietro per la canonizzazione) scolpì la croce a forma di albero, simbolo della natura che si innalza dalla terra al cielo, metafora della vittoria della vita sulla morte, simbolo della resurrezione di Cristo. L’11 giugno 2011, durante una veglia di preghiera a cui presero parte Rom e Sinti giunti a Roma per partecipare all’udienza del Papa, fu consegnato al Memoriale dei Nuovi Martiri e Testimoni della fede del XX e XXI secolo presso la basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, un frammento del rosario appartenuto al beato Zeferino.
Quel frammento di rosario, testimonianza tangibile, esposta alla comune venerazione di fedeli, ricorda il fervente apostolato mariano che El Pelé, seppure analfabeta, promosse tra i Gitanos, in particolare tra i bambini.
Beati voi, beato Zeffirino, lo spazio aperto, il "Divino Amore” dove ritroviamo la teologia di don Bruno che era; rispetto delle consuetudini peculiari, devozione mariana, ricordo dell’oppressione, testimonianza eroica. Dopo la sua scomparsa celebrammo una messa nella chiesa a cielo aperto per ricordarlo: c’era il sole, venne il vento, vennero le nuvole, un cane che vagava si unì a noi per tutta la cerimonia, fu innalzato il calice e alcune ostie volarono in cielo.
Lo ricordiamo nel decennale della sua morte mentre anche nel suo nome le nostre piccole comunità di amici dei Rom sono impegnate a soccorrere per quanto possibile anche i Rom di Ucraina.
Nel fondo Tullio De Mauro è disponibile il volume degli Atti del convegno Est -Ovest
Hanno collaborato Giorgio Viaggio e Andrea Di Giuseppe
@Foto di Giovanna Grenga per gentile concessione
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