Non profit

Le grandi sigle europee della solidarietà/1. Oxfam, la maestra

Da Oxford a Kabul. Nata 59 anni fa oggi è una delle charity più attive nelle crisi mondiali. ed è anche una delle più ricche, con 3mila dipendenti e 23mila volontari

di Carlotta Jesi

Per gli inglesi in cerca di abiti usati, Oxfam è il charity shop all?angolo. Un look da tutti i giorni si acquista in qualsiasi punto vendita del Paese. Per le grandi occasioni, meglio il negozio di South Kensigton, a Londra: ci trovi il vecchio guardaroba di tutti i ricchi della zona. Per gli intellettuali, invece, Oxfam vuol dire un?altra cosa: libri. Studi sul digital divide e la povertà nel sud del mondo, diari di cooperanti e reportage dai punti più caldi del pianeta dal 1980 a oggi. Per i turisti responsabili, Oxfam è la catena di Bed&Breakfast che destinano un terzo dei guadagni al sociale. Per i bambini, uno snack al cioccolato equosolidale. Per i designer, l?Oxfam Bucket, il recipiente per il trasporto dell?acqua premiato fra gli oggetti più utili del millennio. Per i rifugiati accolti in Gran Bretagna, la charity cui devono la vita, e per i patiti della raccolta differenziata un?altra cosa ancora: il Wastesaver Centre di Huiddersfield, dove ogni anno si riciclano 80 tonnellate di vestiti usati. Equa e solidale Qual è la verità? Semplice, rispondono da Oxford, quartier generale della charity più famosa del Regno Unito: Oxfam è tutte queste cose insieme dal 5 ottobre 1942, quando nasce come Oxford Committee for the Famine Relief su idea del professore di greco Gilbert Murray. Obiettivo: raccogliere fondi e cibo per i 2mila abitanti di Atene e del Pireo che ogni giorno muoiono di fame a causa dell?occupazione nazista e del blocco di rifornimenti alla Grecia imposto dagli Alleati. È la prima campagna di fundraising dell?organizzazione, ed è un successo: 12.700 sterline, circa 20mila euro di oggi, donate in pochi giorni. Rispetto ai 187,3 milioni di sterline (circa 298 milioni di euro) raccolti nel 2001 dai 23mila volontari che militano per l?organizzazione solo nel Regno Unito e dai suoi 3mila dipendenti in tutto il mondo, sono pochi spiccioli. Ma sufficienti per convincere quelli dell?Oxford Committee ad andare avanti anche quando ad aiutare la Grecia ci pensa il Piano Marshall, inventando una forma di finanziamento che dura tutt?oggi: i charity shop. In tutto il Regno Unito ce ne sono 830, costruiti sul modello del primo negozio aperto nel 1947 nei sotterranei della Oxfam House di Oxford, al 17 di Broad Street: logo bianco e verde della charity in vetrina, volontari alle casse, vestiti usati che sembrano nuovi in vendita. Assieme ai prodotti del commercio equosolidale, che Oxfam importa e vende dal 1964 con un proprio marchio lavorando con 160 produttori di 30 Paesi, nel 2001 i charity shop hanno venduto per 61,6 milioni di sterline (97 milioni di euro). Il 33 per cento delle entrate dell?organizzazione, seconde solo a quelle delle donazioni: 66, 2 milioni di sterline. Per raccoglierle, i volontari possono contare su mezzo milione di donatori regolari muniti della Oxfam Visa Credit Card, carta di credito emessa dalla Cooperative Bank, una delle banche etiche più antiche d?Europa, che destina 10 pence ogni 100 sterline di spesa alla non profit. Il resto del denaro arriva dal governo inglese, l?Unione europea e l?Onu (16 per cento delle entrate) e dalle altre sezioni di Oxfam. Che sono undici, nate a partire dagli anni 60, sparse nel mondo dall?Australia al Canada e dal 1995 riunite in una charity registrata in Olanda col nome di Oxfam International che gestisce un budget complessivo di 520mila euro. Come un?azienda Le spese di fundraising di Oxfam Uk? «15 milioni di sterline, più o meno una ogni quattro raccolte», scrive nell?introduzione al bilancio 2000-2001 la