Mondo
Industria, agricoltura, energia, case: i nostri fiumi non ce la fanno
«Troppa o troppo poca: l’acqua in Italia in un clima che cambia»: il report del centro studi Italy for climate mette al centro il legame tra il riscaldamento globale e il ciclo dell'acqua. E, con il rigore dei numeri, sottolinea le molte criticità della gestione idrica in Italia, prima in Europa per quantità di prelievi. La devastante alluvione in Emilia Romagna e le siccità sempre frequenti sono un monito ad adottare strategie e soluzioni innovative
Siamo il Paese europeo che preleva dai fiumi e dalle falde la maggiore quantità di acqua: 39 miliardi di m³ all’anno, per agricoltura, usi civili, industria ed energia.
Con 9 miliardi di m³, l'Italia vanta anche il record di prelievi per gli usi civili, quasi il doppio di Germania, Francia e Spagna. Sono alcuni dei dati contenuti nel report Troppa o troppo poca: l’acqua in Italia in un clima che cambia, del centro studi Italy for Climate, presentato durante la 4° Conferenza nazionale sul clima il 5 luglio a Roma (che si può rivedere qui).
«Siamo entrati in una nuova epoca di "anormalità climatica permanente" in cui temperature sempre più elevate hanno già modificato il ciclo dell’acqua. Il risultato è quello di un aumento di frequenza e intensità di eventi meteoclimatici fino ad ora ritenuti eccezionali, ma che eccezionali non sono più», si legge nella premessa. «Il nesso tra crisi climatica e ciclo dell’acqua è ancora troppo poco noto. È invece fondamentale sviluppare una consapevolezza diffusa per affrontare il nuovo contesto in cui ci troviamo, oltre che per limitare i danni».
Lo studio evidenzia che esistono aree nel mondo, chiamate hot-spot climatici, dove le temperature aumentano più in fretta e gli eventi estremi sono più frequenti e numerosi. Uno di questi "punti caldi" è proprio il bacino del Mediterraneo, con l’Italia al centro. Nel 2022 nel nostro Paese sono stati registrati ben 2.000 eventi di piogge intense e grandinate. La stima dei danni negli ultimi quarant’anni è di 90 miliardi di euro.
Con 134 miliardi di m³ ogni anno, siamo al terzo posto in Europa per disponibilità di acqua, un valore che però si è già ridotto del 20% rispetto a inizio Novecento e, secondo Italy for Climate, potrebbe diminuire ancora del 40% (con picchi del 90% al Sud). In realtà, il report mette in evidenza l'assenza di dati certi sulla disponibilità e sui prelievi e usi in Italia, in particolare quelli relativi all’agricoltura e a molte attività industriali, che non sono ancora soggetti a misurazioni dirette. Le stime dei prelievi derivano dal database europeo Eionet: dei 39 miliardi di m³ all’anno, si calcola che il 41% sia per l’agricoltura, il 24% per gli usi civili, il 20% per la produzione industriale e il 15% per la produzione di elettricità, a cominciare dal raffreddamento delle centrali termoelettriche. In Europa, solo la Spagna preleva più dell’Italia per l'irrigazione.
Osservano i relatori del report: «Qualche invaso, ben collocato, può essere utile ad aumentare le riserve idriche per l’agricoltura, ma pensare di poter mitigare la siccità moltiplicando gli invasi è semplicemente illusorio. La prima e più importante misura di adattamento della nostra agricoltura è quella di ridurre i suoi consumi di acqua con sistemi di irrigazione più efficienti, a goccia e/o con quelli dell’agricoltura di precisione e anche valutando la compatibilità di alcune tipologie colturali con un contesto di sempre minore disponibilità idrica e temperature crescenti». Inoltre, andrebbe incentivato il riutilizzo dell’acqua in agricoltura, contribuendo ad attenuare gli impatti delle siccità.
Il prelievo per usi civili, invece di diminuire, aumenta: oggi è il 70% in più rispetto al 2000. Secondo l’ultima analisi Istat, le reti idriche perdono 42 litri ogni 100 (contro i 33 della fine degli anni Novanta) e il consumo per abitante in Italia è il più alto d’Europa, con quasi 220 litri al giorno. «Bisogna utilizzare al meglio i quasi tre miliardi di euro previsti dal Pnrr per interventi sulle infrastrutture idriche, insieme agli altri finanziamenti europei disponibili, integrati con altre risorse pubbliche per completare un programma nazionale, di rinnovo delle reti idriche e di almeno dimezzare le perdite di rete entro i prossimi cinque anni», è l'indicazione di Italy for Climate.
Non sono finiti i record negativi del nostro Paese: la nostra industria è prima anche per prelievi di acqua, con oltre 8 miliardi di m³ all'anno, un dato più che dimezzato negli ultimi vent’anni. Per il centro studi è necessario, tra l'altro, «depurare e riutilizzare, in modo circolare, le acque impiegate nei propri processi industriali, riducendo al minimo i prelievi dai pozzi o dai corpi idrici e minimizzando, possibilmente azzerando, i volumi dei propri scarichi idrici all’esterno dello stabilimento: è già una pratica nota e utilizzata da diverse imprese».
Va ricordato che l'acqua serve anche per il buon funzionamento degli ecosistemi. L’Indice di stress idrico misura la percentuale della risorsa idrica che viene prelevata dall’uomo e sottratta alla natura: quando supera il 20% si verifica una situazione di stress. L'Italia, con circa il 30% dei prelievi, è il Paese europeo con i più alti livelli di stress idrico. Le Regioni del centro-sud e le isole, secondo l’analisi del World Resources Institute, potrebbero superare addirittura l’80% della disponibilità di acqua.
Ancora, collegato con la gestione delle acque, è l'utilizzo del suolo. Secondo lo studio, un italiano su cinque risiede in aree potenzialmente allagabili. Le zone più a rischio sono di norma quelle con i più alti livelli di cementificazione, dove è minore la capacità del suolo di assorbire precipitazioni intense e maggiore la probabilità di eventi alluvionali. Le Regioni più esposte sono Emilia-Romagna, Veneto, Calabria, Friuli-Venezia-Giulia, Toscana e Lombardia. «È ormai indispensabile fermare il nuovo consumo di suolo, anche per ragioni climatiche: serve una legge che fermi la cementificazione e che consenta di far fronte ai fabbisogni abitativi, di servizi e di impianti produttivi recuperando costruzioni già esistenti e aree già urbanizzate», indica ancora lo studio.
Le due foto sono di Elena Cozzarini.
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