Bel Paese

Matera, un 2019 senza mercanti

di Vittorio Sammarco

Raffaello De Ruggieri è il nuovo sindaco. Tutta la vita ha combattuto per il riscatto della stupenda città dei Sassi, dove è nato 80 anni fa. Ora è chiamato a governarla, per preparare il 2019, anno fatidico in cui sarà Capitale europea della cultura. E qui racconta come se la sogna

«La cultura rende inevitabile ciò che è altamente improbabile». Lo aveva pensato da giovane, in tempi non sospetti Raffaello De Ruggieri, nel 1959. Lo ha ripetuto il 17 ottobre del 2014, dopo la nomina della Città dei sassi a Capitale europea della cultura per il 2019. Quel giovane avvocato, animatore del circolo culturale la Scaletta, presidente della Fondazione Zetema, colui che si «considera un privilegiato perché ha visto realizzare tutti i suoi sogni», che fu tra i primi a riabilitare quelle grotte di tufo andando a viverci tra lo sconcerto generale con la moglie, dopo il grande esodo forzato, ora, a 80 anni, ne ha realizzato un altro, di sogno. Da poche settimane Raffaello De Ruggieri infatti è il primo cittadino di Matera. E lo sarà anche in quel fatidico 2019.

Cos’è cambiato da allora, da quei ragazzi animati da entusiasmo e visionarietà?
Siamo cambiati noi. Allora ci fu un grande personaggio come Umberto Zanotti Bianco che ci provocò, ponendoci una domanda. Siamo nell’ottobre del ’56, vide un gruppo di ragazzi increduli sulla qualità e il vitalismo di questa nostra area e mi chiese: “tu la conosci questa terra?” Prima di stabilire cosa fare, devi stabilire se questa terra è matrigna, allora hai il diritto di abbandonarla, ma se la ritieni materna, allora hai il dovere di fermarti. Risposi con la seconda opzione, e mi fermai. Il 7 aprile del 1959 fondammo La Scaletta, che nasceva proprio per rispondere al quesito esistenziale sul chi siamo: figli della miseria, come tutti sostenevano, o figli della storia, come qualcuno in un orecchio ci suggeriva? La risposta fu la seconda, e che storia!

Quei ragazzi erano appassionati, convinti del valore non solo estetico, della città. Come vede i giovani materani di oggi, hanno la stessa passione civile?
Si trovano un pacchetto già confezionato, con il fiocco tricolore, sotto il profilo dell’ostentazione identitaria; ma trovano anche un territorio privo di occasioni di lavoro e questo è l’elemento “urticante”, la perdita secca delle energie giovanili. Non siamo riusciti a stabilizzare un processo di sviluppo e di progresso. Sono più sfortunati, ma sono stati anche diseducati ad un protagonismo. Quello che invece noi fummo sferzati a praticare. Uscimmo come militanti civici da quella operazione del ’59 e da lì abbiamo distillato lentamente, nella coscienza delle donne e degli uomini di Matera, il seme del valore identitario. Così siamo riusciti a trasformare la “vergogna”, la “cattiva coscienza” in un orgoglio di appartenenza. Adesso, questo spirito, forse è un po’ carente, ma la scossa del riconoscimento di Capitale europea ha un po’ traumatizzato l’inerzia e ora c’è una grande attesa.

Il cittadino deve trasformarsi anche in abitante culturale

Il Dossier 2019 insiste molto sulla partecipazione dal basso dei cittadini. Lei lo condivide e in che modo si può praticare?
Prima chiedevi a un cittadino materano “di dove sei?” e ti rispondeva “di un paese vicino a Bari”, oggi ti risponde “sono materano”. Questo è già l’indice di un acquisito valore di appartenenza. E su questo progetto è stata posta la base per la vittoria di Matera 2019. Ossia: il cittadino deve trasformarsi anche in abitante culturale. C’è stato un grande movimento di coinvolgimento della società e della comunità. Quando il 17 ottobre del 2014 si attendeva il risultato del giudizio della Commissione, in piazza c’erano 4mila persone che non erano andate lì per festeggiare una vittoria, ancora incerta, ma erano lì perché si sentivano protagonisti di questo impegno.

Si può dare continuità, ordinarietà, a questo tipo di protagonismo?
È qui il problema. Ci sono due visioni, due scuole di pensiero: c’è chi pensa di celebrare la vittoria e chi pensa di governarla. Il governo della vittoria è creare sempre questi focolai di attenzione e di partecipazione operativa. Celebrare la vittoria significa andare in piazza, significa mettere un palco, uno che suona e uno che balla. Noi invece dobbiamo attivare quelle aree di partecipazione operativa attraverso produzione culturale diretta (è qui una delle mie critiche al Dossier 2019). Il cartellone degli eventi deve essere in gran parte costruito qui e non acquistato sul mercato internazionale. E quando dico questo, non voglio dire che devono essere esclusivamente materane le energie locali o la produzione. Questo è un luogo magnetico, da cortocircuito creativo, luogo classico del turismo di emozione e di ispirazione culturale, e quindi un luogo deputato a creare, come ha detto Vittorio Storaro, “tumulti di creatività”. Dobbiamo creare intorno alle aree e alle energie territoriali, personaggi di qualità mondiale, confezionare qui il prodotto culturale per poterlo trasferire altrove e stabilizzare qui le produzioni.

