Francesco “Fuzzy” Fracassi

«Al Quadraro i ragazzi si salvano con il ghetto rap»

di Lorenzo Maria Alvaro

Francesco “Fuzzy” Fracassi nel 2002 fonda la Quadraro Basement: uno degli studi di registrazione più attrezzati di Roma oltre che seguitissima etichetta indipendente . «Il nostro obiettivo è sempre stato dare uno scopo ai ragazzi di Roma. Raccontando le proprie vite hanno dato vita al ghetto rap. E oggi alla trap»

Nel 1944 i nazisti operarono un rastrellamento di 900 persone spedendole nel campi di concentramento per normalizzare quello che definirono un “nido di vespe”.

Il nomignolo è rimasto al Quadraro, quartiere popolare romano tradizionalmente molto duro e attivo, adagiato a cavallo di via Tuscolana, tra via Appia Nuova e via di Centocelle, nella zona sud est della città, a due passi da Cinecittà.



È qui che il batterista jazz Francesco “Fuzzy” Fracassi nel 2002 fonda la Quadraro Basement: uno degli studi di registrazione più attrezzati di Roma ed etichetta indipendente che ha dato vita al rap underground italiano. «In questi venti anni abbiamo curato moltissime produzioni di tanti generi differenti», racconta. I nomi sono troppi per farli tutti. Tra i più noti ci sono Pitura FresKa, Noyz Narcos, Kaos One, Danno, Club Dogo, Fabri Fibra e Colle der Fomento. Lo spirito è sempre lo stesso: «guardiamo a tutto ciò che è connesso con la strada, bacino creativo da dove abbiamo attinto e attingiamo tutt’ora». I nomi di oggi sono, tra gli altri, Capo Plaza e Baby K che con stili e forme diverse dominano le classifiche.


Quadraro Basement in Italia è conosciutissima dai ragazzi. Come mai?
Perché siamo sinonimo di qualità e verità. Abbiamo inventato il ghetto rap italiano. Siamo i precursori del rap di strada che è e viene percepito come il più vero.

Quando lo definisce “vero” si riferisce alle tematiche che i vostri artisti trattano o al modo con cui lo fanno?
Entrambi, siamo una label che da sempre lavora con ragazzi con problemi giovanili. I nostri artisti da sempre hanno raccontato la vita di strada, i quartieri, lo spaccio, la droga, il carcere. Noi nella produzione abbiamo sempre due obbiettivi: da una parte la voglia di provocare e creare scalpore, dall’altra dare una chance di uscire da certi circuiti ai ragazzi difficili che incontriamo.

Come nasce l’idea di aiutare i ragazzi?
Naturalmente. Noi frequentando questi quartieri e questi ambienti abbiamo sempre avuto a che fare più che altro con ragazzi così. In generale poi se uno fa rap qualche problema ce l’ha per forza: è una forma espressiva che nasce dal basso, dall’esigenza di esprimere e denunciare un disagio. Noi ci siamo sempre impegnati a dar loro un obbiettivo e una strada. Per chi non ha orizzonti e possibilità è tantissimo.

“Casa Mia” da “Enemy” l'ulitmo album di Noyz Narcos in ft. con Luchè e Capo Plaza e prodotta da Night Skinny


Non c’è contraddizione nell’aiutare dei ragazzi facendogli incidere album e canzoni che mitizzano la droga o la vita fuorilegge?
Come dicevo, il rap, così come la trap, è un genere in cui il musicista racconta della propria vita e di quello che vede intorno a sé. Il rap racconta la realtà. Se la realtà dei ragazzi è questa cosa dovremmo fare? Censurarli? E poi, per poter dialogare con un ragazzo, devi capirlo e conoscere il suo linguaggio. Altrimenti torniamo alle prediche e i giovani andranno da qualche altra parte. Detto questo non è affatto vero che questi giovani mitizzano la droga…

Non c’è a suo avviso questo messaggio?
No, sarebbe come dire che i film sulla mafia mitizzano le associazioni a delinquere. Non è così. Chi guarda Scarface può anche mitizzare Tony Montana ma di sicuro, alla fine, sarà colpito dalla brutta fine di quel personaggio. Non vi immaginate quanti ragazzi si sono salvati con la musica. È una medicina e uno sfogo. Il rapper non sta più in strada ma in studio. E diventa un esempio anche per gli altri.

Tra i nomi che avete lanciato avete Colle der Fomento, Noyz Narcos, Capo Plaza e Baby K. Tutta gente che vende tantissimo. Siete diventati un’etichetta ricca?
Siamo ricchi dentro (ride).

È una citazione di Ghali?
No, era per dire che noi con questi ragazzi facciamo solo un pezzo di strada, all’inizio. Poi, quando si raggiungono certe dimensioni arrivano esigenze diverse. A quel punto preferiamo che vadano con le major e camminino con le proprie gambe. Noi vogliamo rimanere underground e medio piccoli. Non possiamo garantirgli le cifre che vanno a percepire da colossi come Sony o Universal.

“Non Cambierò Mai”, dal primo album di Capo Plaza “20” prodotta da AVA


Nota differenze tra i ragazzi di vent’anni fa e quelli di oggi?
Enormi, sono due mondi completamente diversi. Davvero c’è stata una trasformazione impressionante.

Si riferisce alla musica, ai comportamenti o alla droga?
A tutto. Ieri i ragazzi vivevano in strada, nei parchetti e sulle panchine, passavano il tempo a spacciare e fumavano erba in compagnia. Oggi abbiamo ragazzi che stanno a casa si fanno con intrugli colorati sul divano e la compagnia ce l’hanno sullo smartphone.

Come si spiega questa mutazione?
I giovani hanno seguito e si sono adeguati al cambiamento della società e della famiglia. Una volta erano incazzati con i padri, che rappresentavano le regole e l’autorità, e per fare quello che volevano dovevano stare in giro e non farsi beccare, altrimenti erano guai. Quando sei nel quartiere devi stare sveglio e in allerta, caso mai arrivi la polizia o qualcuno di un’altra zona, ed ecco perché al tempo si usavano gli eccitanti. I ragazzini di oggi spesso i padri neanche li hanno. E le madri il sabato escono a fare serata e li lasciano a casa da soli. Mamme che preferiscono sapere che il figlio si droga e tollerarlo piuttosto di non sapere che fa. Per questi ragazzini il principale problema è dimenticare, ecco perché usano sostanze che stordiscono.

“Vato Loco” da “Enemy” di Noyz Narcos


Qual è la cosa che l’ha più sorpresa di queste nuove generazioni?
Che non si passano le canne. Hanno erba da venti euro e ognuno si fuma la sua. Sono individualisti e infinitamente cinici. Un atteggiamento che mi ha davvero colpito. Ma non c’è colpa. Sono il prodotto di noi adulti e dell’esempio che gli abbiamo dato.

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