Volontariato

I ragazzi non sono fatti per noi, ma per il mondo

L'autrice del volume "Troppa famiglia fa male" mette in guardia contro l'aumento della simbiosi tra genitori e figli, enfatizzata dalla DAD. Abbiamo cresciuto cittadini allergici al collettivo, con una debolezza educativa rispetto al bene comune. Li abbiamo privati, già prima della DaD, della possibilità di assumersi le loro personali trasgressioni dimenticando che se non trasgrediscono contro di noi, trasgrediscono contro se stessi. Il loro risveglio va sostenuto: sono fatti di desiderio, non per noi ma per il mondo. È questo che non vogliamo sapere

di Laura Pigozzi

Crediamo di sapere tutto dei nostri figli perché fin da piccoli li abbiamo amorevolmente educati a raccontarci ogni dettaglio della loro vita. Messi sotto una campana di vetro, non solo per proteggerli, ma perché ci risultassero cristallini, sono restati senza l’ossigeno del mondo.

Un nuovo fenomeno contagia le famiglie: l’ho chiamato il Plusmaterno, ma non riguarda solo le madri, bensì tutti gli adulti che tengono i figli bambini e invadono la loro polis, a partire dalla scuola. È per il loro mondo che i nostri figli hanno cominciato a lottare scendendo in piazza. Hanno accettato la DaD quando era una protezione sanitaria, ma ora comprendono che il piano di riapertura delle scuole non è stata la priorità del governo, nonostante la scuola fosse il luogo a minor contagio del paese. Il loro risveglio va sostenuto, sono fatti di desiderio, non per noi ma per il mondo: è questo che non vogliamo sapere. Penso alla 14enne che ha iniziato il liceo senza poter conoscere e annusare l’odore della sua nuova classe, né ridere con quelli che per cinque anni frequenterà più che i suoi fratelli. Penso al 19enne che non ha nemmeno fatto il giro dell’università e non ha potuto scegliere i professori da seguire e i compagni con cui studiare.

Abbiamo dato loro uno statuto da sorvegliati speciali: telecamere DaD e quel registro-braccialetto elettronico a causa del quale non possono più saltare le lezioni o omettere la notizia dei brutti voti, mortificando così lo sviluppo della loro responsabilità e arguzia. Eppure – rassegnamoci – pur con tutti i controlli, di loro non sappiamo e non sapremo mai l’essenziale.

Li abbiamo privati, già prima della DaD, della possibilità di assumersi le loro personali trasgressioni dimenticando che, se non trasgrediscono contro di noi, trasgrediscono contro se stessi; se non trasgrediscono un po’, trasgrediscono del tutto. E se non lo fanno nell’età della disobbedienza, lo faranno più tardi: quanti infelici sono cresciuti in famiglie convenzionali incapaci di tollerare il loro essere divergenti!

Abbiamo costruito meccanismi di controllo – anche psichici – per sapere tutto di loro e metterci così, immaginariamente, al riparo dall’angoscia, ottenendo invece che la loro necessaria trasgressione non si manifesti più contro genitori, insegnanti, adulti, ma contro i pari, come accade nel bullismo e nelle baby gang, o contro se stessi in quelle auto aggressioni che sono le anoressie, le auto reclusioni, le sfide mortali via web, il tagliarsi laddove i genitori non possono più allungare gli occhi. I tentativi di suicidio dei giovani sono aumentati nella clausura pandemica. E quante anoressie hanno preso il via durante le scuole chiuse? Abbiamo avuto ragazze che, senza motivazioni mediche e nutrendosi normalmente, in questi mesi hanno perso il ciclo: d’altronde perché crescere che tanto si sta a casa come bambini? Una ragazza di 12 anni si è rifugiata in una grande scatola – dentro la “scatola” della casa – con coperte e cuscini, rinchiudendosi con le ante, mettendo così in scena una iperbole della claustrofilia.

Non è stata la pandemia a recludere i figli: erano già da prima più amanti della capanna che del panorama, educati a diffidare di uno dei mondi più sicuri che l’uomo abbia mai costruito. Li abbiamo visti perdere desiderio di vita e voglia di uscire per vedere gli amici anche prima della chiusura, ma oggi manifestano sintomi mortiferi più evidenti: li abbiamo visti immusonirsi, inscheletrirsi o gonfiarsi, tagliuzzarsi un po’ di più, rispondere un po’ di meno alle telefonate degli amici. Giustificati dalla pandemia, molti genitori hanno custodito con amore la casa-tomba, linda e senza contagi, infilandosi nelle DaD per assistere o ribattere, in diretta, all’insegnante, ponendosi fuori da quella legge che proibisce loro di entrare in classe.

Il virus ha solo giustificato il loro ipercontrollo: i nostri ragazzi erano già reclusi dentro le nostre angosce e nelle indebite invasioni sui loro corpi che non sono per noi. I corpi dei ragazzi sono per altri ragazzi – anche questo fingiamo di non saperlo – i loro odori devono mischiarsi con quelli dei coetanei, non con i nostri, nei nostri letti dove accogliamo la loro infelicità, rendendoli ancora più dipendenti, anche quando sono ormai grandi. Giù le mani dai loro bei corpi! Basta con l’inondarli di carezze e sbaciucchiamenti: li priviamo del senso delle distanze generazionali, quelle che servono ad attivare il desiderio per altri come loro, quelli con cui devono diventare adulti. Il contatto coi nostri corpi, che prima cercavano, gli è diventato fatalmente fastidioso e, anche se non ce lo fanno capire o non arrivano neppure a pensarlo, il toccarli sempre può assumere i tratti della molestia.

Ci lamentiamo che non sanno leggere un testo, non dico di filosofia ma anche solo giornalistico, senza capirne la struttura e la tesi di fondo. Eppure abbiamo costruito per loro una scuola depotenziata nei contenuti, con una scarsa qualità della formazione: perché? Perché tanto la formazione gliela possiamo dare noi? O perché così tollereranno meglio un lavoro di minor pregio ma non troppo lontano dalle nostre case? Perché accettiamo di pagare rette salate alle università sapendo che li tirano su a slide, cioè a omogeneizzati del sapere che non celebrano il loro essere persone ormai adulte? Perché fingiamo di non sapere che la crescita di un paese è nella qualità delle sue scuole e nel desiderio dei suoi giovani?

Laura Pigozzi, psicoanalista e scrittrice, autrice del volume "Troppa famiglia fa male. Come la dipendenza materna crea adulti bambini (e pessimi cittadini)", Rizzoli, 2020. Il contributo è stato pubblicato sul numero #2_2021 di VITA.

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