presidente, Barbara Stocking. A gennaio dello scorso anno, per una busta paga di 75mila sterline, 5mila in meno del suo ultimo stipendio, la Stocking ha lasciato il posto di vicedirettore del Servizio sanitario nazionale è si è insediata all?Oxfam House. Dove gestisce una non profit strutturata come un?azienda: il governo della charity è affidato al Consiglio, un organo formato da 12 trustees, legalmente responsabili per le attività di Oxfam e scelti fra volontari dell?organizzazione che in genere rimangono in carica per tre anni senza stipendio. Al Consiglio risponde il direttore, che sotto di sé ha cinque vicedirettori responsabili delle sezioni in cui è suddivisa Oxfam: marketing, programmi internazionali, commercio, finanza e risorse umane. Lo staff complessivo conta, come detto, 3mila dipendenti: 1.300 impiegati in Gran Bretagna o espatriati nel Sud del mondo e il resto direttamente assunti nei 75 Paesi in cui opera l?organizzazione. Ogni anno, una parte dei dipendenti viene selezionata per partecipare all?assemblea generale in cui 180 persone, compresi volontari, beneficiari e ong partner, si ritrovano per dare il loro parere sulla gestione della charity. Senza potere decisionale, ma con quello di influenzare le decisioni del Consiglio presentando studi sulla povertà, l?efficacia di un progetto o rapporti che smascherano aziende e governi poco interessati a una globalizzazione partecipata invece che subita. Assieme ai volontari e ai cooperanti sparsi per il mondo, questi studi sono una delle armi più preziose di Oxfam. Ne sanno qualcosa le 39 multinazionali farmaceutiche che, a marzo 2001, hanno cercato di impedire al governo del Sudafrica l?importazione di farmaci generici anti Hiv rifiutandosi di abbassare il prezzo dei loro antiretrovirali perché non avrebbero più avuto soldi per la ricerca di nuove medicine. Dati alla mano, gli uomini di Oxfam hanno mostrato che, al netto di pubblicità e spese di marketing, le case farmaceutiche spendono meno di quello che dichiarano per produrre un farmaco. E hanno messo la parola fine allo sfruttamento dei brevetti sui farmaci ai danni del Sud del mondo. Il modello inglese 140.964. Le organizzazioni non profit britanniche. 563mila gli addetti, il 2% della forza lavoro totale, i cui salari assorbono più del 30% delle spese totali. 15,6. Miliardi di sterline, quanto raccoglie complessivamente il non profit in Gran Bretagna (contro i 14,2 del biennio ?98-’99). Crescono anche le uscite: da 13.4 miliardi a 15. 15,3%. C?è stata una contrazione dei fondi governativi che, nel biennio 2000-2001 sono scesi al 15.3 dal 16,1% del biennio precedente (pari a 3 milioni di sterline in più), mentre la parte di entrate che riguarda le donazioni e gli investimenti scende dal 46.1% al 43.6%. 5,5. Miliardi di sterline: sono le entrate dalle vendite di merci e servizi che dai 4,8 miliardi di sterline (pari a 2.976 miliardi di euro) nel 98-99 (pari al 33,7% delle entrate totali), sono saliti nel 2000-1 a 5,5 miliardi di sterline (3.410 milioni di euro), pari al 35,1% delle entrate. È il dato più significatico e innovativo del non profit modello inglese. (fonte: UK Voluntary Sector Almanac 2002) Cos’è una charity La parola, in inglese, vuol dire carità. In Gran Bretagna hanno status di charity le organizzazioni che sono create e agiscono esclusivamente con fini caritatevoli verso il pubblico e non verso singoli individui. Secondo la Charity Commission for England and Wales, gli obiettivi delle charity devono rientrare in una di queste categorie: sostegno dei poveri, disabili e anziani; sviluppo dell?educazione; sviluppo della religione; altri scopi che aiutano la comunità. L?elenco delle charity inglesi si trova sul sito: www.charity-com mission.gov.uk


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