Welfare

Congo R.D: dopo il vulcano, aiuti intelligenti

Dopo l'eruzione del vulcano Nyiragongo che ha semidistrutto la città di Goma, i congolesi chiedono pace e giustizia, non assistenzialismo

di Emanuela Citterio

Gli aiuti che non tengono conto della situazione politica di un Paese rischiano di cadere nell’assistenzialismo e a volte di creare più danni che benefici. E’ il parere dell’organizzazione “Chiama l’Africa” di fronte all’emergenza umanitaria provocata dall’eruzione del Monte Nyiragongo nella Repubblica democratica del Congo. L’organizzazione ha sottolineato in un comunicato come gli aiuti non devono portare ad umiliare le persone sfollate da Goma (capoluogo del Nord Kivu, est della Repubblica democratica del Congo) in Rwanda né a trascurare le risorse e le capacità di autoaiuto presenti in territorio congolese. “A pochi giorni dall’eruzione del vulcano che ha distrutto una parte di Goma – dice il comunicato -, i suoi abitanti stanno tornando a casa per riappropriarsi della loro città. Rifiutano di essere confinati in campi profughi in territorio ruandeseProprio per questo nessuno ha accettato di salire sui pullman che da Gisenyi avrebbero dovuto trasferirli nei campi allestiti in Rwanda. È l’ennesima prova di coscienza nazionale e di resistenza contro le forze di occupazione ruandese che detengono il controllo della città dall’agosto 1998.” “Chiama l’Africa”, già promotrice di numerose iniziative in favore dei Grandi Laghi africani (subregione della quale fanno parte sia il Congo Kinshasa che il Rwanda) prosegue rilevando come gli aiuti debbano giungere alla popolazione di Goma attraverso autorità, enti e organismi (ad esempio la Chiesa cattolica, le altre comunità confessionali, la società civile) dell’ex Zaire. “Goma sta tornando a vivere nella sua gente. Il capoluogo del Nord Kivu si è da sempre caratterizzato per la pluralità dei suoi abitanti. Gruppi di diversa provenienza etnica sono da sempre convissuti in armonia. Dal 1998 sta resistendo con forme di lotta nonviolenta all’occupazione, chiedendo il ritiro di ogni contingente straniero e l’avvio deciso del dialogo intercongolese per raggiungere una vera e propria riconciliazione nazionale. Si tratta di una popolazione particolarmente giovane, attiva ed accogliente. Non va dimenticato che diverse ondate di profughi e sfollati hanno trovato ospitalità nella città: Fino ad arrivare, nel 1994, dopo i fatti del Rwanda ad ospitare circa un milione e mezzo di profughi. Prima dell’eruzione del vulcano si calcola che la città fosse abitata da circa 350.000 persone. Di esse solo una parte ha trovato un primo rifugio oltre il confine ruandese. Questi dati devono essere tenuti presenti nella gestione degli aiuti e della ricostruzione: 1) Gli aiuti devono essere gestiti da autorità congolesi, in territorio congolese e in collaborazione con le forze della società civile (chiese, confessioni religiose, rappresentanti della società tradizionale, e così via). Se fossero gestiti da ruandesi e in territorio ruandese, per la popolazione che da anni resiste all’occupazione, sarebbero aiuti avvelenati. L’uso dell’aeroporto di Kigali e il transito in Rwanda devono avere solo un significato tecnico. 2) In questo momento a Goma c’è bisogno di tutto, soprattutto nel settore sanitario e alimentare. Ma nelle scelte delle priorità e delle modalità di intervento, va fatta una valutazione seria con la società locale, in modo che gli aiuti non svolgano solamente un ruolo di semplice assistenza, ma preparino la ricostruzione e lo sviluppo successivo della città. 3) Vanno utilizzate le strutture locali esistenti e l’impiego e la valorizzazione del personale locale. Ci sono molte persone preparate nel settore sanitario e sociale che possono senz’altro svolgere un ruolo attivo e direttivo in collaborazione con i vari organismi internazionali. 4) Non va dimenticato che la città vive da anni in una situazione di guerra e di occupazione. Una guerra che non ha permesso lo sviluppo dell’economia, che, anzi, sta diventando sempre di più l’occasione per uno sfruttamento sistematico delle risorse del territorio da parte delle nazioni occupanti”. “Chiama l’Africa” prosegue chiedendo alle Nazioni unite di incrementare la loro presenza nella zona al fine di rafforzare sia i sentimenti di speranza, che il loro arrivo ha suscitato fra i civili, sia le possibilità di attuazione degli accordi di pace per l’Rdc siglati a Lusaka (Zambia) nel 1999. Qui di seguito il testo del comunicato. “La presenza di osservatori delle Nazioni Unite è stata vissuta dalla popolazione come un segnale di speranza. È, quindi, necessario che questa presenza non venga meno, ma, anzi, sia rafforzata. Solo il ritiro di ogni forza di occupazione, il dialogo intercongolese e la riaffermazione della pace, secondo gli accordi di Lusaka, le risoluzioni del Consiglio di sicurezza e il rapporto Garreton, possono costituire un quadro politico che permetta agli aiuti umanitari di non cadere nell’assistenzialismo per divenire l’inizio di un vero e proprio cammino di sviluppo”.


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