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Salinari (Cini): «Alle sfide globali si deve rispondere con network altrettanto globali»

«Il punto è trovare un buon livello di omogeneità interna e questo significa che l’aggregazione deve avere basi ideali, di sintonia valoriale, e non solo sindacali o di mero servizio agli associati», sottolinea il portavoce del Coordinamento Italiano delle ong Internazionali. L'intervista

di Lorenzo Maria Alvaro

Continua il dibattito sui temi delle alleanze, fusioni e integrazioni tra organizzazioni, nato dalla notizia del “matrimonio” tra Amref e Ciai. Dopo i contributi di Paola Crestani (Ciai) , Marco Chiesara (WeWorld) e Roberto Ridolfi (Link2007) un'intervista con Raffaele K. Salinari, portavoce del Coordinamento Italiano delle ong Internazionali.



Che momento sta vivendo il mondo delle ONG e del Terzo settore?
Il Terzo Settore e le Ong di cooperazione, che sono parte integrante di questo, attraversano un momento estremamente contraddittorio: da una parte il quadro epidemiologico ha trovato tutto il Terzo settore pronto a sostenere il welfare di comunità con uno sforzo aggiuntivo di grande portata, e le Ong di cooperazione preparate a farsi carico delle ricadute non solo sanitarie della pandemia nei paesi fragili, dall’altra tutto questo non è stato riconosciuto adeguatamente né a livello di fondi né tantomeno legislativo, poiché la politica ha praticamente ignorato le proposte del settore tese a ripensare, ad esempio, i servizi alle persona, le misure di contrasto alla dispersione scolastica ed al contenimento dei vari livelli di fragilità via via evidenziati. Penso che invece sarebbe opportuno e intelligente prestare più attenzione alle esperienze positive maturate dal Terzo settore in generale e dalle Ong in particolare nei loro campi di azione.

Il tema dell'impatto è sempre più centrale, quali sono le leve sulle quali agire per aumentare l'impatto delle proprie azioni?
L’impatto, specie quello a lungo termine, che nei progetti di sviluppo è l’obiettivo centrale, in altri termini la loro sostenibilità ed efficacia, parte da una co progettazione accurata e dal conseguente coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti, siano essi beneficiari che operatori. Questo significa, per una Ong, avere adeguati livelli di specializzazione sia geografiche sia settoriali evitando di rincorrere i fondi a disposizione o inventarsi di volta in volta tematiche “alla moda”, come molto spesso abbiamo visto in questi anni, per restare invece coerenti con la propria identità operativa.

Vede nella ricerca di nuove forme di assetto, come le alleanze tra le reti, una prospettiva futura?
Come Portavoce di un Network formato da Family internazionali la mia posizione è netta a proposito: alle sfide globali si risponde con network altrettanto globali. Il punto è trovare un buon livello di omogeneità interna e questo significa che l’aggregazione deve avere basi ideali, di sintonia valoriale, e non solo sindacali o di mero servizio agli associati. Penso inoltre il percorso di confronto e crescita unitaria che può nascere all’interno di una rete di rappresentanza, possa esercitare un effetto positivo anche per quanto concerne il lavoro sul campo.

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