Mondo

Nel magico pullman diretto a Kiev ho incontrato Alex

Tra i miei 54 compagni di viaggio lui c’era. Era lì con i suoi sogni, le sue visioni profetiche, la sua forza spirituale, la sua squisita gentilezza. “Non siate tristi. Continuate in ciò che era giusto” è la frase con cui Alex si congedò dal mondo. Proprio quelle parole mi hanno spinta a partire per l’Ucraina, per essere fisicamente presente alla manifestazione di Pace organizzata dal Mean (Movimento europeo di azione non violenta), una iniziativa di cui Langer - se fosse ancora vivo- andrebbe fiero

di Serena Arcangeli

Quante volte mi capita di camminare per i sentieri delle colline di spalle al Piazzale Michelangiolo, a Firenze, fino al Pian dei Giullari, tra gli ulivi, dove spunta la cupola dell’Osservatorio di Arcetri, sui terreni in declivio. Lì si aprono in più punti scorci magnifici sulla mia città. Questo è il luogo dove Alex Langer – forse il più grande ambientalista e pacifista italiano del 900 – ha scelto di porre fine alla sua breve ma intensa vita. Venire qua, per me, significa dimostrargli vicinanza. E anche sperare di essere raggiunta da qualche goccia della sua bellezza.

“Non siate tristi. Continuate in ciò che era giusto” è la frase con cui Alex si congedò dal mondo, un invito a continuare in suo nome quelle battaglie per la costruzione del dialogo (tra le persone e tra i popoli), sotto il cui peso lui alla fine rimase schiacciato.

Ci sono parole che non si dimenticano e scavano dentro. Proprio quelle parole mi hanno spinta per tutta la vita ad occuparmi di temi riguardanti la comunicazione non violenta, la costruzione di spazi dialogici – nelle aziende, nelle organizzazioni di qualunque natura e forma- consapevole di vivere in un mondo dove la guerra, che sembra esplodere in alcuni luoghi e non in altri, in realtà è d’appertutto.

Proprio quelle parole mi hanno spinta a partire per l’Ucraina, per essere fisicamente presente alla manifestazione di Pace organizzata dal Mean (Movimento europeo di azione non violenta), una iniziativa di cui Langer – se fosse ancora vivo- andrebbe fiero, perché poggia su principi base del suo pensiero e del suo agire politico: il superamento dello schema binario amico-nemico, la costruzione di ponti (in questo caso tra la società civile ucraina ed europea), la proposta dei Corpi Civili di Pace, che lo stesso Langer avanzò nel 1994 al Parlamento europeo per impedire escalation e ricostruire tessuti di cooperazione.

Sono partita pensando a lui.

Quello che non avrei mai pensato accadesse è di trovare Langer sul pullman che ci ha portato a Kiev.

Ma nella storia, individuale e collettiva, come dice il grande Edgar Morin, accade spesso l’Inatteso. E così è stato.

Tra i miei 54 compagni di viaggio lui c’era. Era lì con i suoi sogni, le sue visioni profetiche, la sua forza spirituale, la sua squisita gentilezza.

Caratteristiche che ho ritrovato nelle straordinarie persone con cui mi sono relazionata, con cui ho condiviso la fatica fisica del viaggio, la paura delle bombe, l’esperienza del bunker, ma anche la consapevolezza di trovarci tutti quanti dentro un evento “storico” che cerca di colmare un grande vuoto: nessuno, da quando è scoppiata questa guerra, aveva pensato di organizzare una manifestazione in loco per gridare a gran voce la necessità, l’urgenza di un processo di negoziazione che veda coinvolta la società civile europea e che punti alla non violenza come via della pacificazione. Nessuno aveva ancora pensato di andare dove si sente il suono delle sirene antiaeree per dire “aiutateci a capire cosa possiamo fare noi, in modo non violento, per contrastare questa aggressione”. Per quanto mi riguarda era un vuoto da colmare, un primo passo da compiere continuando a camminare su questa via.