Nel Dossier Matera 2019, c’è una certa sottovalutazione del patrimonio spirituale e religioso del parco delle Chiese rupestri? Come si può colmare la lacuna?
Il Dossier si è nutrito poco del territorio. Ma non è solo il patrimonio delle Chiese. Questa è una città che può raccontare la storia dell’uomo dalla selce al silicio, dai buchi neri delle grotte preistoriche, paleolitiche, ai buchi neri dello spazio del Centro di Geodesia Spaziale. Noi abbiamo la possibilità di creare parchi tematici che portino per mano il visitatore a entrare nella storia dell’uomo, dall’inizio al futuro. E tutto ciò il Dossier non lo valorizza perché – si dice – non è europeo… Ma questo è universale!

Quindi ha intenzione di rivedere il Dossier?
Sì, ma non per distruggere, per carità!, sono contenuti che vanno integrati, nei limiti che ci saranno consentiti, perché ancora non sappiamo se il Dossier è un vincolo, un tabù o no. Lo scopriremo solo a settembre a Bruxelles, quando avrò un colloquio diretto con i commissari europei. Cercherò di fare presente che i nostri valori del Mediterraneo sono ovattati nel Dossier. Noi sappiamo che la nostra civiltà nasce dall’oriente, da Cadmo, che porta la cultura da Babilonia in Europa: secondo il mito greco arriva alla ricerca della sorella, appunto, di nome Europa. Quella è una cultura che si trasferisce e che non possiamo trascurare. Sono cose che vanno rilanciate. L’Europa non può fare la “signorina sofisticata” nordica…

Noi sappiamo che la nostra civiltà nasce dall’oriente, da Cadmo, che porta la cultura da Babilonia in Europa. L’Europa quindi non può fare la “signorina sofisticata” nordica

Può Matera funzionare da volano trainante anche per tutto il sud?
Dipende da noi. Se entriamo nei canali sensibili, possiamo aggregare, se invece entriamo nei canali di una certa “evaporazione spettacolare”, in una baldoria ludica che non ha più senso… La nostra ambizione è sfidare anche altre aree meridionali per fare da modello di un Mezzogiorno che funzioni e che non si lamenta. Il grande progetto non è tanto il 2019, ma quello di utilizzare questa opportunità non solo per creare una città “attraente”, ma anche “attrattiva” sotto il profilo degli investimenti. Di produzione culturale e di produzione di imprenditori. Attraverso una possibilità di creare aree di agevolazioni per gli investimenti e non aree che semplicemente godano degli investimenti. Utilizzando la fiscalità di vantaggio, ad esempio, per rendere appetibili gli investimenti. Matera può diventare anche una città appetibile per i capitali. Dobbiamo ritrovare il gusto di vivere nella nostra terra. Facendola gustare anche agli altri. E quindi non un Mezzogiorno lenone, criminale…, ma un luogo dove c’è una stimolazione civile che si trasforma in nuova struttura sociale e questa nuova struttura sociale può diventare un altro attrattore per chi vuol sfuggire ad una globalità assordante e assorbente e trovare qui un momento di riflessione.

Pasolini diceva di Matera: «La mia idea che le cose quanto più sono piccole e umili, tanto più sono grandi e belle nella loro miseria, (qui) ha trovato uno scossone estetico. Un’ulteriore conferma».
Noi non possiamo rispettare la filosofia pasoliniana del valore del rudere, o della povertà in sé. Ma non possiamo nemmeno trasformare questo rudere e questa povertà in una sorta di Babilonia o Disneyland. Ci vuole equilibrio. D’altra parte quando abbiamo iniziato la nostra battaglia sui Sassi pensavamo che nei Sassi dovevano esserci le residenze e le funzioni per dare vitalità alla città. Questo non è stato fatto e sono inflazionati da B&B, bar, ristoranti… Questo è il primo punto che ho detto agli assessori: dobbiamo tentare di governare questa inflazione, non possiamo fare quello che è successo a Firenze dove la via principale è diventata una sorta di paninoteca all’aperto. Non possiamo essere una decalcomania, abbiamo una forza talmente propria e originale, unica e distintiva, che non possiamo andare a riprodurre il turismo delle cavallette. Il dato positivo di Matera è che, date le dimensioni dei sassi non si sono create le grandi strutture di accoglienza. Ci sono microstrutture. Noi, ad esempio, non possiamo fare la Città dei congressi, in contraddizione con la natura della nostra città. Questo mi pare sia anche il concetto di sostenibilità che si ripete nel Dossier. Però questo è il dire. Ora ci resta il fare…

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