Non profit

Da kandahar, una mamma ci scrive

Da una volontaria abbiamo ricevuto questa lettera. La pubblichiamo secondo il desiderio della mamma che l'ha scritta il 06/12/01 indirizzandola a tutti gli amici italiani.

di Redazione

D a una volontaria italiana abbiamo ricevuto copia di questa lettera. La pubblichiamo secondo il desiderio della mamma che l’ha scritta indirizzandola a tutti gli amici italiani. è datata 6/12/01. I o sono nata a Kandahar 22 anni fa, sono stata in Italia per quasi tutta l’infanzia e di questo non smetterò mai di ringraziare mio padre che ha voluto che io vedessi un mondo diverso di pace, poi sono tornata in Afghanistan, dove c’era tutta la mia gente. Così a questo popolo che ho amato invio la mia preghiera. Ero a Kandahar quando sono cominciati i bombardamenti occidentali. Ero là con il mio bimbo e il mio giovane uomo. E lui è andato a combattere. Non volontario, non terrorista. è partito perché i giovani ragazzi vengono arruolati dagli eserciti in tutto il mondo, quando c’è guerra. Aveva 20 anni e se n’è andato senza guardare il suo bimbo che piangeva. Forse non voleva ricordarlo in lacrime. Cadevano le bombe l’ultima volta che l’ho visto vivo, il rumore era assordante e la gente gridava e correva in cerca di rifugi che non ci sono. Così non so se ha sentito il mio saluto. L’ho accompagnato per alcuni metri lungo la strada e per una volta ho gioito di indossare il burqa. Non ha visto le lacrime ed erano tante, ha portato il mio ricordo mentre gli dicevo che nessuna bomba e nessun nemico può uccidere chi è protetto da un amore grande, come il mio per lui. Ma l’amore in Afghanistan ha perso da tempo. E il mondo è piccolo, e se l’amore perde, perde per tutti. La notte ho stretto forte il mio bimbo che non dormiva più. Chiedeva perché ma io non so che rispondergli. Non si può dire a un bimbo che il mondo odia il terrorismo che significa uccidere gli innocenti e così, per risposta, bombarda noi. Tutto quello che quella notte, quella dopo e quelle prima gli dicevo era «mamma è qui con te, non piangere, mamma è qui con te». E ora vorrei morire perché in una di quelle notti da incubo la casa è esplosa su noi abbracciati. E che ha potuto fare la mamma per il suo bimbo? Gli avevo promesso protezione, la bomba è caduta e lui nel terrore mi ha guardata come a ricordarmi la promessa. Non ha urlato, questo lo ricordo. Io l’ho fatto ed era un grido animale che mi risuona nelle orecchie in ogni istante. Sono saltata sul corpo del mio piccolo. Sentivo del sangue scivolarmi lungo le gambe e tra il dolore e l’angoscia non capivo di chi fosse, continuavo a pregare Dio che fosse il mio, a implorarlo che fosse il mio. Non lo era. Alzai gli occhi al cielo, volevo solo morire, perché tutto il resto non importava, perché la morte è nulla per una madre quando ha suo figlio che grida tra le braccia. Ho chiesto a Dio di mandare un’altra bomba a uccidermi, sentivo di non farcela. Invece stavo già correndo, cercando aiuto, tra le bombe e le fiamme e altre mamme con fagottini sanguinanti tra le braccia. Il mio bimbo vivrà senza le gambe, urla tutto il giorno, si lamenta tutta notte. Ho affidato la mia lettera a un’amica che è corsa via per salvare i suoi, io da qui non posso scappare, il mio bambino è steso in un letto. Aspettiamo la fine, le bombe continuano a cadere e io spesso chiedo a una di colpirci per non vedere il resto, per non dover dire a lui che gli ho dato una vita senza futuro, per non dovergli dire che lo aspetta solo il dolore. Ho affidato così la lettera a un’amica che è scappata in Europa. è per gli italiani, popolo che ho amato e nel quale credo. Non credo che nessuna delle persone che ho incontrato in Italia, avrebbe voluto pagare con le sue tasse la bomba che ha tolto le gambe a mio figlio. Eppure, quella bomba l’avete pagata voi. Ma, lo so, siamo tutti, anche voi, vittime di questa guerra. Non cestinate la mia preghiera, voglio immaginare che esiste una speranza, che chi non ha soldi o interessi possa poter dire: non uccideteci più. Penso che se ci stringiamo tutti potrebbe non succedere più, e altri bimbi come il mio, correranno ancora, con le loro gambe. Vi prego raccontate a tutti la mia storia, che almeno a qualcun altro possa servire. Anna H.


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