Cultura

La scuola deve essere l’ultima a chiudere. Ma se chiude, ecco le cose da fare subito

Più di 6 milioni gli studenti stanno per tornare in Dad, una situazione che non si verificava dal lockdown della primavera 2020. Biondi (Indire): «Determinante migliorare la qualità della Dad, subito. Si recuperi con la didattica online la socialità dei ragazzi». Morniroli (Forum Diversità Diversità): «Dad a gruppi, in spazi tranquilli e con un tutor per i ragazzi più fragili. Irresponsabile dimenticarsi ancora di loro»

di Sara De Carli

L’Italia va verso la zona rossa. Tutta la Lombardia da mezzanotte sarà arancione rinforzato, questo è già certo. E le scuole potranno comunque essere chiuse nelle Regioni gialle e arancioni che registrano oltre 250 casi Covid ogni 100 mila abitanti per almeno 7 giorni consecutivi. Secondo lo studio di Tuttoscuola, pubblicato oggi, più di 6 milioni gli studenti potrebbero tornare a seguire le lezioni a distanza: il doppio di oggi. Una situazione che non si verificava dal lockdown del 2020. Mentre ci sono regioni come la Campania – i dati sono quelli pubblicati l’altro ieri da Save the Children – dove i bambini hanno fatto scuola in presenza un mese scarso dall'inizio dell'anno scolastico. Scuole chiuse quindi, con unica eccezione per i nidi. Con le scuole chiudono mentre restano aperte moltissime attività, quando invece la scuola dovrebbe essere l’ultima a chiudere. E lo so che usare il verbo "chiudere" non è corretto, perché la scuola va avanti e non si è mai fermata. E lo so che siamo in pandemia. E lo so che tutti stiamo facendo sacrifici. Ma una parola ai nostri milioni di ragazzi va detta, disegnando una prospettiva. Perché questo giro che sembra identico al primo lockdown, di giusto un anno fa, non lo è affatto. O forse proprio perché sembra che niente sia cambiato e che nulla abbiamo imparato, pesa invece infinitamente di più.

A scuola “si tornerà in presenza”, si è affrettato a dire a metà mattina il Ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi. «In questi lunghi mesi le nostre scuole, i nostri insegnanti, le nostre studentesse e i nostri studenti hanno lavorato moltissimo. Faremo tesoro insieme dell’esperienza maturata durante il periodo della didattica a distanza, in particolare con riferimento ad un uso consapevole delle nuove tecnologie. Con il chiaro obiettivo del ritorno in presenza». Intanto questo “fare tesoro” ai bambini, ai ragazzi, alle famiglie serve vederlo subito: domani, lunedì, appena saranno in didattica a distanza. Non nella scuola nuova che (forse) verrà.

Giovanni Biondi e Andrea Morniroli sono due dei componenti del neonato comitato tecnico per il recupero dell’apprendimento, voluto dal ministro Bianchi. Biondi è il presidente di Indire, l'Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa, mentre Morniroli è amministratore della cooperativa sociale Dedalus di Napoli e coordinatore del Forum Disuguaglianze Diversità. Sui lavori del comitato, che si è riunito proprio questa mattina, ovviamente non anticipano nulla ma qualche riflessione accettano di farla.

«L’evidenza è che la variante inglese colpisce maggiormente i bambini fra i 3 e i 10 anni, rendendoli anche molto contagiosi. Se chiudere le scuole è una necessità – non entro nel merito della decisione – diventa determinante migliorare la qualità della Dad, cominciando con il non chiamarla più didattica a distanza ma didattica online. Perché finché gli insegnanti si limiteranno a fare davanti a una webcam la stessa lezione che avrebbero fatto in presenza, tenendo la classe in ascolto passivo, i ragazzi la Dad li ammazza. La condizione in cui siamo è questa, concentriamoci su questo», dice Biondi. Come? E come è possibile farlo subito? Primo, «occorre fare di tutto perché attraverso la didattica online si recuperi la socialità dei ragazzi, impostando lavori di collaborazione fra i ragazzi, seppur ognuno a casa propria». Secondo, «scomporre il tempo e riorganizzarlo in modo diverso. Finché si resta all’orario classico, un’ora di italiano, una di matematica, una si filosofia… alla fine si fa solo lezione. Occorre cambiare, questa mattina si fa solo matematica: se si riorganizza il tempo diversamente, si riesce a fare le cose diversamente», afferma Biondi. Si può fare subito? «Certo, dopo un anno non è un problema tecnologico, basta prender spunto da altri insegnanti e altre scuole e cercare di uscire dalla comfort zone in cui ciascuno di noi si annida».

