Formazione
La gente della valle
Un crudo reportage dall'Iraq a 11 anni dalla Guerra del Golfo. E dalle sanzioni. Ramzi Kysia (AlterNet) denuncia l'azione degli USA che ogni giorno uccide centinaia di bambini
di Redazione
Quando ho visitato l’Iraq per la prima volta nell?estate del 1999, ho scritto che niente mi avrebbe potuto preparare per il viaggio, a causa dell?incredibile ospitalità della gente o l?incredibile brutalità delle sanzioni. Da allora, ho visto reports che dicevano che le sanzioni contro l’Iraq stavano sbriciolandosi, ed io speravo che anche le vite degli iracheni fossero migliorate di molto.
Mi sono sbagliato.
La disoccupazione cronica, la sottoccupazione e l?iperinflazione sono ancora all?ordine del giorno e la maggior parte degli iracheni sta ancora lottando con una terribile povertà. Undici anni dopo la Guerra del Golfo, l’elettricità non è stata ancora completamente ristabilita e, gran parte delle infrastrutture del Paese, è in rovina. Gli ospedali sono superaffollati e poco riforniti di medicine, proprio come nel 1999. I medici si lamentano come allora di non avere medicine a sufficienza, né farmaci adeguati. E continuano a morire ogni mese migliaia di bambini.
Camminando per le vie di Baghdad oggi si vedono più negozi, con più merci all?interno, ma poi si vedono bambini, con vestiti strappati e sporchi, che rovistano nell’immondizia lungo la strada, cercando un tesoro o, più probabilmente, solo un po? di cibo. I bambini di strada sono un nuovo fenomeno in Iraq, un Paese dove, prima della guerra, l’obesità infantile soleva essere il problema più grande di cui i pediatri si lamentavano.
Camminando per le vie di Baghdad, si nota l’architettura, le costruzioni chiuse, i marciapiedi distrutti ed altre prove evidenti di 11 anni di rovina economica. Ma si notano anche le nuove strutture che si stanno costruendo, con enormi arcate, intricate murature e colonne sporgenti, e poi balconi e facciate. C?è una notevole miscela d?antico e moderno, di sensibilità socialista e splendore babilonese, Frank Lloyd Wright incontra Lawrence d?Arabia. Queste costruzioni sono belle, e voi vi dovete domandare quante resteranno in piedi fra sei mesi se gli Stati Uniti decideranno di bombardare questo Paese in modo massiccio.
La gente qui non sembra troppo preoccupata per il possibile allargamento della ?guerra? degli Stati Uniti contro l?Iraq. Tutti concordano che, dopo l’Afganistan, l’America bombarderà qui ma, come mi ha detto un uomo, gli iracheni sono “abituati alla voce delle bombe americane”. Gli iracheni stanno celebrando il Ramadan e continuano le loro vite come al solito. Dicono che il futuro non è nelle loro mani e, quindi, perché perdere tempo con queste preoccupazioni? Ti fanno notare che gli Usa hanno bombardato per 11 anni l’Iraq ripetutamente, quasi tutti i giorni da nord a sud, e che ancora sono lì.
Non so. Questa volta la situazione sembra diversa: molto più seria, molto più spaventosa.
Nella via Sadoun, in uno dei principali quartieri per lo shopping in Iraq, il signor Moyab ha un supermercato pieno di merci occidentali, ma con prezzi assolutamente fuori portata per la maggior parte degli iracheni. Insiste che le cose non sono cambiate per la gente di qui: “Non ci sono più soldi. Dobbiamo farla finita con questo blocco”.
Alla galleria d?arte Inaa il proprietario, il signor Ala, mi ha detto che “la gente è gente, in ogni posto del mondo. Noi siamo gente che ama la pace e non vogliamo la guerra.” Lui voleva che io chiedessi alla gente americana “perché stanno bombardando l?Iraq e dappertutto nel mondo, tutti i giorni, senza che si sappia il perché? Non c?è niente che divide gli iracheni e gli americani, solo la politica”.
