Mondo
Amir Labbaf: «Il mio sciopero della fame per affermare i diritti dei migranti come me»
Amir è un richiedete asilo iraniano difensore di una minoranza religiosa, è scappato dal suo Paese per evitare la morte. Ha chiesto asilo in vari Stati, fra cui la Croazia, ma inutilmente. Ha subito la violazione sistematica di qualsiasi diritto ed ora è costretto su una sedia a rotelle nel campo Sedra di Ostrozac, in Bosnia. Da 11 giorni ha iniziato uno sciopero della fame e dei farmaci. La testimonianza
di Anna Spena
Amir è su una sedia a rotelle, bloccato in un campo profughi della Bosnia Erzegovina. Il Paese è diventata un limbo per i migranti: da qui non si esce. Non si esce nemmeno se sei malato, non si esce nemmeno se dal tuo Paese sei stato costretto a scappare, se Amir non fosse scappato l'avrebbero ucciso. Ma i diritti sulla Rotta Balcanica, come in tante altre rotte migratorie, sono diventati labili. Da undici giorni ha iniziato uno sciopero della fame, da 4 anche quello dei farmaci. Chiede che sia fatto valere un suo diritto: l'asilo politico. Amir Labbaf è iraniano, difensore dei diritti Darwish. Dopo aver attraversato diversi Paesi il 28 giugno 2019 stava percorrendo a piedi una strada della Croazia alla volta dell’Europa. Per evitare una macchina folle che lo avrebbe altrimenti investito, si era dovuto gettare di lato cadendo in una valle e riportando, come conseguenza, una lesione vertebrale. Il 29 giugno la polizia croata lo ha prelevato dall’ospedale, trattenuto senza cibo ed acqua, picchiato, lasciato nudo solo con le mutande addosso e, nel tardo pomeriggio, lo aveva trasportato a ridosso della Bosnia gettandolo come immondizia tra le sterpaglie boschive. Per lui è attiva una petizione su change.org “Corridoio umanitario per Amir Labbaf”, lanciata da Lorena Fornasier presidente dell’associazione di volontariato Linea d’Ombra odv. Amir, con il corpo semiparalizzato, si è trascinato sulla strada per diverse ore: il 30 giugno del 2019 si è ritrovato un'altra volta in Bosnia. La sua testimonianza
«Sono nato a Qom, in Iran», racconta Amir che dopo 11 giorni di sciopero della fame e quattro dai farmaci, sente che le forze già precarie lo stanno abbandonando. «Ho 42 anni e nel 2018 sono fuggito da mio Paese. Sono stato costretto a scappare illegalmente perchè sono un attivista politico e un difensore dei diritti umani. Durante i miei quattordici anni di attività in Iran, sono stato arrestato più di otto volte, fustigato e costretto a vivere in strutture fatiscenti e fredde. Due volte ho perso conoscenza dopo le torture e sono finito nel reparto di neurologia dell’ospedale. Dall’Iran sono scappato per entrare in Turchia, ma qui non mi volevano. Con un gommone insieme ad altri ho raggiunto l’isola greca di Lesbo, ho “vissuto” nel campo di Moria per nove mesi.
Da lì sono riuscito a raggiungere Atene e per tre mesi ho lavorato nei frutteti, non avevo un posto dove dormire. Con i pochi soldi che ho risparmiato ho attraversato montagne e foreste: sono passato dall’Albania e dal Montenegro, fino ad arrivare in Bosnia. Sono qui da due anni, e da due anni chiedo che venga accettata la mia richiesta di asilo politico. La domanda d’asilo l’ho fatto anche in Croazia, ma inutilmente. Sono loro che mi hanno deportato in Bosnia. Quando per la seconda volta ho riprovato a passare il confine volevo arrivare in Slovenia, ma mentre attraversavo i boschi una macchina mi ha investito, ora sono paralizzato. Sono in sciopero della fame ormai da undici giorni e sono in sciopero dalle medicine da quattro, ho malattie respiratorie, cardiache e assumo degli psicofarmaci dopo tutte le torture subite. Ho iniziato questo sciopero per far valere un mio diritto, ma anche i diritti degli altri. La mia ricerca di giustizia e umanità è per tutti. Indipendentemente da razza, etnia, sesso, convinzioni religiose e atteggiamenti. Sono andato in sciopero per svolgere il mio lavoro di rappresentante nel campo e per difendere i miei diritti legali e umani. La mia morte potrebbe essere amara per alcuni ed essere dimenticata dopo pochi giorni, ma il mio obiettivo è dire basta allo stigma sui migranti, basta alle violazioni dei diritti umani e dei diritti dei rifugiati. Sono fuggito dal mio Paese perchè volevo andare in un luogo dove avrei potuto gustare la giustizia. Si parla di giustizia e legge ovunque, ma io non le ho viste nè in Iran, nè nell'Unione Europea, non le ho viste nei Balcani. Quello che chiedo è un posto sicuro e protetto dove stare, un posto che non possa essere raggiunto da chi cercava di uccidermi in Iran. Chiedo al governo di concedermi l’asilo. Perché devo affrontare tutto questo e sacrificare la mia vita per difendere la legge e la giustizia?. L’asilo è un nostro diritto. Finora non ho ricevuto cure mediche adeguate e la mia sicurezza non è stata garantita».
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