Cultura

Tutte le assurdità del green pass per i guariti

Sono una donna guarita dal Covid-19. Erroneamente ho pensato che questa condizione fosse una garanzia di immunità, almeno per alcuni mesi. Mi daranno il green pass, wow: per qualche giorno mi sono sentita una privilegiata. Mi sbagliavo di grosso, su ogni fronte. Vi spiego perché

di Sabina Pignataro

Sono una donna guarita dal Covid-19. Erroneamente ho pensato che questa condizione fosse una garanzia di immunità, almeno per alcuni mesi. Confesso di aver persino smesso di disinfettare compulsivamente le mani. L’ho creduto (anche) perché ho letto che ai guariti vorrebbero dare una la certificazione verde Covid-19, il famoso green pass, che consentirà l’accesso a molte strutture (come RSA, matrimoni e concerti). Perciò ho pensato: wow, è una pacchia. Ammetto che per qualche giorno mi sono sentita una privilegiata.

Beh, mi sbagliavo di grosso. Su ogni fronte.
E qui sotto provo a spiegare perché.

Se (e quando) mi daranno il green pass vorrà dire che io sarò immune dal virus? No. Perché anche se io sono guarita, posso infettarmi di nuovo. Il possesso del green pass mi permetterà di evitare l’isolamento qualora venissi in contatto con soggetti positivi? No, neanche questo. Mi toccano comunque 14 giorni. Non vale dire «io ho già dato, lasciatemi andare in giro». Vorrà forse dire che io non posso portare in giro il virus? No, nemmeno questo, perché anche se sono guarita io posso trasmettere il virus ad altri. La certificazione verde italiana varrà in Europa? No, finché non sarà disponibile il Digital Green Certificate (detto anche DGC), il pass europeo (e più avanti spiego cosa manca). E allora perché darmi questo pass? Analizziamo tutti i punti.

Ufficialmente guarita, quindi?

Nell’articolo 9 del decreto-legge numero 52 del 22 aprile 2021 si legge che le certificazioni verdi Covid-19 sono rilasciate, oltre al fine di attestare l’avvenuta vaccinazione anti- Sars-CoV-2, anche per registrare l’avvenuta guarigione da Covid-19. Bene, la mia domanda è questa: l’avvenuta guarigione, nel concreto, cosa significa? Al momento, in base alle informazioni disponibili, «anche a causa della circolazione delle varianti, non può essere garantita la totale eliminazione del rischio di reinfezione nei guariti». Inoltre, «nei guariti non può essere escluso il rischio di trasmissione del virus». In pratica, anche se io sono guarita (e ho un green pass), posso infettarmi di nuovo e posso trasmettere il virus. E infatti, scrive il Governo sul sito del Ministero della Salute, anche io, come «tutti i cittadini», devo «continuare a indossare le mascherine; rispettare il distanziamento fisico; igienizzare frequentemente le mani».

Se mi contagiassi?

Nel decreto si specifica che la certificazione cessa di avere validità qualora l'interessato venga identificato come caso accertato positivo al Sars-CoV-2. In questo caso scatterebbe l’usuale isolamento.

Se un mio collega fosse positivo?

In base alle norme vigenti, se io fossi solo un contatto stretto di un positivo, pur avendo avuto il Covid due mesi fa, dovrei stare in isolamento. In pratica, se il mio collega, mio marito, un amico con cui sono stata a pranzo risultasse positivo, anche io dovrei stare a casa 14 giorni. Esattamente come tutti gli altri. Non si scampa. Se mia figlia ha avuto il Covid il mese scorso e un suo compagno è positivo, anche lei sta (ancora) in isolamento.

La questione anticorpi

Dal punto di vista della circolazione del virus, cosa differenzia me (guarita dal Covid), da uno che il Covid non l’ha mai avuto? Come si diceva prima, siamo entrambi potenziali untori. Forse io lo sono un pochino meno di un altro che non si è mai ammalato, ma chi può stabilirlo? Per ottenere il green pass però non occorre sottoporsi ad un test sierologico (quello che ricerca la presenza di anticorpi). E comunque, l’esito del sierologico non sarebbe così determinante: gli studi dimostrano che un numero elevato di anticorpi non è indicativo di una più duratura immunità dal virus. E infatti, alla domanda: «dopo aver contratto il virus, per quanto tempo sono immune?» nessuno sa rispondere. Specie da quando circolano così tante varianti.
Numerosi gruppi di ricerca stanno lavorando nel tentativo di capire qualcosa in più su come il nostro sistema immunitario si comporta quando incontra Sars-Cov-2. Secondo l'ultimo studio di una lunga serie, pubblicato sulla rivista Science, la memoria immunologica che si instaura in seguito all'infezione naturale è ancora presente nella maggior parte delle persone a 8 mesi dall'insorgenza dei sintomi. Ma nessuno ne ha la certezza, perché di questo virus si sa molto, ma non ancora abbastanza.