Ma la politica ha delle conseguenze. Uno su quattro bambini iracheni è seriamente denutrito mentre, migliaia ogni mese, muoiono per la fame e le malattie. Anche se le razioni di cibo delle Nazioni Unite sono costantemente migliorate negli ultimi cinque anni, ancora non contengono frutta fresca, né vegetali, né proteine animali. Un fatto di cui il dottor Mahmoud Mehi, direttore dell’Ospedale Pediatrico Al-Mansour a Baghdad, si lamenta amaramente: “in questo ospedale, e questo è un ospedale di prima qualità in Iraq, in media abbiamo un bambino morto ogni giorno, a volte due. Immagini cosa fuori dalla capitale, nelle zone di campagna…”
In modo non ufficiale i funzionari delle Nazioni Unite spiegano che un?elemosina non sostituirà mai un’economia normale, e che le razioni di cibo rappresentano non solo la fonte principale dell?alimentazione della maggior parte degli iracheni, ma anche la loro primaria fonte di reddito. Di conseguenza molta gente vende le razioni per raccogliere un po? di contanti. Le Nazioni Unite si lamentano anche del numero terribile di “blocchi” sui rifornimenti, da parte degli Stati Uniti. Attualmente ci sono razioni ?bloccate? per oltre 4 miliardi di dollari dal Comitato per le Sanzioni dell?Onu, che rappresentano il 25 per cento di tutti i rifornimenti spediti in Iraq negli ultimi cinque anni del programma. Anche se l’Iraq ha venduto circa 50 miliardi di dollari di greggio dall?inizio (nel dicembre del 1996) del programma ?Oil for Food?, Baghdad ha ricevuto solo 16 miliardi di dollari di rifornimenti alimentari. Il che fa sì che il reddito pro capite annuale sia di circa 140 dollari: nonostante l?abbondanza del petrolio l’Iraq è quindi fra le nazioni più povere del mondo.
Poiché gli Stati Uniti si stanno muovendo verso un intervento militare massivo contro l’Iraq, sarebbe bene guardassimo la devastazione che già è stata fatta qui, ed ascoltare la gente come il dottor Mehi che chiede agli Americani di “usare la saggezza e pensare al meglio anche per gli altri Paesi”.
Tornando in via Sadoun, il sig. Najeb dirige un moderno studio fotografico. Immagini a colori di adulti e bambini sorridenti coprono le pareti dell’entrata. Lo studio è appena stato dipinto con delle decorazioni tropicali. Najeb ha lavorato come fotografo freelance per molti anni, ma soltanto recentemente ha potuto permettersi un negozio. Come proprietario lui rappresenta i primi goffi tentativi di restituire all’Iraq qualcosa che si avvicini ad un’economia normale. Dopo avermi accolto calorosamente ed avermi offerto un tè, Najeb ha insistito per dirmi che la gente irachena capisce la differenza che intercorre fra il governo americano e la gente americana. Mi ha detto di dire agli Americani che, “siamo tutti esseri umani. Siamo tutti uguali”. Esprimendo profonda preoccupazione per la probabilità crescente di un?altra guerra, Najeb mi ha voluto trasmettere un detto iracheno: “la gente della parte in alto della montagna osserva la gente in basso, nella valle che sembra piccola. Ma allo sguardo della gente della valle, anche la gente in cima alla montagna sembra molto piccola?”
Proprio così. In questo momento critico della storia, gli Americani farebbero bene a prestare una maggiore attenzione alla proposta di perdono offerta dalla gente della valle e farsi la domanda cruciale: ci crediamo davvero così piccoli?
Ramzi Kysia è un Musulmano-Americano attivista pacifista, è nel consiglio d’amministrazione dell?Education for Peace in Iraq Center (Centro per l?educazione alla pace in Iraq). È attualmente in Iraq come componente della delegazione per la pace di Voices in the Wilderness, un?associazione che sta tentando di bloccare sul nascere la guerra contro l?Iraq.
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Articolo originale: The People of the Valley
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