Cultura

Nato, anzi donato (di Alter Ego)

Un saggio folgorante dedicato al tema del dono. E polemico con tutta la melassa buonista. Lo ha scritto Silvano Petrosino, filosofo, docente alla Cattolica di Milano. Intervista

di Redazione

Terrorista, sovversivo, illegale. Devastatore, asimmetrico, forse impossibile. Il dono è l?orizzonte proibito dell?Occidente maturo, il suo irraggiungibile punto di fuga. Ricordo di un mondo perduto eppure mai vissuto, appare oggi come l?unica rivoluzione possibile, l?ultima: rendere altro questo mondo.Vita ne ha parlato con Silvano Petrosino, docente di Semiotica e filosofia teoretica all?Università Cattolica di Milano, allievo del filosofo Emmanuel Levinàs e autore di un piccolo, folgorante saggio: Il dono (Il Melangolo, 2001, 10,33 euro). Prima di tutto bisogna sgombrare un equivoco di fondo. Il dono è diverso dallo scambio. L?idea di scambio infatti è la struttura stessa dell?esistente, della realtà, della vita che altro non è che uno scambio continuo. Il dono invece è esattamente il contrario: è la rottura paradossale di questo scambio, la rottura dell?economia in quanto legge dello scambio. Sembra un paradosso. Non sembra, è un paradosso. Il dono rompe il legame economico ma ne crea un altro, non economico. Se però l?economia è la regola della vita, anche il dono rientra nell?economia. O no? Sì e no. Sì in senso generale. No, soprattutto no, in quello particolare. Economia infatti vuol dire, prima di tutto, gestione della casa, amministrazione della famiglia. Buon senso insomma, necessità di far quadrare i conti mettendo insieme il pranzo con la cena. Ecco, in questo senso non è assurdo che il dono sia percepito come un danno, una rottura, come un limite del mio desiderio di far tornare i conti secondo l?idea di giustizia come bilancia. Il dono infatti sovverte l?ordine naturale della vita, dell?umano come vivente: è al di là del dovere. C?è un altro paradosso: donare è anche ricevere. Certo, ma solo a livello di luogo comune. Il dono infatti non è mai il dono donato, ma il dono ricevuto. In realtà, solo chi riconosce di avere già ricevuto sa cosa sia il dono. Dunque è in grado di donare. Quindi non è vero che uno riceve ciò che dona? È melassa buonista. Uno dona solo se ha fatto esperienza di ricevimento. Questo è il vero problema dell?uomo contemporaneo, che in realtà non è cattivo ma fa fatica a fare esperienza di ricevimento. Il dono è prima di tutto ricevere. Paradossale, davvero. Il dono è prima di tutto un?altra cosa. Appartiene all?ordine del creaturale, dell?apocalittico. Alla fine della storia, insomma. Nei tempi umani bisogna guardare allo scambio equo. L?Occidente oggi dimentica le religioni abramitiche, come dimentica lo scambio equo di Atene, dove la virtù era sempre collegata alla giustizia, cioè allo scambio equo. Ma dimenticando lo scambio equo, l?Occidente dimentica se stesso, di essere occidentale. Il capitalismo scatenato è ingiusto non perché non dona, ma perché impone uno scambio iniquo. Da questo punto di vista, il dono è la dimensione profetica dell?esistenza, che inquieta l?economia dall?interno. Uno scambio equo è possibile? Sì, ma è come la parabola del grano e della zizzania, che sono inseparabili. Per chi crede, l?esperienza ultima del dono avverrà nell?Apocalisse, ma l?uomo ha la possibilità di imporre nel quotidiano uno scambio equo, distinguendo di volta in volta. Anche se nell?uomo stesso, come scrive Agostino, c?è una tale struttura del desiderio che lo spinge a soddisfarlo soprattutto attraverso un di più, un sistema di cose che divengono idoli. Ma questo è un altro discorso. Sembra che non ci sia nessun bisogno di donare. Sbaglio? No. Non c?è nessun bisogno di donare. Il dono come ?bisogno? è buonismo da oratorio, sentimentalismo da parrocchia, sagra dei buoni sentimenti. C?è semmai il ?desiderio? di donare, che rende viva ed etica l?esperienza dell?economia, quella dimensione di buona amministrazione della casa, dunque della vita, che si diceva prima. Il suo ultimo libro ha un sottotitolo difficile, «Il figlio ovvero del padre, sul dono ricevuto». Come ho detto, per me il dono è sempre il dono ricevuto. Quanto al figlio, in quanto figlio è il perfetto esempio del dono, colui che ha fatto l?esperienza del dono. Un?idea fortemente cristiana, se vuole, in senso antropologico prima che religioso. Cioè? Il cristiano è l?unico che chiama Dio ?padre?. Gesù è divino proprio per questo, perché dopo Adamo riconduce la creazione a Dio. Chiamandolo padre e non più il Tremendo, il Terribile, l?Assoluto, eccetera eccetera. Ma se il dono è apocalittico, se il dono è la dimensione profetica dell?esistenza, se il dono è fuori dall?economia intesa come legge di vita, non le sembra che il dono sia impossibile? C?è chi lo sostiene. Il vero paradosso però (non so se l?ultimo) è che il dono è apocalittico proprio perché può essere quotidiano. Come il figlio che ogni giorno fa l?esperienza di aver ricevuto questa cosa immensa, enorme, assoluta: l?essere stato donato alla vita. Il problema semmai è: chi è così libero da saper essere figlio? E chi così libero da saper essere davvero padre? Perché il padre non è il padre naturale. Devo chiudere l?articolo. Il massimo dono è aver ricevuto la vita? No. È l?esserne consapevoli, è il sapere che in quanto figlio sei dentro la dimensione del dono, al di là che il padre o la madre ti possono violentare in mille modi. Il massimo dono, che poi è quello intuito dall?antropologia cristiana, è che prima di qualunque legge esiste la legge del Padre, che la melassa dei buoni sentimenti va affrontata e dissolta riconducendosi al Padre. Perché solo chi si riconosce donato, solo chi si riconosce figlio può divenire padre. Rivoluzionando la vita. * Dietro lo pseudonimo Alter Ego si nasconde un noto giornalista italiano


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