Perciò in base a quali evidenze si stabilisce che il green pass avrà una validità di sei (o nove mesi) dalla data di fine isolamento? E allora, ammesso e non concesso che la mia memoria immunologica duri otto mesi, per quale motivo io che sono guarita da due mesi devo isolarmi per 14 giorni se vengo in contatto con un positivo? La mia memoria immunologica non basta? In definitiva la mia domanda è questa: che valore ha il green pass? Cosa certifica nello specifico?

Queste riflessioni mi sembrano rilevanti non tanto (non solo) per le vacanze, ma perché il possesso (o meno) di un green pass determina il mio eventuale accesso in strutture che ospitano soggetti fragili, come le RSA, o la mia partecipazione o meno a eventi che coinvolgono tante persone (ad esempio i matrimoni o i concerti). Però, di fatto, quando consentiamo l’accesso a qualcuno che ha una certificazione che attesta la sua guarigione dal Covid-19, quali certezze abbiamo? E quali rischi stiamo correndo?

La differenza con il pass europeo

Come si legge sul sito del Ministero della Salute, la certificazione verde Covid-19 italiana è valida solo sul territorio nazionale, fino a quando i DGC, i Digital Green Certificate (cioè quelli europei) non saranno entrati in vigore. La Plenaria del Parlamento Europeo si riunirà il 7 giugno. Senza quel via libera, non sarà possibile immaginare di avere in tasca il green pass europeo. Poi, la Commissione istituirà un'infrastruttura digitale (chiamata gateway) che agevolerà l'autenticazione dei certificati verdi digitali e i 27 stati membri dovranno apportare le modifiche necessarie ai rispettivi sistemi nazionali di cartelle cliniche. Non sembra facile.
In Italia comunque non siamo pronti. Stiamo ancora realizzando, insieme alle Regioni, la piattaforma nazionale che permetterà il rilascio centralizzato dei DGC che saranno interoperabili sia a livello nazionale sia a livello europeo attraverso l’apposito gateway che assicurerà la verifica della loro validità al momento dell’ingresso in qualsiasi altro Stato dell’Unione Europea. Nel frattempo, in teoria ASL, medici di famiglia e pediatri sono i soggetti titolati a rilasciare quelli validi sul territorio nazionale. In pratica, però, sono al buio: non hanno idea di come fare.

Come saranno facilitati i viaggi in Europa?

Sul sito della Commissione si legge che «tutti i cittadini dell'UE in possesso di un certificato verde digitale dovrebbero essere esentati dalle restrizioni alla libera circolazione allo stesso modo dei cittadini dello Stato membro visitato». Mi sfugge però la ratio, dato che anche se sono guarita e ho un green pass potrei reinfettarmi e potrei contagiare. Potrei, quindi, portare un giro il virus per l’Europa come chiunque altro (o al massimo un pochino meno di altri).
Nel frattempo si potrà viaggiare in Europa? Certamente, dice la Commissione Europea: «il possesso del certificato verde digitale non costituirà un prerequisito per la libera circolazione, che costituisce un diritto fondamentale nell'UE», ma il cittadino dovrà sottoporsi alle misure restrittive imposte da ogni singolo paese. Nel frattempo un’ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza, entrata in vigore domenica scorsa, il 16 maggio ha cancellato l’obbligo di quarantena per tutti i cittadini che entrano in Italia e provengono da Paesi europei (e gli altri inclusi nell’elenco C), anche se resta l’obbligo di tampone negativo.

Dove reperire informazioni sui viaggi in Europa?

Se si vuole viaggiare all’estero, come si fa a conoscere le misure in vigore in ognuno dei 27 Stati Membri? Il sito Re-open EU è un ottimo punto di partenza. Questo strumento fornisce una panoramica della situazione sanitaria nei paesi europei, sulla base dei dati del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e raccoglie le informazioni sulle varie restrizioni in vigore, tra cui i requisiti in materia di quarantena e test per i viaggiatori (attenzione all’età dei bambini: in alcuni Stati non è necessario il tampone sotto i dieci anni!). Le informazioni sono aggiornate frequentemente e disponibili in 24 lingue. Anche Viaggiare Sicuri è un altro sito molto utile.

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.