Formazione

Con Frangimondi, le politiche sull’infanzia vanno a scuola

Già 300 gli iscritti all’iniziativa – promossa dall’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna con il Centro Alberto Manzi – che coinvolge persone e istituzioni di diverse regioni e che si rivolge a chi, operando nel privato sociale e nella Pa, è chiamato a ragionare su come operare con bambini e adolescenti. L’intervista ad Alessandra Falconi

di Laura Solieri

Al via una scuola pubblica di politiche per l’infanzia e l’adolescenza promossa dall’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna grazie alla Garante Regionale per l’infanzia e l’adolescenza e al Centro Alberto Manzi. Si chiama Frangimondi, un nome che evoca le opere frangiflutti che proteggono i porti e rendono sicuri gli attracchi, ma anche i mondi rotti in cui stiamo cercando sensi nuovi e antichi per ripartire con una rinnovata sensibilità e competenza. Una scuola che coinvolge esperienze, persone e istituzioni che nelle diverse regioni italiane, con ruoli diversi, si occupano di politiche per bambini e adolescenti e si rivolge a chi opera nel privato sociale ed è chiamato a leggere bisogni e a immaginare opportunità, a chi lavora nella pubblica amministrazione e nelle istituzioni con ruoli decisori, a chi lavora in prima linea con bambini e ragazzi ma anche a chi decide con quali criteri approvare i progetti.


«Il momento in cui si è fatta vedere per la prima volta l’idea di questa scuola è stato una domenica nel tardo pomeriggio, mentre provavo a dipingere delle forme. Linee e cerchi hanno accompagnato un rincorrersi di domande: cosa fare, non è possibile continuare così, eppure qualcosa ci deve essere, cosa non stiamo vedendo, di cosa avremmo bisogno… E intanto cercavo di abbinare colori fluorescenti», racconta Alessandra Falconi (nella foto), responsabile del Centro Alberto Manzi e del Centro Zaffiria ed esperta di educazione ai media. «E tutto è andato da solo: Frangimondi. Ma esiste questa parola? Ma da dove arriva? Che idea sarebbe? Ho smesso di dipingere, mi sono alzata dal tavolo e ho aperto il vocabolario. Poi ho chiamato la Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Clede Maria Garavini e Frangimondi ha trovato la giusta cornice istituzionale».

La proposta di una scuola, di uno stare “in cerchio” per 11 incontri, con persone e istituzioni che accettano di mettere a disposizione alcune delle cose che hanno imparato per costruire una cassetta di strumenti che ogni partecipante potrà padroneggiare poi a suo modo.

In questo momento siete già a 300 iscritti. Si tratta di un'esperienza unica nel suo genere a livello nazionale?
Penso di sì. E l’abbiamo costruita bussando alla porta di una bella rete nazionale di interlocutori che potessero dare forma a domande, spunti, idee, dubbi, possibili risposte e storie per mettere i primi mattoni virtuali di una casa/scuola in comune. Da subito abbiamo sentito la necessità di creare uno strumento collettivo, di scompaginare un po’ gli usi delle piattaforme. Ecco perché è nato Ideario e gli Esercizi di futuro e di presente. Il bisogno di sentire un Noi che si mettesse a studiare, a condividere, a formulare ipotesi e ridefinire bisogni ci è sembrato importante: dietro ogni progetto, dietro ogni azione ci sono le persone, con le loro storie, il loro modo di sentire e di stare in piedi davanti agli eventi e al reale. Ripartire dalle nostre biografie personali e professionali, rimettere al centro le storie delle persone che fanno le politiche sui territori, ci è sembrato necessario. Noi è tanto che siamo dentro un grande silenzio: rinominare il nostro piccolo mondo, richiamarlo a significare, farlo insieme in una “scuola”… Si è messo tutto in moto da solo, di forza propria. Per tornare a cercare piccoli incanti.

La creatività avrà un ruolo fondamentale: è lo sfondo, la strategia e l’obiettivo di diverse delle attività che proporrete e come ha sottolineato, pensare il nuovo e utile in riferimento a se stessi e al proprio contesto potrà rendere più ricche le progettazioni che nasceranno da questa grande fatica collettiva che da tanti mesi sta dando forma a emozioni e pensieri. Come si pone il Centro Alberto Manzi sul tema della Dad?
Sarebbe da fare una lunga chiacchierata solo su questo, è un tema complesso. Riguarda come facciamo scuola e cosa vogliamo che sia la scuola. La piattaforma digitale può essere spinta verso usi divergenti, creativi, che sappiano comunque nutrire una dimensione collettiva ma va progettata una nuova didattica che faccia i conti con questi strumenti. Relazione, emozioni, gioia, scoperta, senso del Noi devono essere obiettivi veramente ricercati.

Tra le varie domande dell'Ideario mi ha colpito molto "Come ci ispiriamo?". In questo presente così difficile, dal suo osservatorio di professionista e di madre, da cosa si lascia ispirare?
Le immagini mi parlano spesso, sicuramente sono il luogo in cui passo più tempo insieme alle storie: ho veramente 30 libri costantemente aperti e vado avanti a caso e spesso nemmeno mi ricordo dove ero arrivata. Ma mi immergo un’ora in un libro sul tema del silenzio, poi passo alla biografia di un’artista rom, poi mi perdo in un albo illustrato o in un problema matematico. Ho molto bisogno, in questo momento, di saltare da una cosa all’altra, non riesco a sostare quanto vorrei. Ho passato tante sere di questa pandemia ad ascoltare persone che ammiro molto: averle tutte per me, incrociare le nostre voci, ascoltare vite private e pubbliche intrecciarsi mi ha nutrito più del pane. Accade e scende, in ciascuno di noi, un universo di bellezza. In questo periodo sto guardando meglio alcuni confini: quello in cui comincia la nostra capacità negativa, oppure quello che ci fa perdere l’ordine delle cose…

Richiamando il titolo dell’appuntamento del 30 marzo, di che Politiche per l'infanzia e l'adolescenza ha oggi più bisogno che mai l'Italia per trasformare la realtà?
Trasformare è un verbo bellissimo. È accogliere il cambiamento come fosse una danza, facendosi trasportare ma anche guidando. È un prendersi le misure. È un ascoltarsi. Penso che l’Italia oggi abbia bisogno dell’autenticità di ognuno di noi. Di poter tornare a guardarsi come adulti che si prendono responsabilità, si assumono rischi, che ci mettono la faccia. Ma non più per possibile gloria personale, per rivendicare meriti presunti, per diritto o dovere di carriera ma perché abbiamo visto che all’ora giusta eravamo sbagliati. Non sapevamo cosa fare e pensare. Siamo stati lenti, tristi e confusi. Sarebbe bello se non accadesse più. Se potessimo tornare al lavoro in prima linea, con bambini e bambine, con una aumentata sensibilità, in equilibrio sui bordi, sui vuoti, sugli incerti. Dobbiamo far ripartire la partecipazione, fare le cose insieme. Non so da dove possiamo partire, ma io cerco le parole, le immagini e le storie per trasformare me stessa. E probabilmente ho solo colto nel mio singolare un movimento e un bisogno più generale. E i bambini e le bambine, forse, ci incontreranno in modo diverso.

In apertura image by _Alicja_ from Pixabay

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