Dopo Freedhome a Torino anche Venezia ha il suo emporio dedicato ai prodotti realizzati da detenuti ed ex detenuti. È Rio Terà dei Pensieri, una cooperativa sociale che si occupa di inserimento lavorativo, dove poter trovare le borse artigianali realizzate riciclando il pvc e i prodotti cosmetici naturali realizzate nella Casa circondariale maschile Santa Maria Maggiore e nel carcere femminile della Giudecca. A Venezia l’emporio e la cooperativa hanno trovato la collaborazione di uno degli artisti protagonisti della 57esima Biennale d’arte di Venezia: Mark Bradford, responsabile del padiglione degli Stati Uniti.
«Le prigioni non sono la prima cosa che viene in mente quando si pensa a Venezia, nonostante facciano parte della “vita reale” della comunità», spiega Bradford. «Dal momento in cui ho iniziato a riflettere sull’incarico di rappresentare gli Stati Uniti ho capito di voler coinvolgere la comunità veneziana, i residenti autentici. Per me è sempre stato importante che l’arte non sia isolata dal contesto: deve coinvolgere la società, altrimenti a che cosa serve? E ho imparato con l’esperienza che uno dei modi migliori per coinvolgere gli abitanti è entrare in contatto con le comunità che operano a livello locale». Da qui l’incontro con Liri Longo, presidente di Rio Terà dei Pensieri: «Ho compreso l’importanza del lavoro che coordina e ho capito di voler lavorare con questa organizzazione non profit».
Grazie all’impegno finanziario e proattivo di Bradford è stato possibile aprire al pubblico un negozio speciale che porta con sé la storia delle persone che hanno lavorato e dato vita a creazioni uniche. Produzioni che parlano di responsabilità etica e cura per l’ambiente, attraverso la coltivazione di un orto biologico e la creazione di cosmetici (tra cui una linea bio a marchio “Rio Terà dei Pensieri”) curata nella Casa di reclusione per donne della Giudecca, la confezione di borse e accessori con materiali riciclati in Pvc a nome “malefatte” e la stampa in serigrafia di t-shirt del Commercio equo e solidale nei laboratori attivi nella casa circondariale maschile di Santa Maria Maggiore di Venezia
Da sinistra, Simone Venturini, assessore alle Politiche sociali del Comune di Venezia; Mark Bradford; Liri Longo, presidente cooperativa (foto di Paolo Saglia)
Abbiamo chiesto a Bradford in cosa consisterà il progetto Processo collettivo che durerà sei anni.
È una collaborazione che sfrutterà il palcoscenico mondiale della Biennale per mettere in luce e sostenere un modello di cooperazione sociale che interviene nel contesto penitenziario attraverso la creazione di opportunità lavorative per i detenuti e per chi torna in libertà con lo scopo di incrementare le opportunità lavorative e formative in carcere e sul territorio cittadino.
Lei ha promosso l’apertura del negozio nel centro storico di Venezia (vicino alla basilica dei Frari)…
Per far conoscere ai cittadini e ai turisti i prodotti artigianali realizzati dai detenuti e dalle detenute. Il negozio fungerà da punto di riferimento per gli ex detenuti che vi potranno ricevere informazioni sui servizi disponibili in città, tra cui l’accesso alla formazione, al lavoro, all’alloggio e ai servizi sanitari, mentre i proventi delle vendite sosterranno i progetti di inserimento lavorativo in carcere di Rio Terà dei Pensieri e i nuovi che saranno promossi proprio grazie a “Process collettivo”.
L'arte deve coinvolgere la società, altrimenti a che cosa serve?
Quali sono secondo lei I punti di forza di questo progetto?
Credo che saranno la solidità e l’esperienza di Rio Terà dei Penieri nel lavoro sociale e la visibilità che Process Collettivo potrà avere grazie alla presenza in una città internazionale come Venezia, assieme agli stimoli nuovi che potrà fornire il contatto con il mondo dell’arte e con un pubblico esterno. L’accessibilità di Process Collettivo (inteso come luogo fisico) renderà continuo lo scambio di suggestioni e di idee con chi vorrà essere parte di questo progetto.
Lei negli Stati Uniti ha realizzato il progetto A+P per i giovani che vivono in South LA. Ci sono punti di contatto tra queste due esperienze? Quali, invece, le diversità?
Le idee di “necessità –need” e di “accesso –access” che sono state alla base della creazione di A+P ora vengono applicate anche alla collaborazione con Rio Terà dei Pensieri. Necessità rappresenta l’attenzione verso la natura specifica di diverse fasce della popolazione emarginata per identificare e aiutare a risolvere le necessità primarie, che possono comprendere lavoro, istruzione, alloggio e servizi sanitari.
Accesso è uno strumento dalla duplice valenza: da una parte fa sì che la comunità prescelta entri in contatto con idee che generalmente non rientrano nella loro esperienza quotidiana; dall’altra “accesso” mobilita la partecipazione come modalità per far conoscere e per cambiare la percezione di queste comunità che vivono ai margini della società, come I detenuti e I ragazzi in affido. Il gesto di rendere visibile l’invisibile supportato da iniziative pratiche è fondamentale. Come co-fondatore di A+P ho visto quanto sia importante ed efficace offrire sostegno ai bisogni materiali delle persone in condizione di marginalità, ma anche quanto sia efficace potergli rendere accessibili esperienze altrimenti non alla loro portata, come ad esempio l’arte.
Qui sotto una gallery del nuovo negozio di Rio Terà dei Pensieri (foto di Paolo Saglia)
Quanto il suo essere artista ha condizionato e condiziona le sue attività filantropiche?
Credo che l’arte debba essere per tutti e che non possa esistere nel vuoto. Il mio impegno investito in egual misura nell’arte e nell’attivismo sociale, radica i miei interventi nell’ambito della cultura generale e da concretezza alla mia convinzione che gli artisti contemporanei possano reinventare il mondo in cui viviamo.
“Domani è un altro giorno” “Tomorrow is another day” che immagine o suggestione dell’America vuole trasmettere al pubblico della Biennale?
“Tomorrow is another day”, la mostra per il padiglione degli Stati Uniti per la 57esima Biennale di Venezia, riflette l’attenzione verso il rinnovamento delle tradizioni della pittura astratta e materialista, ma anche verso i miei interessi sociali, intellettuali di sempre, in particolare verso le comunità emarginate. Per le cinque sale del padiglione ho creato una narrazione a più livelli che, procedendo attraverso gli spazi dell’edificio, riflette la mia fiducia nella capacità dell’arte di rivelare le contraddizioni della storia e di ispirare le azioni del presente.
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