Politica
Carcere, l’altro scandalo di Santa Maria Capua a Vetere
Dopo la vicenda dei pestaggi dell'aprile 2020, per la quale sono stati recentemente rinviati a giudizio 105 fra poliziotti penitenziari, dirigenti del Dipartimento amministrazione penitenziaria - Dap e funzionari dell'Asl (processo in novembre in Corte d'Assise), la storia di un istituto di pena in cui continua a mancare l'allaccio alla rete idrica. E l'acqua arriva con le autobotti. In questa estate rovente, per 900 detenuti, di cui uno su 10 ha il Covid, un inferno
L’"acqua alla gola”, per i detenuti della Casa circondariale Francesco Uccella, è tutto fuorché un gioco di parole. La struttura penitenziaria, sorta nel 1996, fu messa in piedi fin dall’inizio con un grande difetto di progettazione, che rappresenta un diritto leso per le persone: il carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) non ha infatti alcuna rete idrica.
È la condizione con cui si confrontano circa 900 detenuti e il personale di Santa Maria Capua Vetere, che oggi ricorrono all’acqua in bottiglia per scongiurare il caldo, delle celle e del non poter nemmeno farsi una doccia liberamente, il tutto in una delle estati più calde della storia secondo il National Centers for Environmental Information. “L’acqua fino a oggi è stata portata con 2 autobotti e distribuita via bottigliette d’acqua, 2 a testa”, spiega Emanuela Belcuore, Garante dei diritti delle persone private di libertà personale dell’area di Caserta. Belcuore si è insediata a giugno 2020, a pochi mesi dal pestaggio dei 292 detenuti della sezione Nilo, per cui solo pochi giorni fa 105 agenti della polizia penitenziaria sono stati rinvitati a giudizio. Da allora, si è trovata ad affrontare condizioni di vivibilità drammatiche.
“Com’è possibile pensare che un edificio del genere, senza acqua corrente, possa ospitare le persone? Siamo in estate, la gente ha caldo e non può rinfrescarsi, le docce non funzionano, senza contare che ci sono 95 casi Covid che hanno bisogno di spazi arieggiati”, interviene la Garante.
Una domanda che affonda le sue ragioni ragioni fin dalle fondamenta di Santa Maria Capua Vetere. Anzi, nel calcestruzzo. In verbale del 1993, il pentito camorrista Carmine Schiavone sostenne che il Francesco Uccella fu messo in piedi infatti con il calcestruzzo del consorzio Cedic, facente capo ai Casalesi. Il sistema idrico negli anni è stato creato ma a tutt’oggi non c'è ancora l'allaccio alla rete cittadina: questo fa sì che la struttura debba essere rifornita periodicamente di acqua dall'esterno o che, come nel caso delle docce, si ricorra a pozzi artesiani non a norma.
Come ironia della sorte, il carcere ancora oggi non ha acqua corrente, ma i sei padiglioni della struttura di Caserta recano invece ciascuno il nome di un fiume: Danubio, Tamigi, Senna, Tevere, Volturno e Nilo. Ma a parte i giochi di parole, Santa Maria Capua Vetere è tutt’oggi a secco.
Diritti a secco
Anche se la situazione va avanti da 26 anni, la giurisdizione si sta facendo sentire e i detenuti stanno serrando le braccia appellandosi ai propri avvocati. Tra questi, Emilia Sibillo: condannata per organizzazione camorristica e moglie del boss Giuseppe Buonerba, è riuscita a farsi riconoscere dal proprio avvocato un risarcimento di giorni di libertà, adducendo come motivazione i problemi di salute dovuti alla mancanza d’acqua. “Il magistrato di sorveglianza le ha riconosciuto un risarcimento con giorni e ore di libertà” – spiega Samuele Ciambriello, Garante dei detenuti della Regione Campania – “L’acqua che fuoriesce dai condotti è spesso gialla, creando conseguenti problemi di dermatiti e salute. Di criticità ce ne sono molte per chi vive nelle mura del carcere, dal sovrafollamento e gli ambienti poco accoglienti, fino ai servizi igienici a vista. Parliamo di una violazione bella e buona, stando all’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani che vieta trattamenti con pene inumane o degradanti nei confronti delle persone in carcere”.
Un vuoto umanitario che emerge anche dalla “Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati” del Ministero della giustizia, per cui il detenuto "ha diritto di avere a disposizione acqua potabile e di utilizzare, nel rispetto delle regole di sicurezza".
“È dal 2016 che la Regione Campania ha stanziato 2 milioni e 190mila euro per allacciamento della conduttura idrica del Francesco Uccella” – precisa Ciambriello – “I lavori si dovevano chiudere nel febbraio 2019 ma, nonostante le nostre denunce parlamentari, ci sono evidenti ritardi nel cronoprogramma. Sei anni per fare un allacciamento sono tempi biblici, non stiamo parlando della Salerno-Reggio Calabria! Sono tempi che hanno leso i diritti delle persone diversamente libere: accanto alla certezza della pena, per loro dev’esserci la qualità della detenzione. Il carcere non è una discarica sociale dove dimenticarsi delle persone”.
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