Mondo

Storie di ordinaria pazzia dall’Afghanistan

Sono solo otto gli psichiatri per curare due milioni di malati mentali…

di Paolo Manzo

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Salute (Oms), i tre ospedali psichiatrici del Paese non hanno nessuna possibilità di curare la quantità spropositata di malati mentali afghani. La maggior parte di essi ha perso il lume della ragione a causa delle guerre che, dalla fine degli anni 70, hanno dilaniato il Paese.

L?entità del problema è evidente a Jalalabad. Lì è assai frequente vedere malati di mente per le strade e l’unico ospedale aperto ha almeno una vittima di ogni conflitto bellico. C?è di tutto. E Abdul Sabur, direttore dell’ospedale locale, può mettere in fila nei corridoi i ?suoi? malati, separandoli cronologicamente.

La pazzia è la stessa, solo il conflitto che l?ha generata è diverso. Non appena si entra, sulla destra s?incrocia un uomo torturato dall?armata rossa sovietica negli anni 80 che urla contro il mondo; più avanti un altro, torturato dai talebani negli anni 90, si rotola tra la polvere; un terzo, cui i talebani hanno distrutto casa e giardino, resta accovacciato da settimane.

Vicino ad una finestra con feritoia c?è anche Khan, la cui casa si è dissolta sotto le bombe nordamericane a novembre. Dopo è impazzito. La gente che i tribunali islamici ha ?dichiarato? insani di mente si mischia in ?corsia? con le vittime fisiche della guerra e, tra i tanti, c?è anche un giovane che ha decapitato il padre. Circondato da un paio d?epilettici.

?Tutti questi che vede qui hanno perso totalmente il senno?, sentenzia Sabur. E la diagnosi è semplice: tutti i pazienti sono?un po? pazzi e ricevono la stessa ?cura?. Di notte, vengono incatenati al letto in stanze senza riscaldamento e, di giorno, raggruppati al sole, in un cortile polveroso.

Sabur spiega che i talebani avevano mantenuto in vita l’ospedale, distribuendo medicine ed assicurando un minimo di fondi per comprare un po? di cibo e pagare i salari. Anche il nuovo governo ad interim, agli inizi, gli aveva dato il suo appoggio. Adesso, invece, non riceve più aiuti dal governo?Comunque sia.

L’ospedale ha solo venti letti e personale a sufficienza per somministrare medicine a 36 pazienti. E, benché ammetta solo uomini, oltre la metà dei suoi pazienti in ambulatorio è composta da donne. Sabur spiega che, sicuramente, nella città ci sono altre centinaia di persone che avrebbero bisogno d?aiuto ma, ?non c’è modo di curarli?.

Il personale dell’ospedale è molto schietto: non ci sono infermieri a sufficienza e quelli che ci sono non sono qualificati per fare diagnosi accurate o garantire un?assistenza farmacologica degna di questo nome. E Shah Mahmood, un’infermiera dell’ospedale, rende bene l?idea con una frase illuminante: ?qui i pazienti ci restano fino a quando non muoiono??

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.