L’appello di Andrea Morniroli è forte e chiaro: «La questione è sempre la stessa, la necessità di trovare un equilibrio fra diritto alla salute e diritto allo studio e salute. È importante che la scuola rimanga aperta fin quando le condizioni non rendono indispensabile la chiusura, questa è la prima cosa da tenere ferma. Se si chiude la scuola è perché non ci sono le condizioni, quindi si chiude tutto. La scuola deve restare aperta il più possibile e deve essere l’ultima a chiudere». E qui ovviamente il primo grande discorso da fare è sugli interventi strutturali necessari per cambiare lo scenario delle condizioni che impongono la chiusura, a cominciare dai trasporti e da un maggior rapporto con la sanità, con più screening e più controlli a campione negli istituti.

Ma che fare quando le chiusure arrivano? «Occorre lavorare in due direzioni», dice Morniroli. «Una è di utilizzare la didattica online per ripensare le forme della didattica tout court, per renderla più capace di tenere dentro tutti, per una scuola che non usi più la modalità trasmissiva ma sia più proattiva. Abbiamo visto che dove c’erano docenti che lavorano in questo modo, anche la Dad è stata più capace di tenere dentro gli alunni più fragili». Il tema, subito, deve essere quello di «non dimenticare nessuno, abbiamo visto nel primo lockdown che lo schiaffo di questa sottrazione di futuro lo hanno avuto i più fragili: le situazioni di povertà educativa, gli alunni con disabilità o bisogni educativi speciali, i figli di migranti. Non possiamo ripetere questo errore, sarebbe una irresponsabilità politica», afferma Morniroli.

Cita un dato, su Napoli, emerso da una ricerca realizzata dall’assessorato all’istruzione su 100 scuole. Fra il primo mese di scuola (praticamente l’unico che i ragazzi a Napoli hanno fatto in presenza) e il secondo, le segnalazioni fatte dalle scuole per inadempienza dell’obbligo scolastico, ossia con alunni spariti senza motivazione da scuola, «sono triplicate», dice Morniroli. «Il 60% circa di quelle segnalazioni sono su famiglie non conosciute ai servizi sociali. La crisi ha reso i problemi più densi e li ha allargati. Se non se ne prende atto, la Dad rischia di certificare meccanismi di dispersione o fallimento formativo». In questo contesto, subito, «è importante realizzare reti con i patti educativi di comunità che anche dove la scuola resta chiusa perché non se ne può fare a meno, garantiscano spazi educativi, gestiti dal terzo settore o dai Comuni che consentano agli alunni più fragili di accedere alla Dad in maniera paritaria. È stato detto un’infinità di volte, ma non tutti i bambini a casa hanno gli spazi, gli strumenti, la connessione e una persona adulta che li può seguire nella Dad. Lo dico con le parole di una bambina: “Sono stufa di fare scuola con il sedere di mia zia che continua a passare davanti alla telecamera”. Quella bambina ha ragione».

Ecco allora che si potrebbe per esempio replicare e aumentare un’esperienza che la cooperativa Dedalus ha già fatto in questi mesi, la Dad solidale, realizzata insieme al Comune di Napoli, a Con i Bambini e al civismo attivo: i bambini al mattino fanno la Dad a gruppetti negli spazi della cooperativa dove trovano luoghi tranquilli, un computer, un tutor di riferimento. «La copresenza fra educatore e insegnante l’abbiamo portata anche online, perché l’educatore che il pomeriggio fa matematica con un ragazzino sulla panchina del parco, rafforza la sua azione educativa se è già presente alla lezione in Dad». La scuola stessa, seppur chiusa, potrebbe accogliere piccoli gruppi di alunni per la Dad: «Non dimentichiamo che in alcuni territori la scuola è l’unica istituzione pubblica rispetto a cui alcune aree di popolazione hanno un rapporto di fiducia. Chiudere le scuole è un danno per i ragazzi e per lo sviluppo del Paese ma è anche una frammentazione delle reti che fanno da antidoto all’illegalità».

Photo by Ricardo Gomez Angel on Unsplash

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