Nel magico pullman che ci ha portato a Kiev erano presenti diverse persone che hanno conosciuto Alex dal vivo. Tra queste Pinuccia Montanari, cui con ho avuto il piacere di conversare a lungo. Chi sia Pinuccia è difficile dirlo in poche righe, alle sue spalle ha un’incredibile storia di impegno sociale e politico. Soprattutto, Pinuccia è stata accanto ad Alex quando lui era presidente della Commissione Albania, Romania e Bulgaria del Parlamento Europeo. Ha camminato con lui dentro i suoi sogni e quello che si percepisce ascoltandola è che in lei è rimasta intatta la presenza di quest’uomo nella sua vita, il suo esempio e il suo sguardo verso il futuro. Si sente che ha respirato, grazie a lui, aria pura. Ho chiesto a Pinuccia cosa avesse Alex di così unico. Mi ha risposto quello che in fondo tutti sappiamo, ma detto da lei, per me, ha un grande peso: “sapeva creare relazioni”. Le nostre sono spesso relazioni disumane, lui aveva invece capito cosa rende veramente umani i legami interpersonali (che poi diventano legami collettivi). Pinuccia ci ha ricordato che nella sua vita Alex aveva messo in opera – anche nella politica – quel principio anticompetitivista del “più lento, più profondo, più dolce”, così diverso dalle tribune asfittiche di oggi, dalle grida, dal cinismo, dalla ricerca del colpevole.

Noi siamo andati a Kiev esattamente con questo intento: portare avanti questa rivoluzione gentile.

Con la consapevolezza, almeno per quanto mi riguarda, che le guerre – a tutti i livelli – scoppiano non perché noi siamo brutti e cattivi, ma perché “fare la pace” è una competenza con cui non nasciamo imparati. Facciamo la guerra per ignoranza e perché, come dice Daniel Lumera – uno dei massimi riferimenti internazionali nell’area delle scienze del benessere – non veniamo educati al miracolo della vita.

Non ho potuto fare a meno di chiedere alla mia compagna di viaggio per quale ragione – realmente – Alex si sia suicidato, pensando che forse neppure lei, che lo ha conosciuto così bene, avrebbe avuto una risposta certa. Il suicido di un essere umano, infatti, è spesso un grande mistero anche per chi lo compie. E invece per lei la risposta possibile è una sola: si è tolto la vita perché lui era totalmente dentro la Storia, si era assunto totalmente la responsabilità della Storia e non ha retto al peso degli eventi.

Rifletto a lungo su questo durante il viaggio. E mi porto via una domanda riguardante il coraggio. Come possiamo noi, oggi, avere il coraggio di contribuire alla costruzione di un mondo migliore?

Io credo prendendo come esempio la gentilezza di Alex, il suo “saper fare la pace”, la sua capacità di abbracciare con uno sguardo ampio la complessità del mondo; ma anche prendendo coscienza del fatto che niente dipende solo da noi e che i risultati dei nostri sforzi non è assolutamente detto che saranno visibili ai nostri occhi. L’epilogo degli eventi non necessariamente coincide con quello della nostra vita. Noi gettiamo semi che possono dare i loro frutti quando non ci saremo più. Van Gogh a un certo punto della sua vita scrisse “aspiro alle stelle, anche se so in questa vita di non poterle raggiungere”. Capì, a un certo punto, che avrebbe dipinto per le generazioni future, ma non per questo ripose i pennelli in una scatola.

Può anche accadere che nessun seme sbocci, neppure in futuro. Noi siamo qui, sull’orlo dell’abisso, sull’orlo di una terza guerra mondiale che può scoppiare da un momento all’altro. A cosa servirà essere andati a Kiev, a portare il nostro ascolto e la nostra riflessione sull’importanza di costruire la pace, se domani non ci saremo più?

Servirà, io credo, ad aver compiuto un gesto poetico di solidarietà e vicinanza (lo dico soprattutto ai tanti che mi dicevano – comprensibilmente – “cosa ci vai a fare?”). Anche perché, ne sono certa, nell’economia del paradiso niente va perduto. Come non è andato perduto nessun gesto di Alex. E spero che lui oggi lo sappia.

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